Lasciammo il Chapas la mattina presto con un pullman delle linee nazionali. E' un buon modo per spostarsi in Messico, poco costoso e assolutamente confortevole. Con questo credevamo di arrivare fino ad Atitlan come recitava il biglietto, ma nulla è più incerto della certezza. Dopo tre ore di selva arrivammo tranquilli alla frontiera guatemalteca. Ci mangiammo un paio di tacos ad una bancarella, quando vedemmo con orrore che stavano scaricando i nostri bagagli. Bisogna stare attenti ai bagagli, anche da quelle parti, così, presidiandoli venimmo a sapere che per proseguire bisognava cambiare mezzo. Ed eccolo finalmente arrivare sbuffando. Era quello delle pubblicità Alpitur, turisti fai da te, ahiahiahi! decisamente meno confortevole del precedente, soprattutto nella ricerca di una posizione che permettesse di tenere d'occhio che il nostro bagaglio, posto sul tetto, non venisse scaricato da mani distratte alle varie fermate. Dovemmo cambiare pullman altre due volte, man mano che si procedeva verso sud, attraversando paesi dai nomi dal sapore alessandrino/lombardo, Quetzaltenango, Momostenango, Huehuétenango (quest'ultimo più napoletano salito a Milano), sempre più sfasciati e ansimanti. I sedili erano da tre posti, considerando le chiappe ridotte degli Indios degli Altos; io, che occupavo più spazio del consentito, ero un po' stetto tra due donne che avevano posato una stia di galline nel corridoio, mentre la bambina e Tiziana si erano accoccolate dietro, con una vecchina che sonnecchiava con la testa bassa. Che differenza con i bus dell'oriente. Nessuno attacca bottone, nessuno che ti chiede quanti figli hai, da dove vieni, nessuno chiacchiera fino allo stordimento, soltanto la musicassetta sparava a palla musica locale. Solo facce di povera gente che ha voglia di essere lasciata in pace. Dopo San Francisco salirono anche due ragazzi italiani con gli occhi pieni dei colori che li circondavano, ebbri della bellezza della selva che copriva i fianchi dei vulcani. Quando salimmo sul bus colorato che doveva percorrere l'ultima ripida discesa verso il lago Atitlan, mentre trasporatavamo i bagagli, raccomandai loro di stare attenti al portafoglio, occhieggiante dalla tasca posteriore dei jeans di lui, che mi sembrava il più svagato. Ci ringraziarono, felici e sorridenti dell'avventura che stavano vivendo. Atitlan è uno zaffiro blu perduto fra tre coni vulcanici, una enorme caldera frastagliata con piccoli paesi sulle rive scoscese. Il filo di fumo che esce dal Volcan San Pedro ti ricorda che questa è terra ballerina, che ogni tanto pretende il suo pegno di vittime più o meno numerose. La superficie del lago sembrava uno specchio lucente in assenza del soffio dello Xocomil, il vento che verso mezzogiorno ne increspa la superficie. Nell'aria sottile dell'altura i colori, o forse le nostre sensazioni erano sovradosate, i nostri recettori li percepivano violenti ed estremi, eppure niente funghi particolari a colazione. Arrivammo che era quasi sera a Panajachel, un piccolo paese sulla riva nord, fatto di case bianche e di piccole villette coi giardini disordinati, dove il rigoglio della selva combatteva ogni giorno per riprendere il sopravvento sugli uomini che ci abitavano. Prendemmo i bagagli per andarci a cercare una pensioncina dove godere del lago per qualche giorno e salutammo la coppia di italiani che si guardavano intorno un po' straniti. Lui teneva una mano sulla tasca dei jeans, ma non aveva la voglia di imprecare. Gli avevano rubato il portafoglio.
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5 commenti:
Enrico, ma sei stato ovunque! Grande!
eh, ma sono vecchio , mon chèr!
Enrì, che bel racconto. Un reportage testuale. Mi è sembrato per un attimo di vedere il lago Atitlan, zaffiro blu perduto fra tre coni vulcanici...
E poi le tue riflessioni dal sapore quasi filosofico:"...ma nulla è più incerto della certezza".
Un bel leggere e un bel sentire...
Ciao, amigo!;)
Chissà che meraviglia quel lago incastrato tra i vulcani. Ti invidio(bonariamente, eh) sempre un pò quando leggo i tuoi post...
Grazie Annarita, è un po' la filosofia della terza età.
Angy , quel posto è magico domani ci navighiamo un po'.
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