In tutta l'Asia, il mercato è un luogo magico, denso di sensazioni che lo rendono un luogo che si frequenta non soltanto per la necessità legata ad una attività commerciale, ma anche solo per il piacere di farlo. Che sia un Suk arabo, un bazar turkesco, un shì chǎng cinese o uno dei tanti spazi sparsi per tutto il continente, deputati agli scambi, ha un qualcosa di più e di diverso dagli analoghi occidentali. Ovviamente i colori e gli odori sono quello che più stordiscono l'occidentale alla ricerca di esotico; la quantità degli oggetti esposti poi, che riempiono ogni spazio disponibile in una sorta di horror vacui, la disposizione delle merci, ammucchiata disordinatamente oppure ordinata in modo maniacale per meglio valorizzarla, confondono le idee per gli acquisti, ma coinvolgono gli altri sensi con una rutilante gamma di emozioni. Le esposizioni di frutta colpiscono soprattutto per la varietà e la presenza di prodotti che conosciamo poco; montagne di mangoustine, di durian puzzolenti, banane di fogge diverse, ramboutan pelosi, datteri freschi e succulenti e cento altri frutti sconosciuti, verdure ignote per cucine altrettanto misteriose e quindi stimolanti; i mercati del pesce, invece, li attraversiamo a fatica, respinti dall'odore nauseabondo, mentre in quelli della carne accorriamo estasiati a fotografare i nugoli di mosche che si affastellano sui rognoni beanti. Nei mercati si vende di tutto, prodotti e prestazioni, il barbiere, il dentista all'aperto che misura dentiere usate, il sarto che ti fa un vestito su misura pronta consegna, giri un po', torni e il vestito è bello e pronto. Ma quello che ci attira più di tutti, alla fine è sempre quello delle carabattole, oggetti vari, gioielli poveri, arte varia, cose insomma da portare a casa per marcare il territorio, per portarsi via un pezzettino di anima, per fare propria almeno una parte infinitesima di quel luogo. I venditori si dividono in due categorie, quelli che si affannano cercando di attirare il passante, magnificando la merce proposta o la convenienza del prezzo, agitandosi negli stretti passaggi per indurti a fermare lo sguardo, a chiedere quanto costa e quelli che, apparentemente disinteressati a quanto li circonda, si abbioccano in un angolo del loro bunker in cui manca sempre lo spazio, in posizioni innaturali, magari dentro un vaso, sorvegliando i confini del banco con l'occhio a mezz'asta, tra lo stanco e il fintamente annoiato, ma prontissimi ad avventarsi sul cliente in sosta. E veniamo infine alla trattativa, gioia e dolore di ogni turista; insoppotabile e fastidioso rito da compiere o divertimento irrinunciabile che appaga più del'acquisto stesso. Anche qui, due scuole di pensiero distinte. Per parte mia, me la godo asolutamente a passare il mio tempo in quella squisita schermaglia psicologica che è la trattazione del prezzo, una vera e propria battaglia, una partita a scacchi dove si possono attuare sottigliezze mentali inimmaginabili. Qui si apprezza la differenza tra il viaggiatore che può assaporare il momento ed il turista frettoloso. Avendo per tutta la vita svolto lavori di carattere commerciale, ho sempre considerato la contrattazione per l'acquisto di un minuscolo anellino di lega come un interessante ed utile esercitazione, dove imparare le sottigliezze di questa arte. Come in tutte le cose c'è una tecnica di base, non mostrarsi troppo interessati all'oggetto; dopo averlo individuato, cominciare chiedendo i prezzi di altre cose; essere garbati e sorridenti entrando in empatia col venditore; mostrare di apprezzare il valore dell'oggetto che certo vale di più di quanto possiamo pagare e così via; ma poi, come in tutte le espressioni artistiche, la tecnica, pur valida, non basta, ci vuole l'estro del momento, il colpo d'ala che ci permetta di capire qual'è il prezzo minimo al di sotto del quale il nostro contradditore non può scendere. Per parte mia, ho l'abitudine di lasciare a lui sempre l'ultima parola, accettando l'ultima sua controfferta, che lo faccia sentire vittorioso nella tenzone e lo faccia ritenere, anche se spolpato, vincitore morale. Questo lascia tutti di buonumore e apre favorevolmente ad altre trattative. C'è poi una diatriba sul fatto che agli orientali piaccia tanto la contrattazione da rimanere offesi e scontenti se la si evita. Io credo che sia una leggenda metropolitana come i camelli offerti per sposare le vostre mogli, che la guida vi offre in tutti i paesi arabi, un giochetto che hanno loro insenato perchè fa tanto colore e il buana bianco lo può poi raccontare agli amici a casa sghignazzando. Così penso che il bancarellaro sarebbe più felice se il turista gli versasse pari pari l'esagerato prezzo richiesto in prima battuta, per passare al cliente successivo, ma è talmente abituato, che anche una sfibrante trattativa non lo irrita e la fa diventare parte piacevole del suo lavoro, magari sorseggiando del buon thè, che offerto al cliente, aumenta i suoi obblighi morali. In ogni caso la regola è che non ci sono regole. Così avevo cercato di addestrare mia suocera, che andava per la prima volta in viaggio in India, a non cadere nelle trappole più semplici e poichè non parlava una parola di inglese, le feci imparare le due basilari espressioni del mercato, how much, per chiedere il prezzo e too much, per cominciare la trattativa; sforzarsi ad imparare i numeri non sarebbe servito, di norma il venditore li mostra sulla macchinetta o se li scrive sulle mani. Pronta alla pugna, scese subito nel mercatino tibetano di Jampath Road, il primo impatto con la realtà commerciale di Delhi e individuata una bella tovaglia ricamata, si diresse con piglio deciso, contravvenendo ai miei consigli, sull'oggetto e rivolta al venditore, indicando il drappo col dito, gli rivolse la frase a lungo studiata: " too much". Il sikh dal grande turbante rosso appollaiato su un trespolo di legno accanto al banco, la guardò un attimo pensoso e poi disse" OK milady, for you 100 rupees only". Così l'acquisto fu perfezionato definitivamente.
mercoledì 18 febbraio 2009
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Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 116 (a seconda dei calcoli) su 250!
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2 commenti:
Complimenti Enrico!!! un pezzo d'antologia letteraria,un vero spasso! Ciao Gianlorenzo
Buonasera,
mi chiamo Felix Contin.
Mi sembra che per lei contrattare sia proprio un gioco, oltre che un'arte. Io non riesco bene a dissimulare il mio interesse per gli oggetti, la paura di perderli è troppa, questo è un mio errore ricorrente nella contrattazione. Mi chiedevo se lei sapesse consigliarmi qualcosa da leggere al riguardo, o altro, inerente l'affinamento di questa capacità,oltre che il campo. se volessi scrivermi presso la mia mail personale è felixcontin@gmail.com, comunque tornerò al post nei prossimi giorni.
Scusi il disturbo,e grazie comunque.
Felix Contin
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