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martedì 26 marzo 2019

Central India 5 - Corbyn's Cove


Pescatore

Corbyn's Cove

Il succo di guava al banco della colazione è un piacere dolce e sensuale che scorre adagio e fresco in gola, spargendo aromi così complessi, che non riesci a spezzettarli nel tentativo di distinguerne le singole parti. Devi dunque portarne con te il bouquet complessivo, rinunciando ad indagarli. Il sapore ed il profumo del succo di guava è una metafora dell’Oriente, affascinante e complessa mescolanza di sensazioni esotiche che ti sa avvincere e ti lega per sempre. Va beh, ne bevo ancora un bicchiere prima di raccogliere le mie masserizie e lasciare definitivamente il sopravvalutato Wild Orchid, che perdono proprio per la colazione. Fuori aspetta la macchina che ci porta al molo dove comincia ad affollarsi la gente per il traghetto della Makruzz che ci riporterà a Port Blair. Esauritele solite peripezie, trovati l’ufficietto nascosto della compagnia per fissare i posti, registrati i nomi sul solito inutile librone e controllati i passaporti, caso mai volessimo imbucarci ad Havelock scomparendo nella jungla e rinunciando per sempre a ritornare, riusciamo finalmente a salire sulla nostra nave che, all’ora fissata, lascia melanconicamente il porto con due colpi di sirena, doppiando il faro delle punta e scorrendo poi velocemente davanti a quella Elephant beach a cui non siamo neppure arrivati, ma che, a vista non differisce molto dalle altre. 

Prima del bagno
Quando sbarchiamo al molo di Phoenix bay è ancora mattino presto e l’albergo saprà consigliarci su qualche giro nei dintorni che meriti. Scartiamo le turistiche anche se vicine, Viper island e Ross island, giacché mi dicono che a parte le rovine delle strutture carcerarie ci sia poco altro da vedere. Il driver si offre di accompagnarci fino a Corbyn’s cove, la spiaggia più vicina fuori città, che ha uno stile assolutamente indiano contemporaneo. Si tratta di una piccola insenatura segnata da una bella falce di sabbia scura incuneata nella costa rocciosa ad est dell’isola. C’è anche qualche banchetto con le solite collanine e braccialetti di conchiglie, mentre famigliole e ragazzi in vacanza dal continente passeggiano sulla battigia. In realtà, quasi nessuno si bagna, specialmente le ragazze, drappeggiate in sari colorati o nei più castigati salwar camiz che coprono completamente ogni traccia di nudità. Molti però fanno la coda per usufruire di un giro sulle rumorosissime moto d’acqua che fanno la spola fino all’isolotto di fronte alla spiaggia, caricando fanciulle che squittiscono di eccitazione. Poi qualcuno stende tra i palmizi una coperta e compaiono i vari onnipresenti cesti da picnic. 

Bewarw the crocodiles
Qualche vacca passeggia tra i gitanti, ma con discrezione, tenendosi alla larga per non essere scacciata come i cani questuanti. Si accontenterà degli avanzi che spesso rimangono ad insozzare la spiaggia. Purtroppo non è ancora chiaro che i tempi sono cambiati e che, un tempo i rifiuti, tutti organici, scomparivano velocemente, anche grazie all’aiuto degli animali che popolavano i dintorni, adesso invece, la metà dei residui prodotti è costituita da plastica, che le vacche anche con grande volontà, vista la fame atavica, non riescono a far sparire. Quindi la spiaggia è irrimediabilmente piuttosto sporca (anche grazie ai consistenti lasciti delle vacche stesse) e prima o poi anche qui ci sarà una sorta di violenta avversione diffusa verso la incolpevole plastica, invece che verso la stupidità di chi la utilizza senza preoccuparsi del suo smaltimento. Ma non turbatevi, tutto ciò è comune in ogni parte del mondo, si punta sempre al dito colpevolizzandolo invece di guardare alla luna. Poi ci si buttano sopra i politici che fiutano l’osso del consenso facile, magari inseguendo qualche masaniello populista da strapazzo in cerca divisibilità. Ma intanto lasciamo stare e godiamoci l’acqua calda del mare del sud anche se piuttosto torbida e ricca di alghe. 

