giovedì 14 gennaio 2010

El rincòn proletario.

San Cristòbal de las Casas è una pigra cittadina coloniale distesa sui contrafforti digradanti delle montagne del Chapas. Le lunghe vie che si intersecano ortogonalmente, dividendola in quadrati regolari, degradano lentamente a valle, creando lunghi scorci dove la vista si perde lontana tra le brume delle nuvole basse. Una interminabile teoria di case ad un piano, dipinte a colori sgargianti ne scandiscono l’impianto preciso, interrotto dalle piazze dove sorgono maestose, le facciate dell’orgoglio latino, barocche all’eccesso, frastagliate di ornamenti complessi, totalmente ricoperte di fregi, in un horror vacui tipico del barocco coloniale. E’ una cittadina stranamente silenziosa, dove la gente cammina per le strade senza parlare, dove i molti mercati che, quasi per assimilazione al non lontano Guatemala, sono una esplosione di colori forti, di stoffe iridate persino eccessive nelle forme primitive che simulano uccelli dal piumaggio spumeggiante, piante e fiori rigogliosi, stilizzazioni e geometrie complesse, non risuonano mai di quelle grida, di quel brusio così comune ai luoghi di aggregazione del commercio di ogni parte del mondo. Questi mercati sono popolati di Indios, soprattutto di donne che al mattino presto portano le loro cose, si siedono, magari a terra e le espongono in silenzio tenendo al collo un bimbo. Sono visi duri, forse li potresti definire tristi, sono gli stessi che hai visto intagliati nella pietra delle piramidi dei templi. Sono volti di un mondo vinto, sovrastato da una civiltà differente a cui non cerca neppure di adeguarsi, diresti che la sopporta per sopravvivere, per andare avanti con rassegnata attesa. Anche la contrattazione, non dà la stessa soddisfazione degli altri luoghi dello scambio. E’ breve, stanca, se non si raggiunge subito l’accordo, non viene insistita, anzi la controfferta è spesso rifiutata, quasi con fastidio. Nell’aria si sente chiara la situazione di provvisorietà, di un potere centrale mal sopportato, di una forza di contrasto locale evidentemente tollerata per evitare problemi più grossi, dovunque incombe, non nominata, ma reale e costante, la presenza incorporea del subcomandante e dei suoi seguaci. Tutto ufficialmente è controllato dallo stato e dalla chiesa, ma la crosta esterna ricopre la verità sottostante del potere e delle credenze religiose locali, un sincretismo che accetta la forma esteriore di Santi e Madonne, ma che li sostituisce nella mente della gente con gli dei preesistenti che vogliono i loro riti, le loro offerte, le loro cerimonie. Le chiese stesse, sono un po’ spazi aperti, dove non vedi circolare preti tradizionali, che si fanno vedere solo in rare occasioni, ma luoghi dove la gente va, chiede le proprie grazie, offre candele, segue rituali particolari, personali. Noi ci muovevamo in questo mondo rarefatto, affascinati e quasi straniti da questa atmosfera così poco latina. Poi una sera, passeggiando per digerire un abbondante cena con tacos, guacamole, queso fundido e uno strepitoso asado di capretto presso un’ insegna che recitava “Rincon proletario – cocina economica” seguimmo un effluvio proveniente da una viuzza laterale. Un profumo di caffè intenso e gradevole che ci condusse in un piccolo negozio quasi interamente occupato da sacchi rigonfi, un piccolo banco e qualche sgabello di legno. Nel retro oscuro, delle artigianali macchine da tostatura svolgevano il loro lavoro silenzioso. Eravamo come completamente avvolti da un aroma intenso ed allo stesso tempo delicato. Miguel, appena qualificatici come italiani, ci prese in consegna stretta e ci volle far provare il meglio della sua produzione che spaziava tra tutti i migliori caffè della zona coltivati al di sopra dei duemila metri, su cui vantava conoscenze approfondite e competenza di comporre miscele di grande qualità. Ne testammo molte varietà, sotto i suoi sguardi compiaciuti, prima di assicurarcene un paio di chili da riportare a casa. Dormimmo poco quella notte, chissà se per l’altura o per l’eccitazione del viaggio a Chamula che avremmo fatto la mattina dopo.


4 commenti:

Angelo azzurro ha detto...

A leggere del suo profumo, mi è venuta voglia di farmi un caffè!
( la qualità non somiglia di sicuro a quelle da voi assaggiate, però...)
Saluti

Enrico Bo ha detto...

Però un caffè fa sempre bene!

fabristol ha detto...

Purtroppo non sono riuscito ad andare a S. Cristobal, peccato... Però ho visto molte donne Maya a Palenque e condivido la tua descrizione. Il volto scuro di pietra, impassibile, silenziose, lente ma precise. Mi ricordano le anziane del nuorese.

Unknown ha detto...

Anche i peruviani e gli ecuadoregni non sono nè allegri nè rumorosi, tutt'altro. D'altra parte loro non sono latini, i latini sono quelli che gli sono capitati sul groppone...

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