Pescatore |
Corbyn's Cove |
Il succo di guava al banco della colazione è un piacere
dolce e sensuale che scorre adagio e fresco in gola, spargendo aromi così
complessi, che non riesci a spezzettarli nel tentativo di distinguerne le
singole parti. Devi dunque portarne con te il bouquet complessivo, rinunciando
ad indagarli. Il sapore ed il profumo del succo di guava è una metafora
dell’Oriente, affascinante e complessa mescolanza di sensazioni esotiche che ti
sa avvincere e ti lega per sempre. Va beh, ne bevo ancora un bicchiere prima di
raccogliere le mie masserizie e lasciare definitivamente il sopravvalutato Wild
Orchid, che perdono proprio per la colazione. Fuori aspetta la macchina che ci
porta al molo dove comincia ad affollarsi la gente per il traghetto della Makruzz
che ci riporterà a Port Blair. Esauritele solite peripezie, trovati
l’ufficietto nascosto della compagnia per fissare i posti, registrati i nomi
sul solito inutile librone e controllati i passaporti, caso mai volessimo
imbucarci ad Havelock scomparendo nella jungla e rinunciando per sempre a
ritornare, riusciamo finalmente a salire sulla nostra nave che, all’ora fissata,
lascia melanconicamente il porto con due colpi di sirena, doppiando il faro
delle punta e scorrendo poi velocemente davanti a quella Elephant beach a cui non
siamo neppure arrivati, ma che, a vista non differisce molto dalle altre.
Prima del bagno |
Quando
sbarchiamo al molo di Phoenix bay è ancora mattino presto e l’albergo saprà
consigliarci su qualche giro nei dintorni che meriti. Scartiamo le turistiche anche
se vicine, Viper island e Ross island, giacché mi dicono che a parte le rovine
delle strutture carcerarie ci sia poco altro da vedere. Il driver si offre di
accompagnarci fino a Corbyn’s cove, la spiaggia più vicina fuori città, che ha
uno stile assolutamente indiano contemporaneo. Si tratta di una piccola insenatura
segnata da una bella falce di sabbia scura incuneata nella costa rocciosa ad
est dell’isola. C’è anche qualche banchetto con le solite collanine e
braccialetti di conchiglie, mentre famigliole e ragazzi in vacanza dal
continente passeggiano sulla battigia. In realtà, quasi nessuno si bagna,
specialmente le ragazze, drappeggiate in sari colorati o nei più castigati salwar
camiz che coprono completamente ogni traccia di nudità. Molti però fanno la
coda per usufruire di un giro sulle rumorosissime moto d’acqua che fanno la
spola fino all’isolotto di fronte alla spiaggia, caricando fanciulle che
squittiscono di eccitazione. Poi qualcuno stende tra i palmizi una coperta e
compaiono i vari onnipresenti cesti da picnic.
Bewarw the crocodiles |
Qualche vacca passeggia tra i
gitanti, ma con discrezione, tenendosi alla larga per non essere scacciata come
i cani questuanti. Si accontenterà degli avanzi che spesso rimangono ad
insozzare la spiaggia. Purtroppo non è ancora chiaro che i tempi sono cambiati
e che, un tempo i rifiuti, tutti organici, scomparivano velocemente, anche
grazie all’aiuto degli animali che popolavano i dintorni, adesso invece, la
metà dei residui prodotti è costituita da plastica, che le vacche anche con
grande volontà, vista la fame atavica, non riescono a far sparire. Quindi la
spiaggia è irrimediabilmente piuttosto sporca (anche grazie ai consistenti
lasciti delle vacche stesse) e prima o poi anche qui ci sarà una sorta di
violenta avversione diffusa verso la incolpevole plastica, invece che verso la
stupidità di chi la utilizza senza preoccuparsi del suo smaltimento. Ma non
turbatevi, tutto ciò è comune in ogni parte del mondo, si punta sempre al dito
colpevolizzandolo invece di guardare alla luna. Poi ci si buttano sopra i
politici che fiutano l’osso del consenso facile, magari inseguendo qualche
masaniello populista da strapazzo in cerca divisibilità. Ma intanto lasciamo
stare e godiamoci l’acqua calda del mare del sud anche se piuttosto torbida e
ricca di alghe.