Dal Bunker
Direi che non bisogna far troppo caso al cartello giallo che consiglia prudenza, causa coccodrilli marini, che comunque con il casino che c’è qui intorno, saranno sicuramente andati a rifugiarsi in qualche posto più tranquillo. Tra le mangrovie lontane dalla città. Sugli scogli che delimitano la baia ci sono ancora tracce di bunker giapponesi eretti in fretta e furia durante l’occupazione del ‘42, messi lì a monitorare questo avamposto del golfo del Bengala, su cui ben poca attenzione era stata posta prima di allora. Dalla feritoia puoi controllare tutta la spiaggia e difendere facilmente l’approdo da qualunque tentativo di sbarco. Chissà cosa avrà fatto la guarnigione lasciata a guardia di questo avamposto, una fortezza Bastiani a guardia del nulla, non già ai margini di un deserto infinito, ma qui in mezzo al mare blu scuro, quello che oggi invece si vuol far passare per un paradiso. Va bene che allora ci sarà stata sicuramente una bella botta di malaria a tenerli vigili e preoccupati. Nella laguna retrostante la spiaggia intanto, un pescatore lancia una rete con mossa esperta. I piedi a mollo nell’acqua bassa, fa un largo giro a pendolo con la corda trattenuta nella mano destra, poi con una larga sventagliata getta i pesi lontani il più possibile. 

Light & sound
La grande rete si allarga come un fiore, conquista spazio risalendo verso l’alto, poi raggiunta la massima estensione scende lentamente come un paracadute, adagiandosi sull’acqua che a poco a poco la accoglie in sé, la sommerge, la lascia scendere a fondo, insidia muta e mortale per chi le passerà sopra. Dopo poco ecco che con rapida mossa, l’uomo tira la fune centrale che chiude il sacco e poi è solo questione di forza per recuperare il tutto, mentre l’acqua fuoriesce liberandola dal peso e lasciandola infine emergere completamente, ma, ahimè desolantemente vuota. Duro anche qui il procurarsi cibo, con la sola forza delle braccia. Intanto il sole comincia a scendere alle nostre spalle, baluginando tra le fronde della foresta retrostante. Ce ne torniamo in città. Ci sarà il tempo dopo cena per lo spettacolo Light&sound all’interno della Cellular Jail (che non c’entra nulla coi telefonini, che al tempo nemmeno c’erano). Ci sono tutti gli ingredienti, il venditore di magliette ricordo, la gran folla nazionalista commossa davanti alla sofferenza della propria gente che ha loro donato l’indipendenza ed il fascino delle luci che giocano sulle superfici bianche dei muri e delle celle. Bene, è venuta l’ora di andarcene a letto, ci sarà il tempo di rimuginare sul senso di questa puntata sulle isole, mentre ce ne torneremo nel continente a cominciare la prossima storia.

Vita da spiaggia

SURVIVAL KIT

Haywizz Hotel – Quasi in centro. Piuttosto comodo e abbastanza nuovo. Camera doppia tra i 50 e i 60 Euro secondo stagione. La hall non presenta benissimo ma il resto delle camere è valido, tutto nuovo, pulito, camere spaziose, AC, TV, ventilatori, frigo, acqua bollente e bagno bene attrezzato e tutto funzionante. Il wifi non va granché. Ottimo invece il ristorante, cena sulle 350 R a testa, camerieri gentilissimi. Naan squisiti e croccanti.

Corbyn’s Cove - A 5 km dal centro. Vi ci portano senza problemi i vari tuktuk o taxi, essendo la spiaggia più vicina alla città. Posto non molto grande e piuttosto affollato. Spiaggia digradante con acque poco profonde e piuttosto ricche di alghe. Ingredienti vari da spiaggia, in stile indiano, poca offerta di rifornimenti. Posto indicato per capire come gli indiani intendono la vacanza al mare. Per cercare altre spiagge dovrete fare invece molti km in più o andare sulle varie isole, pernottando quindi altrove.

