martedì 22 luglio 2025

Seta 11 - A Turfan

Il palazzo del prefetto - Turfan - Cina - giugno 2025 (foto T. Sofi)
 

La mansion del prefetto
Oggi dobbiamo spostarci a Turfan, che dista solo 150 km da Urumqi, quindi ce la prendiamo comoda visto che il treno parte quasi a mezzogiorno e dopo la solita triste colazione cinese di cui mi faccio bastare un uovo sodo, visto che la fetta di anguria oggi non è prevista, ci si mette in  marcia con calma, dato che abbiamo visto che nelle stazioni è abbastanza facile orientarsi e che, anche se i controlli sono molti, in poco più di una mezzoretta eccoci al nostro binario, in attesa che il vagone dove ci sono i nostri posti si fermi davanti a noi. Questo non è uno dei treni più moderni e visto che deve essere anche piuttosto economico, è decisamente affollato, infatti facciamo fatica a sistemare i valigioni, tra i sedili piuttosto strettini, anche se tutti si attivano per dare una mano agli stranieri; comunque due ore passano in fretta e con la solita puntualità si arriva a Turfan nord (o Turpan che sia), al minuto previsto. La stazione nuovissima come al solito, sembra una cattedrale in mezzo al deserto, o una astronave appena calata nel nulla e qui siamo effettivamente in mezzo al deserto, visto che questa era una delle principali oasi situate sulla via della seta. Siamo nel pieno della depressione del bacino del Tarim, ai margini del deserto di Lop nor, che è la parte settentrionale del Taklamakan. 

una camera

Questa regione ha sempre fatto parte della serie di regni ed imperi turcheschi che si sovrapponevano l'uno sull'altro, nell'Asia centrale, con una serie di lotte continue, i Cinesi sono arrivati solo successivamente in epoca Tang, trovandovi culture già raffinatissime, spazzate poi via dalle ondate mongole che ne hanno quasi cancellato le etnie originali. In questo bacino infatti si erano sviluppati i regni dei Tocari, popoli caucasici, con lingue strettamente imparentate alle nostre, come si è scoperto nell'800 ritrovando le ricche tombe con le cosiddette mummie del Tarim, dai tratti inconfondibilmente indoeuropei. E' quello che trovò anche Marco Polo nel suo viaggio che descrive questa città, che allora veniva chiamata Campichon e della quale racconta le usanze religiose, ricordando la presenza di cristiani e la maggioranza musulmana e la famosa produzione di vino. L'aria caldissima che ci avvolge come un sudario appena usciti dalla stazione ci ricorda che siamo in pieno deserto, che i gradi sono più di 40, saranno pure secchi ma si sentono tutti, e che la città vera è piuttosto distante, quasi una ventina di minuti in macchina, mentre il territorio circostante, una spianata infinita di terra giallastra ti dà l'impressione di essere atterrato sul pianeta di Tataouine, detto per gli amanti di Star wars! 

Il complesso

Comunque arriviamo in centro città dove questa volta ci siamo permessi addirittura un quattro stelle decisamente bello, dove comunque impiegano un'oretta per la registrazione dei passaporti, operazione sempre complessa visto che evidentemente di stranieri se ne vedono pochi. Mangiamo un boccone nel ristorante a fianco prima di buttarci nelle visite, che mica abbiamo tempo da perdere. Il pomeriggio è davvero bollente, il sole picchia feroce, chissà se il nostro Marco è arrivato proprio qui ai margini del "gran diserto del sabion", come lo chiamava lui, che tanto spaventava le carovane che si avventuravano da queste parti, eppure credo che a quei tempi, questa zona fosse piuttosto affollata di viaggiatori, visto che la cosiddetta pax mongolica l'aveva resa sicura e percorribile in ogni senso, pur di avere in bisaccia i famosi lasciapassare del gran khan, in foglia d'oro. Beh oggi, hanno tolto pure il visto e quindi possiamo scorrazzare per tutto il Xinjiang a nostro piacimento e senza che nessuno ci dica niente. Ci dirigiamo quindi verso il complesso di Emin, non lontano dal centro, ma che sembra già decisamente fuori città, disposto com'è tra i vigneti che lo circondano in ogni direzione. Si tratta di un grande complesso che comprende diversi punti di interesse, anche se piuttosto recente nella sua costruzione. 

La moschea

Subito all'ingresso il palazzo del prefetto Emin Hoja, ti consente la visione di una casa architettonicamente impostata secondo le tradizioni aristocratiche uigure all'inizio del 1700, epoca in cui questo capo uiguro sconfisse in una sanguinosa guerra, l'esercito del khanato degli Zungari che dominava l'area, sottomettendosi successivamente alla nascente dinastia cinese dei Qing, che gli lasciò mano libera anche dal punto di vista religioso, così come alle altre tribù via via sottomesse, arrivando quasi fino a Taskent. Il palazzo è di grandi dimensioni e costituito da cortili successivi, con una serie di scale che collegano terrazze ed ambienti in legno riccamente addobbati, con tappeti e oggetti d'epoca, molti dei quali esposti in una galleria sotterranea in vetrine bene illuminate. Le camere da letto mostrano bene l'agiatezza in cui viveva il nostro prefetto. Tutto il palazzo è poi circondato da un muro in terra con una monumentale porta decorata secondo gli schemi dell'epoca. Ma il pezzo forte è costituito dalla moschea che sorge al di là del larghissimo piazzale a cui si accede tramite un ampia scalinata e soprattutto lo straordinario minareto, un imponente cono in mattone crudo, secondo lo stile costruttivo della zona alto ben 44 metri, largo alla base 14, il più grande della Cina e di tutto il Turkestan, costruito nel 1777 dal figlio di Hoja, in suo onore. 

