giovedì 11 febbraio 2010

Andare al massimo.

C'è un sacco di gente che dice che i vari Facebook, Twitter, Skype e compagnia, siano una gran perdita di tempo per ragazzini o per gente che ha voglia di cazzeggiare in ufficio. Sarà pur vero, ma l'altro giorno, dalle nebbie del passato, proprio grazie a questi strumenti, hanno bussato alla mia porta due vecchi amici che non vedevo, né sentivo, più o meno da 40 anni. Eccoli lì, al di là dello schermo davanti ad una webcam, non molto diversi da allora, a chiacchierare di cosa è successo in tutti questi anni a prometterci di fare la rimpatriata, che tanti cinici sostengono di essere cosa tristissima (vedi il verdoniano Compagni di scuola) e che io invece trovo sempre molto piacevole e rilassante, come tutti i vecchi che si lasciano andare all'onda del passato in un dolce naufragio. Certo eravamo ragazzini, io quantomeno ero uno dei più piccoli e quindi non avevo neanche ancora ben chiaro cosa sarebbe stato della mia vita, in quelle estati in campagna. C'era in compagnia, un amico ricco, che passava l'estate dalla nonna, in una splendida villa d'apoca, almeno così appariva ai miei occhi di ragazzino che ben poche cose aveva visto e che mi sembrava enorme e bellissima, con grandi saloni in cui perdersi e che oggi, un po' svaniscono nel ricordo. Quella che mi affascinava era la sala del biliardo che rappresentava per me uno status talmente elevato da incutere una specie di reverenza, in particolare verso la vecchia nonna che si vedeva di rado. I suoi genitori non li vedevamo mai, sempre impegnati altrove, mentre lui ci ospitava, nei caldi pomeriggi estivi, complice la piscina. Era particolarmente estroso e determinato, il nostro amico. Un po' più vecchio di me, di certo la sua posizione sociale gli aveva fatto accumulare esperienze che lo mettevano su un piano di predominanza assoluta rispetto a noi, che pur paritariamente gravitavamo presso quella corte. Era sempre pronto a ideare nuovi giochi avventurosi e coinvolgenti nel grande giardino che circondava la casa. Un pomeriggio lo trovammo che aveva appena terminato, credo grazie all'aiuto di un suo fratello maggiore, alcuni carrettini su cui misurarsi in una corsa giù per la discesa che conduceva all'ingresso della villa. Allora, questo era un gioco comune ai ragazzini arditi; la sofisticatezza del mezzo dipendeva solo dalle possibilità dei concorrenti nel costruirsi questa specie di veicolo basso sui cui assi venivano montati dei grossi cuscinetti che fungevano da ruote, mentre lo sterzo si otteneva mediante una corda che tirava verso di sé la destra o la sinistra dell'asse anteriore durante la discesa. L'abbrivio, se l'inizio della discesa non era sufficientemente ripida, era ottenuto dalla spinta potente di un compagno assistente, poi la pendenza della strada faceva il resto. Una specie di skateboard ante litteram su cui si viaggiava seduti in equilibrio instabile, seguito sempre da rovinose cadute al termine della discesa quando i piedi non bastavano a frenare la velocità. Il nostro amico era particolarmente spericolato e anche quel giorno si lanciò senza paura, dopo la mia spinta, lungo il vialetto di bassi alberi, prendendo sempre maggiore velocità, mentre gli altri dietro, più moderati cercavano di rallentare la marcia lasciando strisciare i piedi sulla ghiaietta fine e pericolosa. Lui no, non gli piaceva frenare, voleva sempre andare al massimo e anche quella volta, arrivato al termine della corsa, quando la stradina terminava sulla strada provinciale, tentò inutilmente di fermarsi con una sterzata decisa ma inutile. Il carrettino attraversò la strada, dove per fortuna non passava nessuna auto (com'erano poche le macchine in giro allora) capottandosi su un mucchio di ghiaia dall'altra parte. Solito seguito di ginocchia sbucciate che erano una specie di marchio di fabbrica di cui nessun ragazzino riusciva a fare a meno. Senza lacrime o lamentazioni particolari, volle subito ripetere la discesa, anche stavolta senza controllo. Si leggeva nei suoi occhi una forte determinazione ad osare, a cercare il suo limite, quello che si vorrebbe oltrepassare; si capiva già che avrebbe cercato una vita spericolata. Finito quel periodo, quando tutti ci perdemmo di vista, affrontando quelle che sarebbero state le sfide del nostro futuro, per parecchio tempo non seppi quasi più nulla di lui, se non parecchi anni dopo, quando saputolo essere diventato importante, lessi che era morto di AIDS.

4 commenti:

Gianna ha detto...

Grazie a FB ho ritrovato miei "vecchi" alunni.
Tutto sta ad utilizzarlo bene.

Annarita ha detto...

Bellissimo articolo, che, dalle maglie di facebook, ha fatto emergere ricordi di un passato in cui affondano le radici del presente, per effettuare una riflessione sul senso della vita pur in uno dei suoi spaccati.

Sei bravo, Enri.

Ti leggo da scuola, in un'ora buca:)

Salutoni.
annarita

laura ha detto...

Mi è venuto in mente il giardino dei Finzi-Contini...

Enrico Bo ha detto...

@Stella-è il solito problema che sta tutto nelle mani di chi usa gli strumenti, non negli strumenti stessi.
@Annarita- Meno male che era l'ora buca, se no Brunetta , brrrrrr...
@Laura- non esageriamo

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