On the Beach



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martedì 19 marzo 2019

Central India 4 - Sentinel


Pescatori
 
Spiaggia
Ieri è stata una giornatina pesante, tra la notte in aeroporto, i due voli e la traghettata, ieri sera quando mi sono buttato nel letto, anche se dal bar della reception arrivava una musica a palla, mi sono addormentato come un ciocco. Pertanto oggi si presuppone tutta una classica giornata da spiaggia, asciugamano in spalla. Due passi e sei sulla sabbia; giriamo verso nord al contrario di ieri, non abbiamo neanche la voglia di prendere un tuktuk per andare in cerca della Elephant beach, che comunque pare sia piuttosto affollata. Qui, a Govindnagar beach, basta che cammini un po' e non c'è quasi più nessuno. Chissà dove si imbuca tutta quella massa di gente che sbarca dai traghetti? Va bene che è ancora bassa marea e l'onda arriva a poco a poco. L'acqua crescerà fino a mezzogiorno, credo, ma qui i turisti indiani, non amano più di tanto trascorrere il loro tempo sulla spiaggia, ci fanno un salto al massimo, si pucciano giù schiamazzando un po', poi vanno via quasi subito, se proprio vogliono esagerare si imboscano tra gli alberi con ceste di roba mangereccia a fare colazione. ogni tanto vedi in giro qualche coppietta che si fa i selfie romantici tra le palme, sembra infatti che l'isola sia molto gettonata per i viaggi di nozze nella middle class del subcontinente. Così devi soltanto trovarti uno spazio accogliente, tra gli alberi più bassi e fogliosi che garantiscono l'ombra migliore e soprattutto facendo attenzione a non avere cocchi  a perpendicolo sopra la testa. 

Peel island
Sembra infatti che muoia ogni anno più gente per la caduta delle noci di cocco che per il morso dei serpenti, sapevatelo. D'altronde se ti becca sul cranio un cocco da tre o quattro chili che piomba giù  da una ventina di metri di altezza, te lo spappola come un popone, è evidente. Io intanto calcolo bene le traiettorie e poi stendo l'asciugamano. L'acqua è caldissima anche se ancora troppo bassa per immergersi, un classico brodo equatoriale, ma chi se ne frega se devi fare un po' di slalom tra bottiglie di plastica, cartacce e immondizia varia. Beh, adesso non vorrei essere troppo critico, però dopo un po' arriva dal folto degli alberi un tizio con dei sacchi di residui alimentari e lo scarica direttamente sulla spiaggia, fiducioso nel lavoro delle maree, tanto per cambiare, lì dietro ci deve essere un ristorante e qui si fa così, almeno sembra. Davanti, il mare è comunque di un bel blu zaffiro che pian piano si muta in verde smeraldo, mentre si avvicina alla riva. Il quadro di insieme alla fine non offende e ti rimane la curiosità di pensare a quello che c'è dall'altra parte del braccio di mare che separa Havelock dalla vicina isola di Peel che dovrebbe essere disabitata. Una striscia verde che separa il mare dal cielo. Distante, misteriosa. Sarà lì il paradiso? Bisognerebbe avere a disposizione qualche giorno e andare a fare una esplorazione da quelle parti, una barca di pescatori che ti porti, pagando, la trovi sicuramente. Eh, ma noi siamo solo turisti e il tempo stringe, già va bene che ci regaliamo questo giorno completo di relax, sentendo solo il rumore leggero della risacca.