Il minareto

Attraverso coraggiosamente la spianata deserta col sole che picchia feroce sulla testa. Non c'è nessuno  in giro e lo credo bene, con questo caldo solo i turisti più incarogniti insistono a salire i gradoni gialli, dove ogni passo è sofferenza. Per fortuna, le ragioni di sicurezza hanno vietato la salita alla cima del minareto stesso, date le scale malferme di legno tarlato, trappole mortali per chi già ne avrebbe poca voglia, ma che forse si sentirebbe quasi obbligato all'ascesa, visto che siamo arrivati fin qui e poi da lassù, sai che vista. Comunque sia, l'oggetto è veramente mirabile, con la trina ornamentale costruita lungo tutti i fianchi dalle sporgenze dei mattoni stessi, elegantemente disposi fino a formare una serie di disegni geometrici complessi e perfetti, alternando piccoli rombi a fiori stilizzati, che si trovano solo nell'area cinese, per tutto il corpo della costruzione, a formare una sorta di nido d'ape che crea un magnifico effetto di vuoti e di pieni, poi la serie di fasce a minuscoli archetti che girano attorno alla struttura che si rastrema via via verso l'alto fino a terminare in una tonda cupoletta sormontata dall'aculeo puntato verso il cielo. Una serie di sottili finestre illuminano la scala interna. Un capolavoro di questa cultura centroasiatica, che è riuscito a mescolare gli elementi della tradizione islamica a quelli più squisitamente uiguri locali, che domina severa tutta la pianura circostante. 

Il cimitero

La grande moschea che gli sta alle spalle mostra anch'essa una struttura complessa fatta di muri spessi e di sale successive che si rivelano sorprendentemente fresche ed arieggiate. La grandissima sala di preghiera è sostenuta da sottili colonnine in legno e travi sotto un soffitto a graticcio, che scandiscono gli spazi disegnati dal tappeto sottostante. Sul fondo, a fianco della nicchia rivolta verso la Mecca, un Minbar, di piccole dimensioni, opera in legno di mirabile fattura. Credo che anche questa struttura, con la scusa di essere trasformata in museo, sia stata tolta definitivamente al culto, tanto per non correre rischi. Capirete, la storia dell'armonia tra i popoli, ecc. Ma ancora una sorpresa ti attende girando intorno a queste due costruzioni, un grande spazio dedicato al cimitero islamico che ospita le tombe dei maggiorenti di quel periodo. La serie dei tumuli ordinati di terra gialla, inframmezzati da un paio di piccoli mausolei che contengono evidentemente le tombe più importanti, danno al sito un senso di solenne grandezza, così come sono ordinatamente disposte sulla scarpata, mentre alle spalle il muraglione della moschea ne segna il confine col regno dei viventi e soprattutto il grande minareto che alle spalle di tutto sorveglia completamente tutta l'area come un buon padre benedicente. Tutto il sito è gravido di un'aura di composta quiete, quasi volesse garantire a chi riposa lì, la tranquillità dei giusti. 

Le vigne

Lasciamo il posto lentamente, sfilando lungo i muri in cerca delle ombre più corte, passando tra le pergole dei giardinetti, con un senso generale di stordita compunzione o forse si tratta solamente dell'essere tramortiti dal caldo. Siamo in una parte dell'oasi che ti fa pensare di essere in aperta campagna, infatti lasciato il complesso siamo in mezzo alle vigne che si stendono a perdita d'occhio. Sono quasi tutte allevate a pergole basse da cui pendono enormi grappoli in via di maturazione o a spalliere piuttosto alte con abbondanti spazi tra i filari. Sono varietà di uva particolare, adatte soprattutto alla produzione di uva secca che, già citata da Marco, domina i mercati della città e viene esportata in tutto il mondo. Inoltre sono famosi i vini prodotti nella zona, pare i migliori in assoluto della Cina. Lontano nel verde puoi scorgere la cima del minareto che si erge come un faro lontano porto sicuro tra il mare di grappoli. Tra le vigne compaiono case allineate, una sorta di paese che altro non è che uno dei tanti quartieri di Turfan, composta proprio da molti di questi agglomerati lungo la parte più umida della grande oasi. La struttura delle case è caratteristica, si tratta di edifici agricoli attorno a grandi cortili di cui, la parte principale è sormontata sa un'alta costruzione, con le pareti di mattoni alternati a fori in diagonale che costituiscono i famosi essiccatoi per le uve che vengono disposte all'interno, ventilatissimo, su lunghi bastoni verticali che dispongono di pioli sui quali si appendono gli enormi grappoli. 

