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martedì 11 agosto 2009

Cronache di Surakhis 18: Keep e Put

E’ sempre stata una questione ontologica; fin dalla notte dei tempi sono esistite tra i viventi due categorie kantiane, assolute, separate da una barriera invalicabile; poi con il passare dei millenni ciò che era scritto nel libro della natura si è andato istituzionalizzando e si sono così formate, migliaia di anni fa le due CRU (caste riconosciute ufficialmente), quella dei Keepintheass, la più numerosa, popolata e caciarona, e quella dei Putintheass, elitaria, quasi nobile, a cui non si accede specificamente per censo, nascita o merito, anche se questo aiuta assai, ma più per inclinazione naturale, per dote innata. Transitare da una casta all’altra è quasi impossibile anche se molti lo tentano invano, la propria natura ti risucchia inevitabilmente come in un magma denso e puzzolente. I Put (così sono chiamati per brevità) sono in generale forti e potenti e con questa loro forza possono permettersi di essere liberal, aperti e generosi, tanto poi spetta a loro dettare le regole della partita a carte distribuite, mentre i Keep sono brutti, sporchi e cattivi, sono deboli e poco capaci, timorosi che anche quel poco che hanno sia loro tolto; così sono facilmente e giustamente manipolabili dall’altra casta che sfruttando queste loro debolezze porta a compimento l’unica relazione esistente tra le due caste. Così sempre temendo, sono razzisti, malevoli ed egoisti, ricettacolo di tutte le nequizie, vivono decentemente solo in quegli angoli della galassia popolati prevalentemente da criptopenici. Paularius, Put da innumerevoli generazioni, era un po’ preoccupato per la quotidiana rogna che la sua posizione di presidente dei proprietari minerari gli imponeva quel giorno. Era già svanita la serenità, tipica di chi fa il proprio dovere, che gli aveva dato la serata precedente trascorsa con gli i ragazzi della Gilda delle Zilionny Rubachky, in ronda in città, dove avevano scovato un gruppetto di Andromediani clandestini in un sottoscala, dando loro la lezione che si meritavano e che d’altra parte la legge prevedeva. Anche se uno dei suoi, un piccolo Megalopenico di Antares II si era tolto delle belle soddisfazioni e se prima di tornare a casa al meritato riposo, se ne erano grigliati un paio, senza neanche mangiarseli tutti, che erano duri e fibrosi da morire, ognuno aveva riguadagnato il letto con i pensieri e il peso morale delle incombenze della giornata successiva. Infatti alle 10:00, Paularius aveva convocato la commissione dei Morigeratores per comunicare l’applicazione rigorosa della nuova legge appena approvata al Parlamento galattico, l’istituzione delle gabbie salariali a tutti i lavoratori delle miniere. Puntualmente, all’ora prevista, si presentarono in quattro, lasciando una lunga scia bavosa sul pavimento di legno pregiato. Erano gasteropodi Keep dell’emisfero Sud e anche se gli furono subito antipatici, cominciando con le solite bavose lamentazioni, li ascoltò con degnazione. Ad un suo cenno della mano cessarono però subito di sproloquiare e Paularius con poche taglienti parole rimarcò i vantaggi che la nuova legge avrebbe portato a tutti i lavoratori, in fondo era stata promulgata nel loro esclusivo interesse. Le Gabbie sarebbero state istallate appena fuori della miniera ed i lavoratori che non avessero mantenuto gli standard produttivi, mensili, s’intende, così chi avesse problemi fisici, poteva tranquillamente recuperare nei giorni successivi, sarebbe stato cosparso di sale e appeso nelle gabbie stesse per dieci giorni, affinché i vapori di cloro dell’aria gli corrodessero almeno parzialmente le appendici, a monito di tutti gli altri che, passando, sarebbero stati correttamente e senza altra coercizione, stimolati ad aumentare la produzione. Le Gabbie salariali erano il futuro dei rapporti di lavoro anche per tutte le altre galassie che guardavano a questa riforma come ad un punto fermo per i rapporti del mondo del lavoro. Uno dei Morigeratores prese la parola ed iniziò una incomprensibile giaculatoria sulla giustizia e sull’uguaglianza tra i viventi. Paularius fece un cenno annoiato e due Sardar lo prelevarono portandolo via di peso, carne buona per li strizzosauri. Gli altri tre si dichiararono moderatamente soddisfatti, anche se vollero inserire nella dichiarazione d’intenti che il loro intervento aveva ridotto la permanenza nelle gabbie di un giorno, in cambio di un prolungamento perpetuo per clandestini e Puzzoni Neri di Rigel. Niente da fare, razzisti e malevoli i Keep, era la loro natura. Paularius li guardò allontanarsi, muovendo i grassi deretani schiumosi e sorrise, lui poteva permettersi la tolleranza e la generosità dell’essere superiore, ma ragionò con tristezza, con oppositori di questo genere, ogni riforma importante diventava una battaglia e un inutile dispendio di energie. Chiamò i servi che con le fiamme ossidriche disinfettassero l’ambiente, poi si distese sui divani morbidi aspettando le escort.

lunedì 10 agosto 2009

Cervo d'agosto.