Mangrovie
Se ci pensate bene qui, qualche anno fa,  è arrivata l'ondata secca dello tsunami, dicono almeno dieci metri di altezza, che ha risalito l'interno per un bel tratto, facendo almeno 3000 morti in tutto l'arcipelago, qualche turista europeo (ce n'erano ancor meno allora) e tutti residenti, abituati al monsone bengalese, forte sì, ma non così inaspettato e distruttivo. Pensate invece che tra i nativi originari, non c'è stata neanche una vittima, sembra che con un certo anticipo si siano tutti diretti verso la parte alta dell'interno di ogni isola, salvando così la pelle. Non si sa nulla invece di quanto sia successo a North Sentinel, una isoletta tondeggiante di circa 60 km2 ricoperta dalla foresta e circondata dalla barriera corallina. E' molto strana la storia di questa isola priva di approdi e solitaria ad una cinquantina di km dalla grande Andamana e dei suoi misteriosi abitanti, i Sentinellesi o Sentinelloi che dir si voglia. Già, perché questa, pare sia una delle pochissime, se non l'unica, comunità esistente al mondo che ha sempre rifiutato ogni contatto col resto dell'umanità, respingendo a colpi di frecce che tenti di avvicinarsi alle coste. Per la verità non si sa neppure quanti siano, si dice tra i 30 e i 300 individui, una popolazione di pescatori raccoglitori che vivono nella foresta in capanne molto semplici e che non conoscono agricoltura, arrivati fin qui da almeno 30.000 anni con le prime migrazioni africane e qui rimasti isolati anche dalle isole più vicine, sviluppando lingua e cultura propria.

Mare
Nei tre secoli passati c'è stato qualche tentativo di sbarco da parte degli inglesi, che alla fine dell'800 ne prelevarono alcuni per condurli a Port Blair e studiarli e che morirono subito di malattia dato che il loro isolamento li ha resi completamente privi di difese immunitarie. Successivamente c'è stato qualche naufragio, dato che le acque circostanti sono piuttosto pericolose e qualche tentativo di sbarco da parte di studiosi che hanno lasciato doni sulla spiaggia. Si è allora osservato che gli abitanti hanno operato un recupero di materiali ferrosi dai relitti. Però i Sentinelloi, durante questi approcci, si sono sempre nascosti nella foresta o hanno accolto i visitatori con nugoli di frecce, con qualche ferimento seguito da balli di soddisfazione eseguiti sulla stretta spiaggia. In ogni caso l'isola è off limit da decenni e il governo indiano vigila che nessuno riesca ad avvicinarsi a meno di 5 km dalle sue coste. Un paio di pescatori che si sono avvicinati troppo, sono stati uccisi nel 2006, e non è stato possibile recuperare i corpi a causa dell'ostilità dei nativi che hanno accolto a colpi di freccia anche l'elicottero che aveva sorvolato la spiaggia; ma il fatto più eclatante è avvenuto nel novembre del 2018, quando un sedicente missionario americano, certo Allen Chao, assoldando una barca di pescatori, si è fatto mollare a un centinaio di metri dalla riva, convinto di voler riportare i selvaggi alla verità della unica fede. Giustamente, appena messo piede sulla battigia, è stato ricevuto con un nugolo di frecce che lo ha trasformato in un puntaspilli. 

Peel island
Il corpo è stato subito circondato da un gruppetto di uomini, che dopo aver ulteriormente infierito su di lui, lo ha seppellito sulla spiaggia. Si può dire certamente che ha avuto quello che si meritava e al momento la protezione di questa, che è certamente la tribù più a lungo isolata, conosciuta al mondo, sembra garantita. Ma il fatto ha aumentato i controlli ed i divieti sulle isole, con specifica attenzione a che tutte le altre tribù residuali andamanesi siano ancor meglio inavvicinabili. C'è anche Survival che vigila sul territorio anche se non so come, segnalando alle autorità le eventuali violazioni. Tutto buono e giusto, chi può essere contrario, ma naturalmente questo crea una interessante discrasia in un territorio, ormai molto turistico a tutti gli effetti, con una pressione di presenze notevole, proprio a contatto con aree off limit e con regole di estrema severità. E' un mondo strano questo, dove il wild estremo si mescola alle ciabatte da spiaggia e dove nel 2010 è morta a 80 anni, l'ultima rappresentante della tribù Bo, la signora Boa, così si chiamava, ultima anche a comprendere la sua lingua che è così morta con lei, capirete che la cosa mi abbia colpito profondamente e ne avevo a suo tempo anche parlato qui. Ciò detto godiamoci questo bel mare tiepido, che intanto è salito un po', cercando di non scottarci le epidermidi tenerelle, che qui comunque il sole picchia e lasciamo stare i Setinelloi ai loro archi, noi pensiamo alle due grigliate di tonno che questa sera ci aspettano al Fat Martin, proprio sulla strada. 