Dal Bunker |
Direi che non bisogna far troppo caso al cartello giallo che
consiglia prudenza, causa coccodrilli marini, che comunque con il casino che
c’è qui intorno, saranno sicuramente andati a rifugiarsi in qualche posto più
tranquillo. Tra le mangrovie lontane dalla città. Sugli scogli che delimitano
la baia ci sono ancora tracce di bunker giapponesi eretti in fretta e furia
durante l’occupazione del ‘42, messi lì a monitorare questo avamposto del golfo
del Bengala, su cui ben poca attenzione era stata posta prima di allora. Dalla
feritoia puoi controllare tutta la spiaggia e difendere facilmente l’approdo da
qualunque tentativo di sbarco. Chissà cosa avrà fatto la guarnigione lasciata a
guardia di questo avamposto, una fortezza Bastiani a guardia del nulla, non già
ai margini di un deserto infinito, ma qui in mezzo al mare blu scuro, quello
che oggi invece si vuol far passare per un paradiso. Va bene che allora ci sarà
stata sicuramente una bella botta di malaria a tenerli vigili e preoccupati.
Nella laguna retrostante la spiaggia intanto, un pescatore lancia una rete con
mossa esperta. I piedi a mollo nell’acqua bassa, fa un largo giro a pendolo con
la corda trattenuta nella mano destra, poi con una larga sventagliata getta i
pesi lontani il più possibile.
Light & sound |
La grande rete si allarga come un fiore,
conquista spazio risalendo verso l’alto, poi raggiunta la massima estensione
scende lentamente come un paracadute, adagiandosi sull’acqua che a poco a poco
la accoglie in sé, la sommerge, la lascia scendere a fondo, insidia muta e
mortale per chi le passerà sopra. Dopo poco ecco che con rapida mossa, l’uomo
tira la fune centrale che chiude il sacco e poi è solo questione di forza per recuperare
il tutto, mentre l’acqua fuoriesce liberandola dal peso e lasciandola infine
emergere completamente, ma, ahimè desolantemente vuota. Duro anche qui il procurarsi
cibo, con la sola forza delle braccia. Intanto il sole comincia a scendere alle
nostre spalle, baluginando tra le fronde della foresta retrostante. Ce ne
torniamo in città. Ci sarà il tempo dopo cena per lo spettacolo Light&sound
all’interno della Cellular Jail (che non c’entra nulla coi telefonini, che al
tempo nemmeno c’erano). Ci sono tutti gli ingredienti, il venditore di
magliette ricordo, la gran folla nazionalista commossa davanti alla sofferenza
della propria gente che ha loro donato l’indipendenza ed il fascino delle luci
che giocano sulle superfici bianche dei muri e delle celle. Bene, è venuta
l’ora di andarcene a letto, ci sarà il tempo di rimuginare sul senso di questa
puntata sulle isole, mentre ce ne torneremo nel continente a cominciare la prossima
storia.
Vita da spiaggia |
SURVIVAL KIT
Haywizz Hotel – Quasi in centro. Piuttosto comodo e
abbastanza nuovo. Camera doppia tra i 50 e i 60 Euro secondo stagione. La hall non presenta benissimo ma il resto delle camere è
valido, tutto nuovo, pulito, camere spaziose, AC, TV, ventilatori, frigo, acqua
bollente e bagno bene attrezzato e tutto funzionante. Il wifi non va granché.
Ottimo invece il ristorante, cena sulle 350 R a testa, camerieri gentilissimi.
Naan squisiti e croccanti.
Corbyn’s Cove - A 5 km dal centro. Vi ci portano senza
problemi i vari tuktuk o taxi, essendo la spiaggia più vicina alla città. Posto
non molto grande e piuttosto affollato. Spiaggia digradante con acque poco profonde
e piuttosto ricche di alghe. Ingredienti vari da spiaggia, in stile indiano,
poca offerta di rifornimenti. Posto indicato per capire come gli indiani
intendono la vacanza al mare. Per cercare altre spiagge dovrete fare invece molti
km in più o andare sulle varie isole, pernottando quindi altrove.
On the Beach |
Nessun commento:
Posta un commento