Questa mattina la pioggia batteva forte sulle lose del tetto, un ticchettio ritmato e gradevole che ti fa venir voglia di rannicchiarti meglio sotto le coperte, girarti dall’altra parte e riprendere il piacevole dormiveglia interrotto. Poi, i pesanti rintocchi del campanile proprio sopra la testa, sono proprio nove, niente da fare, anche nella ripetizione dopo cinque minuti, dicono che forse è meglio tirarsi su. Sulla piazzetta davanti a casa, alla Rosa Rossa, locanda dagli antichi trascorsi, citato anche dal De Amicis, che ha visto fermarsi nelle sue sale re e principi, le brioches si raffreddano ed è meglio non farle aspettare troppo. Assieme al denso marocchino, che qui si ostinano, chissà perché, a chiamare Collino, aprono degnamente la giornata, anche se qualche goccia scende ancora dal cielo che però mostra già un’intenzione di soleggiare. La notte è stata lunga, doveva portare ristoro ad una serata difficile, in cui, con una decina di amici, si doveva onorare uno strepitoso civèt di cervo con la polenta. I cubetti di tenera polpa frollata, avevano riposato per 24 ore in una buona bottiglia di nebbiolo d’Alba, un sereno giacere per il fiero animale di cui avevano fatto parte, assieme ad una mezza cipolla infilzata dei canonici cinque chiodi di garofano, carota e sedano, alloro ed una pioggia di bacche di ginepro. Poi, tre ore di lenta e ragionata cottura, rabboccando del vino rimasto ed un bicchiere di morbido brandy spagnolo per rifinirne l’ubriacatura, lo hanno reso degno del caldo letto di sontuosa polenta che lo attendeva per uno sposalizio di sapori ed aromi. Ne abbiamo mangiato molto per la verità, ma terminatolo, gli infami ventri, già tesi, non sono riusciti a dare regole ragionate alle gole non ancora sazie ed un vascone di altra dorata polenta che ospitava nei suoi meandri segreti almeno una buona metà in volume, di robiole e gorgonzola, sapientemente mescolate, è stato messo in tavola per terminare la funzione. Dolciumi e gelato che , si dice in Piemonte, disnàusia, ci hanno condotti al caffè ed ai distillati per preparare un sonno corposo atto a permettere al corpo di sopportare la sfida. Si dice che la polenta riempia subito, ma che poi sgonfi velocemente. Forse dipende dalla quantità. Una degna serata comunque, come sempre quando la si passa tra amici a chiacchierare amabilmente, a commentare i balli e le musiche occitane ascoltate nel pomeriggio nella festa al Forte, dove si erano alternati due gruppi con mirabili sonorità. Sì, forse da qualche giorno sono un po’ monotematico, ma da queste parti, l’Occitania è un argomento sentito, la gente ci crede, si veste in costume, balla e canta e non mi sembra, che come da altre parti, questo sia un pretesto per scivolare lungo una china sgradevole, che invece di arricchire gli altri con tradizioni passate, ne fa una scusa per incrementare odio e barriere o isolazionismi antistorici. La scritta sulla maglietta di un ragazzo del gruppo “La ramà” (davvero bravi tra l’altro, anche nei semplici suoni acustici a cui li ha obbligati l’inclemenza del tempo) mi ha rallegrato subito, recitando: “Meno ronde e più ghironde”. Mi pare un bello slogan di questi tempi.