North Sentinel (da Google map)

SURVIVAL KIT

Sulla spiaggia
Wild Orchid Resort - Quasi sul mare a 2,5 km dal molo di arrivo sulla n.5, con accesso diretto alle due spiagge Govind a nord e Kalapathar a sud. Uno dei primi resort a essere costruito sull'isola e considerato tradizionalmente di lusso. Serie di bungalow in legno nel bosco con reception bar ristorante al centro. Il tutto è ormai abbondantemente invecchiato e molto bisognoso di essere risistemato, nei confronti delle tante nuove strutture sorte nel frattempo. Per la verità andrebbe benissimo se non fosse che il prezzo invece, forse in memoria dei passati fasti è sproporzionato nei confronti sia dei livelli indiani che di quelli della nuova concorrenza. Per questo io sceglierei altro a pari prezzo o in sistemazioni più spartane ma molto più convenienti. Comunque bungalow in legno con TV, AC, ventole, acqua calda, cassaforte, no frigo, tutto piuttosto antiquato a 70/100 Euro secondo stagione, con colazione buffet abbondante e valida. Free wifi solo alla reception. Personale gentilissimo, ma ripeto, voto negativo solo per il prezzo.

Fat Martin restaurant - Appena fuori dal resort sulla strada a destra. Locale noto e frequentato soprattutto da stranieri. Buon pesce ala griglia, piatti consistenti a 3/400 rupie. Consigliato e comodissimo se siete in zona. 





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lunedì 18 marzo 2019

Central India 3 - Havelock island, paradiso perduto?


Kalapathar beach
Il Poenix Jetty è davvero sovraffollato. Da qua partono tutti i traghetti, quelli governativi e quelli privati della Makruzz (e anche di un'altra compagnia, mi pare) ovviamente più costosi e veloci. Il risultato è che c'è una folla strabocchevole. Per fortuna che siccome le partenze non sono contemporanee, il capannone si popola e si spopola in continuazione con un flusso regolare. Tanto allo stanzone/sala d'attesa si può entrare solo un'ora prima della partenza per la registrazione. Il 99% dei passeggeri sono indiani, su tutto regna una bella confusione con famigliole accampate dappertutto in attesa. Noi abbiamo già i biglietti in saccoccia ma bisogna procedere alla registrazione e all'assegnazione dei posti, cosa che comunque contribuisce a farti passare il tempo in coda. Alla fine tutto va a buon fine come sempre. E' l'apprensione tipica dell'occidentale che vuol sapere bene tutto in anticipo, essere tranquillo, insomma, quello che ti fa soffrire. In realtà bisogna lasciarsi andare alla ruota della vita, arrivi poi sempre alla fine. Lo spazio dedicato ai viveri di conforto in realtà non è funzionante. Un gruppetto di addetti all'interno, passa il suo tempo a comunicare ai richiedenti che lì non c'è niente da vendere, né da mangiare, né soprattutto da bere, ogni cosa è disponibile solo sul traghetto. 