Portone

Davanti ai bei portoni in legno dipinto, le donne siedono intente ai lavori di cernita e selezione delle varia frutta secca a disposizione, a partire dalle giuggiole che sembrano essere in piena stagione o ai tanti altri lavori che impone l'agricoltura locale. Tutti si mostrano molto gentili, invitandoti spesso ad entrare nei cortili a curiosare intorno. In un cortile un gruppo di donne sta estraendo da un forno contadino una serie di pagnotte bollenti, allineandole ordinatamente su lunghi assi a raffreddare. Ovviamente la più anziana con un largo sorriso ce ne regala subito uno. Impossibile rifiutare e come ovvio ci appare subito buonissimo, con la sua crosta spessa e croccante che cela una mollica soffice e bollente. Forse l'avessimo comprato dal nostro panettiere di città, l'avremmo trovato duro e poco digeribile, ma tanto fa l'effetto psicologico e vi assicuro che raramente ne ho mangiato di così buono. Un po' più avanti, in centro al paese, ecco quello che rimane dell'antica moschea di Kangka, che il nostro Luca ricordava un decennio fa ancora popolata di uomini in preghiera. Oggi eccola con i portali sbarrati da tempo, i lucchetti quasi arrugginiti e la terra che il vento ha spinto contro le fessure che quasi li hanno sigillati per sempre. Anche questo è un edificio, che evidentemente non avendo neppure l'importanza per una soluzione museale, è destinato all'oblio definitivo. 

La moschea abbandonata di Kangka

Sul bel portale che occupa quasi tutta la facciata scandita da quattro sottili colonne minareto, i disegni a fiori sembrano appassire; le costolature eleganti che ornano gli spigoli, salgono fino alla cupola seminascosta. Guardi tra le fessure per indovinare l'interno, ma ti risponde solo il silenzio, mentre attorno, gruppetti di ragazzini giocano, calciando furiosamente una palla impolverata che rimbalza male su quello che potrebbe essere il sagrato di una nostra chiesetta di un paese in via di abbandono. Proseguiamo fino a raggiungere la strada principale che riporta in centro, di qui la parte rurale dell'oasi che ti dà il senso di un paese senza tempo, al di la, lontano, lo skyline dei grattacieli di nuova costruzione, l'oasi moderna. che non si interessa più all'uva secca o al pane appena cotto, ma che scambia le power bank e viaggia coi telefonini appiccicati all'orecchio. In mezzo sulle case antiche gli essiccatoi ancora vuoti, che aspettano forse ancora per poco le uve dolcissime dai lunghi acini profumati. Ci fermiamo a quello che sembra l'ultimo bar del paese, ma in realtà è una specie di ristorantino che serve solo zuppe. Capito che volevamo bere, ci accompagna subito dall'altra parte della strada, dal suo concorrente che vende le Pepsi. Chiamiamo un Didi per tornare in albergo, prima compriamo un po' di frutta, tanto  per mettere sotto i denti qualche cosa, anche se è un po' scomoda da mangiare. Niente paura, i gentilissimi addetti dell'albergo, provvedono a tagliarcela a pezzi e a farcela avere in camera. Cosa chiede di più, è piacevole viaggiare in Cina.

Essiccatoi e muri in mattone crudo

SURVIVAL KIT

Uve

Treno Urumqi - Turfan bei - T9526 - 11:42 - 13:40 - € 2,93

Hotel Metropolo Jin JiangNo.391 Middle Lvzhou Road, Gaochang District, Turfan - 4 stelle - bello, personale gentilissimo, camere grandi, doppio  letti king, bagno grande con ottima dotazione. TV enorme, AC, free Wifi in camera. Pulito. 36 €  con colazione ottima, anche occidentale con toast e dolci, tè e caffè. Consigliatissimo.

Oasi di Turfan (o Turpan) - La città, di 250.000 abitanti, dove la cultura Uigura è stata meglio conservata, è costituita da diversi centri sparsi lungo le oasi della depressione. Ci sono molte cose da vedere per cui consiglierei di soggiornavi almeno tre notti. Spostamenti in taxi con Didi. Ci sono anche mezzi pubblici ma i tempi si dilatano. Da vedere: il complesso di Emin, con moschea (dismessa), minareto, cimitero e la Mansion del prefetto della città Emin Ohja, a circa un paio di km dal centro. Il villaggio adiacente, con le case degli agricoltori, gli essiccatoi dell'uva ed i vigneti che lo circondano e la piccola moschea abbandonata. Il museo dei pozzi sotterranei (karez) di Kan'erjing, la città morta di Jiahoe e il museo di Turfan. Fuori città, nella medesima direzione (conviene prendere un'auto per tutto il giro) l'area delle Montagne fiammeggianti, il complesso dei 1000 Budda di Bezeklik, il villaggio tradizionale uiguro di Tuyok e le rovine della città di Gaochang.

Pani

Lavorazione uvetta
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche  interessare:








Nessun commento:

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!