lunedì 27 luglio 2009

Tai Ji

Cosa è Tai Ji? Quante risposte a una domanda a cui forse, come diceva un maestro, non è possibile rispondere. C’è un posto qui, sotto un vecchio larice, con una piccola radura piana coperta di erba bassa e senza pietre. L’aria sembra più fine quassù e l’essere circondati dal bosco da un senso di forza, di carica fisica e mentale al tempo stesso. Respiri profondamente, senti spirare dentro di te l’ossigeno, il sangue fluisce più rapidamente, la mente pur più vigile, si lascia andare ad uno stato di attenzione non analitica, non si appunta su alcun fatto specifico, rimane in uno stand-by attivo. Il respiro prende un suo ritmo calmo, prolungato. Poi, con lentezza inizia il movimento. Fin dall’apertura i piedi si muovono in modo ingannevolmente meccanico, la pianta stessa aderisce al suolo in maniera consapevole, considerando e ricercando un equilibrio globale. Il baricentro corporeo e mentale si abbassa istintivamente, per aderire alla terra, per facilitare il movimento, per rendere naturale ogni movimento. Le mani e le braccia si muovono con fluidità, alla ricerca di equilibrare una forza opposta e mutevole che fluttua nello spazio, scandendo posizioni, tecniche, movimenti. Lo sguardo segue un punto preciso in continuo divenire, che si sposta davanti, di fianco, dietro, a richiamare una reazione precisa in seguito ad una azione specifica. Le tecniche della forma si susseguono precise e cadenzate. Il pensiero non ha necessità di ricordarle, di prepararsi ad eseguirle in sequenza. Esse si susseguono naturalmente, perché il corpo ne conosce per imprinting il succedersi obbligato. La bella gru bianca allarga le ali e l’apparente instabilità del peso del corpo completamente sulla gamba sinistra mantiene il corpo stabile dopo la doppia parata; mani di nuvola per muoversi spostanto i colpi, mentre l’ossigeno penetra fino ai vasi più lontani; ago in fondo al mare e la posizione chinata e quasi rannicchiata del corpo aiuta la mano nel gesto di colpire; afferra la coda del passero ed i movimenti di afferrare, parare, spingere si dipanano lievi ed efficaci; accarezza la criniera del cavallo selvaggio ed ancora il corpo si sposta con naturalezza trattenendo per colpire. Un movimento scandito con lentezza che porta al termine la sequenza, che chiude la forma, che riporta il cerchio al suo equilibrio, alla posizione iniziale, alla tranquilla compiutezza. La mente rimane serena dopo. Ti puoi sedere su una roccia e guardare a valle. Sotto il grande larice, le cose assumono allora valenze differenti, come se i problemi fossero piccoli soprammobili da spolverare ogni tanto e se non ti piacciono più e ti infastidisce la loro vista, da riporre in un cassetto, definitivamente. La pianura con le sue paure, avvolta da una nebbiolina azzurra è lontana. Le ronde che la percorrono in camicie colorate, ancora di più.

venerdì 26 giugno 2009

Teheran

Sono stato solo una volta in Iran e per di più l'unica città che ho visto era Teheran. Ero partito prevenuto naturalmente e mi aveva invece molto spiazzato la cortesia, il modo di fare, voglio esagerare, un senso di nobiltà di gesto nelle persone con cui sono venuto in contatto, in aziende, uffici, personale di servizio o semplicemente nel bazar, dove non ho avuto quella sensazione sempre un po' sgradevole di assalto allo straniero che può la buona occasione della giornata, da non lasciar scappare, che ho sentito spesso in altri paesi definiti poveri. Anche nel bazar, stranamente, la gente parlava a toni bassi, senza urlare, trattando con garbo. Ecco, avevo avuto la percezione di mancanza di sguaiatezza anche dall'uomo che girava la pastella nel calderone, prima di farne palline da gettare nell'olio bollente. Tante barbacce dall'aspetto severo che si scioglievano in un sorriso quando ti rivolgevi loro; l'icona del terrorista dei fumetti che invece al di là del bancone ti chiedeva con garbo se il cambio dei 100 dollari lo volevi da 10 o da 50. Non so se è una colpa l'irsutismo e glabro non è sinonimo di buon uomo. Forse Teheran è una cosa e le periferie ed il resto dell'immenso paese un'altra; si sa che i poveri sono ancor più brutti, sporchi e cattivi. Quindi è difficile interpretare con mente serena, quanto si vede in questi giorni nei TG. E dire che è più facile farlo per chi, come noi ne è fuori e non si prende le manganellate o i proiettili o peggio ancora sarebbe contento se andasse tutto all'aria. Da quanto vedo non riesco a definire se, come credo per Tien An Men (forse sbagliando, certo), sia un movimento fortemente minoritario ed enfatizzato, se sia invece, anche se di minoranza, ma comunque forte e diffuso e quindi tale da rappresentare un momento con cui il regime si deve confrontare e fare i conti, impossibile da soffocare in questo modo, o addirittura invece la valanga che potrebbe definitivamente seppellire la teocrazia, come preferirebbe decisamente il nostro mondo. Lo vedremo nei prossimi giorni, mentre intanto i ragazzi, sempre loro, continuano a morire con la testa fracassata. Nuovi martiri per la nuova rivoluzione o solo usati, come al solito, dai prossimi signori del paese. E' curioso, tra l'altro, che orecchiando i commenti che si sentono tra le persone a noi vicine, quelli che si sbracciano di più per sostenere l'unica via possibile della guerra civile, sono spesso le stesse persone che stavano dalla parte dei sistemi usati da alcune forze dell'ordine, come per la caserma di Genova, tanto per fare un esempio a caso. Non è la prima volta che il nostro mondo si schiera con prontezza, ignorando tutto di quelle situazioni, di quelle storie, per trovarsi poi robuste sorprese. L'unica cosa che invece si deve rilevare con interesse, che emerge prepotente dai fatti, è che questa rivolta è forse la prima che viene documentata al mondo, non da giornalisti, non da inviati, che, a quanto pare , sono ormai assenti completamente, i pochissimi presenti arrestati o impossibilitati a comunicare, ma dalla tremenda potenza del nuovo mezzo mediatico che qualcuno ancora sottovaluta. I telegiornali di tutto il mondo fanno il pezzo con gli spezzoni di Youtube e i messaggi di Twitter; sono i giornali di domani, bisogna sottolineare questo fenomeno del tutto nuovo e travolgente. Sono le persone comuni a fare informazione e pur in una situazione così caotica, pericolosa e tragica, non si possono far tacere. Riprendono (e riprenderanno dovunque capiterà nel futuro) dalle finestre e dai portoni le Ronde in camicia verde (o di altro colore) dei Basiji che spaccano le teste di chi non la pensa come loro; che i regimi autorizzano ad operare, come è sempre successo nei paesi che a poco a poco precipitano nelle gorgo delle dittature, in luogo delle forze ufficiali di polizia, che forse esiterebbero di fronte a un modus operandi violento o assassino. Bisogna ragionare molto sulla potenza del mezzo e sulla garanzia che conferisce alla libertà e quindi contrastare decisamente ogni proposta di controllo dello stesso , anche se coperta da scuse di vario tipo, dalla protezione dei diritti d'autore e compagnia cantando. La rete si sta rivelando come il più potente, innovativo e libero tra i mezzi a disposizione dell'uomo, non perdiamolo e teniamo i riflettori accesi su Teheran.