Dietro la spiaggia
Aspettiamo con pazienza sulle sedie, molte delle quali ormai sfondate, che si formi la nuova fila, quella che ci permetterà di salire a bordo. Consegniamo i bagagli che vengono accatastati sul molo, mentre saliamo la passerella. Chissà se mai li rivedremo. Ah santa dubbiosità malfidata occidentale. All'interno la nave è moderna anche se ampiamente vissuta e naturalmente piena zeppa di centinaia di vacanzieri, che si accalcano subito tutti al bar. Purtroppo, in osservanza alla modernità della nave catamarano, i finestroni sono completamente oscurati, per cui la prima delusione è che non si vede nulla all'intorno, anche se larga parte della tratta è di mare aperto. Dopo circa un'oretta e mezzo entriamo nel porto all'estremità superiore dell'isola di Havelock, l'unico punto di accesso. Miracolosamente, ma come previsto, ecco i nostri bagagli che aspettano sul molo. All'uscita però siamo subito bloccati dal baraccotto dei sorveglianti. Gli stranieri, pochissimi in verità, devono registrarsi sul consueto registrone. L'addetto compita con attenzione i nostri dati accertandosi della nostra intenzione di abbandonare l'isola nei tempi previsti e di non fuggire nella jungla. Poi siamo liberi di raggiungere la nostra destinazione come da programma. 
Le varie soluzione sono tutte più o meno in fila lungo l'unica strada che costeggia le spiagge. Questa è l'isola che tutti gli indiani sognano quando si parla di vacanza al mare, stile di vita che è entrato ormai nei desiderata della middle class a forza di telenovele e di abitudinarietà occidentale che globalizza il pianeta. Il bagno, che comunque si fa rigorosamente vestiti, se donne, e i giochi di spiaggia, incluse le rumorose moto d'acqua e chi più ne ha più ne metta. Vuoi la globalizzazione? e allora giocati i paradisi, tanto se rimangono tali, non rendono nulla a nessuno o quasi, in questo modo invece, macinano un bel business, migliaia di posti di lavoro, famiglie che ci campano e il PIL cresca con gioia di tutti. Questo in fondo ci serve e allora non lamentatevi. Comunque se calcoliamo che ogni giorno che Dio comanda, qui sbarcano all'incirca un migliaio di persone almeno, che staranno qualche giorno su di un isolotto lungo una quindicina di chilometri e largo cinque o sei, il sovraffollamento è garantito. E chi se ne frega, cerchiamo di non fare i difficili, prendiamo possesso dei nostri bungalow e corriamo subito alla spiaggia che dista poche centinaia di metri, asciugamano gentilmente fornito in spalla. 

Anche se hai saltato la notte, cerca di non cadere in tentazione, se ti butti un attimo nel letto sei finito, ti addormenti e la giornata è quasi persa. Kalapathar beach si stende verso destra e prosegue verso la punta sud dell'isola. Come previsto, ad onta della massa sbarcata, in spiaggia non c'è molta gente. Gli indiani amano ammassarsi tutti assieme, specialmente dove ci sono aree di divertimenti marini, mentre basta allontanarsi un poco, dove cessano i servizi e riprendi in mano, almeno un poco la sensazione dell'isola (semi)deserta dei mari del sud. Tuttavia non fatevi eccessive illusioni, nel pomeriggio qui c'è bassa marea e il mare davanti alla spiaggia è molto basso, l'acqua un po' torbida e con molte rocce affioranti, tipo Zanzibar, se avete presente. Sulla sabbia un po' di plastica vagante e molta alga. Però non si sta male stesi tra la vegetazione che quasi arriva a lambire l'onda leggera. Insomma quello che voglio dire, è non fatevi film di spiagge segrete e paradisiache; l'isola, comunque è così dappertutto. Certo il mare in generale non è il punto di forza dell'India, levati alcuni punti del Kerala e di Goa, noti più per le pulsioni degli ormai lontani anni '70, e qui di certo siamo al meglio.

Ma il tutto, per lo meno ora che è arrivato il turismo locale di massa, non sta al paragone, a mio modestissimo parere naturalmente, di altre mete del sudest asiatico. Forse per trovare queste cose bisogna spingersi, se fosse possibile, in aree più lontane di queste stesse isole, o alle Nicobare, poco più in là. Badate con molta più fatica e dedizione. Comunque giriamo un po' in tondo constatando che il tanto temuto ciclone Pabuk che la scorsa settimana è passato proprio qui, proveniente dalle isole della Thailandia, non ha fatto danni visibili, essendosi mutato in tempesta tropicale fuori stagione. Ha buttato giù la abitudinale valanga d'acqua e poi via ad esaurirsi verso la costa birmana. E dire che volevamo annullare tutto, timorosi del disastro. Comunque ci confermano che per due o tre giorni i traghetti sono stati sospesi, insomma non è stato uno scherzo, l'abbiamo scampata per un pelo. Allora stiamo pure qui a goderci l'onda leggera che lambisce la sabbia, mentre il sole, a poco a poco cala dietro gli alberi della foresta che occupa l'interno dell'isola. Al resto penseremo domani, rimane solo da cercare quale sia il meglio tra i vari ristorantini sulla strada n.5 per farci un bel pesciolone alla griglia e poi il sonno dei giusti ci coglierà satolli e soddisfatti.

