domenica 22 febbraio 2009
Del maiale non si butta via niente
Un amico malizioso, mi ha mandato l'altro giorno una foto che interpreta con fantasia morbosa un particolare di una kalbasà moscovita, una sorta di salama mortadellica di grande appeal nella santa madre Russia nel periodo eltziniano. Ebbene il Miassakombinat che la produceva, era un nostro affezionato cliente, a cui avevamo fornito diverse cose, in settori assai distanti tra loro, come accadeva in quei periodi in cui alle poche ditte accreditate veniva richiesto di fare trading su un po' di tutto. La peculiarità della fabbrica, che occupandosi della trasformazione de maiali, di cui, notoriamente anche in Unione Sovietica, non si butta via nulla, era di avere molte attività collaterali alla produzione dei salami, al fine di utilizzare appunto ogni parte dei preziosi suini. Tra le altre cose, una sezione cosiddetta "artistica" trasformava le ossa in graziose spille traforate per capelli, mentre la parte non edibile del grasso meno nobile, veniva data in gestione alla sezione "cosmetica" per la produzione di creme per il corpo dalle caratteristiche miracolose. Purtroppo, in quel tempo, successivo a quello in cui i prodotti neanche si trovavano, uno dei problemi maggiori era quello di conferire ai prodotti stessi un confezionamento attrattivo a simiglianza di quelli, ambitissimi, occidentali. Eravamo stati quindi incaricati di fornire un vagone (questa era la tipica unità di misura delle forniture) di lucidissimi barattoli per una miracolosa crema da piedi, capace di ammorbidire qualunque sovietica callosità con le relative attraenti e colorate, etichette autoadesive. Eravamo naturalmente presenti mentre, nel grande laboratorio in cui, uno stuolo di donnoni paludati in camici antisettici, forse residuati provenienti da un centro di ricerche spaziali, apriva gli scatoloni dal vagone appena scaricato con gridolini da ammirazione per lo squisito design italiano. Esaminavano le etichette, lodando il gusto della grafica che avevamo commissionato con stile vagamente liberty e, dopo averle suddivise con cura accanto a pile di lucidi barattoli già posti sui banconi, si apprestarono al tentativo di applicarle. Fu l'inizio del dramma. Ogni etichetta staccata dal supporto autoadesivo, rimaneva leggermente arricciata nelle manone dell'operatrice che, mentre cercava di applicarla al vasetto cilindrico, lo faceva rotolare qua e là. Nel tentativo di inseguimento, le sfuggenti confezioni correvano sui tavoli cadendo poi rumorosamente a terra o venivano goffamente trattenuti dai gomiti delle operatrici che, con entrambe le mani impegnate riuscivano a malapena, nel migliore dei casi, ad applicare l'etichetta tutta storta. Il panico cominciava a diffondersi, mentre l'ingegnere capo, responsabile della divisione ci guardava con preoccupazione, non tanto per contestarci la tipologia della fornitura, quanto per constatare disarmato l'inadeguatezza delle strutture alla modernità che incombeva. Questo senso di inferiorità rispetto alla tecnologia occidentale assolutamente infondato, era però tipico del periodo del crollo dell'URSS e qualunque indicazione proveniente dall'occidente era presa come oro colato e produsse negli anni seguenti tragici disastri nella nascente economia russa a partire dalle truffe delle finanziarie piramidali, per arrivare allo smantellamento di industrie di alta tecnologia per sostituirle con imbottigliamenti di Coca Cola. In ogni caso il momento era critico. I resposabili ci guardavano ormai come la Madonna di Fatima, al fine di avere una soluzione che non decretasse il tragico errore nell'investimento. Utilizzammo una lavagna opportunamente presente nella sala riunioni per estrinsecare il nostro progetto. Si trattava di prendere un pezzo di legno, un'assicella, scavarvi un avvallamento della dimensione del barattolo, dove questo sarebbe stato deposto e quindi tenuto ben fermo. Sarebbe quindi stato un giochetto per le varie Tatiane e Natashe, applicare le desiate etichette. Fu subito convocato il disegnatore capo, che produsse al tecnigrafo il progetto del pezzo, inviato con un veloce messo all'officina aziendale e già nel primo pomeriggio, tutto il reparto era in grado di sfornare i primi barattoli di crema da piedi "La delizia delle estremità" e lanciarli sul mercato sottostante, come dicevano Cochi e Renato. Nella cena grandiosa che ne seguì, il presidente lodò molto il nostro fondamentale intervento, mentre il glavnij inghenier assentiva con il capo, sottolineando: "Italianskajia tecnologhia". Finì come sempre a vodka accompagnata però appunto dalla salama di cui sopra, la migliore del mondo, come precisava di tanto in tanto il Presidient, levando il bicchiere per il brindisi.
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