domenica 17 maggio 2009

Cronache di Surakhis 14: ordine e sicurezza.

La notte scende di colpo su Surakhis. Un attimo di luce ciano nel cielo dopo che è spuntata la prima luna, poi qualche baluginio di indaco violaceo ed è subito buio. La temperatura scende rapidamente e la gente scompare in casa prima che cominci a flocculare dal cielo il metano. Paularius si preparava con calma, aveva ancora più di un'ora di tempo. La nuova divisa delle Ronde della Sacra Gilda della Separazione Fisiologica gli piaceva moltissimo, con gli alamari neri, gli antichi simboli sul braccio, la fondina per il manganello storditore. Gli aveva apportato una piccola modifica, illegale ma tollerata. Ogni colpo stordiva di certo, ma definitivamente. D'altra parte la sicurezza deve venire prima di tutto, solo quel coglioni di Morigeratores si perdevano nei dettagli. La legge non era abbastanza severa, questo lo dicevano tutti e le astronavi smandrappate dei traghettatori, passavano lo scudo temporale con facilità irrisoria. Andromeda era così vicina e si sospettava che il loro imperatore chiudesse un occhio sui campi di raduno in alcuni pianeti secondari, dove si ammassavano gli andromediani non atti alla schiavitù per tentare il salto. Si diceva che in cambio chiedesse un paio di figli per le cave di zunbo di cui la galassia era sempre affamata. Così, le astronavi stipate, ma in fondo, se allineavano bene i tentacoli, non ci si stava neanche scomodi e c'era aria a sufficienza se la traversata usava la curvatura regolare, prendevano il volo e nonostante i pirati di organi, che ne intercettavano parecchie e gli errori di rotta, almeno il dieci per cento riusciva ad arrivare. Ecco perchè ci si trovavano le strade piene di questi viscidi octopoidi puzzolenti buoni solo ad occupare spazio. Si aggregavano per loro naturale propensione nella zona della colossale centrale a merda che era sorta nei pressi della capitale. Certo la puzza era terrificante, ma per quel ciarpame l'aria era fin troppo pura. La maggioranza di questi lavorava illegalmente badando ai vecchi di Surakhis a cui la lunga esposizione all'atmosfera acida copriva spesso il corpo di piaghe, in quanto le secrezioni di quei viscidoidi le guarivano rapidamente. Naturalmente appena schiattati i vecchi, i nipoti si affrettavano a consegnare gli illegali alla forza pubblica che li eliminava rapidamente, ma anche questo era un costo a carico della società, anche se sembrava che non importasse a nessuno. Ecco perchè finalmente erano state autorizzate le Ronde dei privati cittadini. Un poveraccio non poteva andarsene in giro tranquillamente senza essere continuamente disgustato dalla puzza che emanavano questi individui. Ordine e sicurezza, ecco cosa chiede la gente. Paularius si aggiustò il cinturone e calzò con cura la maschera mentre gli amici suonavano alla porta. Usci quasi di corsa unendosi alla allegra brigata. Il dovere è dovere, ma se ci si diverte anche un po' che male c'è.

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