Govind Nagar Beach



 SURVIVAL KIT

Havelock
Havelock Island - E' la principale isola del piccolo arcipelago delle Ritchie, posto ad est delle grandi Andamane, dove si è sviluppata l'attività turistica. Ci si arriva in traghetto, in partenza da Port Blair. Quelli veloci ci mettono da un'ora e mezzo a due. Quelli lenti fino a quattro per percorrere i 57 chilometri che la separano dalla capitale. I traghetti devono essere tassativamente prenotati per tempo perché sono sempre pieni e rischiate di non partire o soprattutto di non ritornare in tempo per l'aereo. Makruzz parte il mattino alle 8 e alle 14 (circa) e il biglietto è circa 2000 R a tratta, per darvi un'idea ma verificate perché tutto cambia spesso. Qui dovrebbero esserci le spiagge più belle di tutte le Andamane, per lo meno quelle raggiungibili con una certa facilità. Aspettatevi tuttavia un'isola molto affollata soprattutto di turismo domestico, perché comunque è molto piccola. Basta comunque procedere lungo le spiagge un po' più in là dai punti di accesso, dove si aggregano i servizi, barche per gite, diving e sport acquatici, per ritrovare una insperata solitudine. Gli occidentali, possono utilizzare tranquillamente il bikini senza destare curiosità, anche se le indiane si bagnano vestite. L'isola si gira velocemente con biciclette o motorini in affitto, o con i classici tuktuk che vi porteranno alle varie spiagge. Le più interessanti sono nell'ordine:

Elephant beach - sulla costa nord a cui si accede tramite un sentiero nella foresta con circa venti minut di cammino. Sulla strada n.4 c'è un cartello che ne indica l'inizio. Molto frequentata.
Kalapathar beach - Sulla costa lungo la strada n. 5 verso sud, raggiungibile a piedi facilmente in quanto antistante alla maggior parte delle strutture alberghiere lungo la costa. Qui il mare è un po' più mosso perché più aperto
Govind Nagar beach - stessa zona ma verso nord. Qui il mare è più chiuso e calmo in quanto di fronte avrete gli stretti che separano Havelock alle altre isole Ritchie, la barriera è a qualche centinaio di metri, più adatta per snorkelling e immersioni. Ci sono diversi centri che offrono questi servizi.
Radhnagar beach - E' la più lontana e forse un po' meno frequentata, si trova al termine della strada n. 4.; procedendo verso destra su un sentiero tra le piante per una ventina di minuti circa arrivate a Neil's cove, forse la spiaggia più riservata e più bella con un tratto di barriera.

In ogni caso l'isola, comparata con gli standard indiani è piuttosto cara, essendo ormai considerata meta di lusso ed in generale bisogna prenotare ogni cosa con un certo anticipo. 


A destra l'arcipelago Ritchie

Al momento non so dirvi se sia possibile muoversi con una certa libertà nel resto dell'arcipelago. In ogni caso probabilmente è possibile raggiungere le isolette e le spiagge intorno a Diglipur nella north Andaman e Mayabunder nella middle Andaman, percorrendo la Tunk road al momento vietata. Ultima soluzione Neil Island 4 km x 2, appena sotto Havelock. Molto complicato arrivare a Little Andaman a sud. In ogni caso se intendete uscire dal ghetto di Havelock vi occorreranno almeno una settimana/10 giorni. Comunque assoluto divieto di avvicinare gli indigeni. 




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