sabato 6 febbraio 2010
La bellezza e la storia.
Non c'è dubbio che questi siano tempi difficili. Tutti intorno a me continuano a ripeterlo in un persistente e fastidioso lamentarsi, senza rendersi conto che nessuno di coloro che ci ha preceduto, ha vissuto un'epoca così bella, ricca di stimoli e di benessere come la nostra. La scienza ci ha dato molto, la nostra cultura ci permette di godere della bellezza che ci circonda, i nostri artisti ed architetti hanno popolato le nostre città di meravigliosi palazzi in cui vivere è bello a confronto di quanto era triste e disagevole il nostro passato. La scienza, le matematiche, la fisica e l'astronomia hanno aperto le nostre menti alla conoscenza di tutte quelle verità che ci hanno permesso di capire molto del nostro mondo, permettendoci di lasciare alle spalle credenze e superstizioni del passato. I medici conoscono adesso molti segreti del nopstro corpo ed intervengono in modo efficace quando, maligna, si presenta la malattia. Come è difficile però in questi tempi, governare questo popolo che è diventato esigente e infastidito da ogni difficoltà che si frappone tra sé ed il proprio desiderato benessere. Il mio popolo è diventato vecchio, ha perduto la forza e l'iniziativa che lo hanno portato alla splendida cultura di oggi ed io che devo governarlo, migliorarne il suo benessere, se possibile e pensare al suo futuro, mi trovo ogni giorno stupito di come il nostro splendore e il nostro sapere ha fatto adagiare il nostro popolo in una sorta di torpore tranquillo e senza creatività. La nostra tolleranza che ci ha fatto accettare tutto e tutti, anche i barbari violenti che premono ai nostri confini, attratti dalla nostra ricchezza e dalla nostra vita apparentemente serena, è diventata, secondo chi mi critica, una colpevole debolezza che ci fa accettare senza reagire, prepotenze ed attacchi al nostro sistema. Certo questa folla di barbari, giovani e determinati, vogliono venire nella nostra terra. Come non potrebbero essere attratti dalla sua bellezza e dalle sue ricchezze, là nel loro mondo, dove vivere è difficile, dove la povertà e l'ignoranza miete vittime e predispone quindi i più disperati ad essere facile preda dei loro peggiori maestri, quelli che hanno trasformato la loro religione, che come la nostra predicava amore e tolleranza verso il prossimo, in una ragione di odio verso l'altro, determinata soprattutto a conquistare gli infedeli e a sottoporli al loro giogo, senza accettare il loro modo di pensare. Dicono che è il loro Dio che vuole questo, eppure noi ci stiamo comportando verso di loro con tolleranza e li accogliamo senza troppe remore. Ecco, anche di questo mi accusa spesso il mio popolo ed i miei consiglieri, di concedere loro di seguire il proprio culto, di avere concesso luoghi dove praticarlo, di non imporre loro regole più stringenti che li obbligassero ad assimilarsi a noi velocemente, E non considerano il fatto che questa gente svolge lavori che noi non vogliamo più fare, ci servono in effetti, i mercati ne sono pieni e anche la nostra economia ne ha bisogno per aumentare la propria prosperità, messa così duramente alla prova in questi ultimi tempi. Anche le altre nazioni nostre amiche mi accusano, con questa politica troppo tenera nel confronto di questi stranieri di essere il ventre molle del Mediterraneo, la breccia attraverso cui l'orda degli invasori si precipiterà per distruggere il nostro mondo, la nostra cultura. Forse hanno ragione, fin dall'antica Grecia il cui pensiero è stata la fonte prima della nostra storia, fin da quando i suoi pensatori ineffabili hanno potuto e saputo condizionare il nostro mondo, sempre i barbari hanno premuto alle porte attratti morbosamente dalla ricchezza e dalla presunta facilità di vivere. Più vivi e vitali hanno premuto fino a rompere la debole diga e hanno invaso i mondi desiderati; poi, invece di devastarli come temuto ne hanno assorbito la cultura, vi hanno riversato la propria, piccola o grande che fosse e da lì è nata una nuova realtà capace di crescere ancora, di svilupparsi e di creare nuova bellezza. Certo chi rimprovera la tolleranza del mio governo, teme questo come la peste, non accetterà mai di abdicare, di mescolarsi, di riconoscere la propria decadenza. Ma temo che questo processo vada avanti da solo, senza possibilità che il suo corso venga mutato dalla volontà degli uomini. La nostra terra, lo splendido reame di Al Andalus sarà forse destinato ad esser invaso dall'orda dei cristiani violenti ed assetati del nostro sangue, con i loro vescovi che predicano la violenza, dovuta e richiesta dal loro Dio verso il nostro mondo. Forse il nostro mondo scomparirà. Ma la bellezza di Cordoba e di Granada, non potrà mai essere uccisa, seppellita dall'ignoranza. La rozzezza violenta delle croci brandite non potranno ignorare la bellezza dei nostri palazzi e le conoscenze che i nostri scienziati condensano nelle nostre biblioteche non andranno mai perdute, forse proprio da lì i selvaggi potranno recuperare la sapienza degli antichi che il loro mondo ha perduto da mille anni e che noi abbiamo serbato per loro arricchendola con la nostra intelligenza nei secoli. Non possiamo fermare la storia; io, Abū Abd Allāh, Sultano di Granada, so di essere nel giusto a proseguire lungo il mio cammino. Chi ha una cultura più avanzata non può accettare di usare le stesse armi dei barbari. Risponderò all'odio con la tolleranza, anche perchè non posso fare altrimenti, i pochi e deboli guerrieri che mi rimanevano li hanno fatti fuori tutti a Roncisvalle. Che tempi difficili!
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5 commenti:
chapeau!
Post molto interessante e vero.
Mr. Pinna mi ha preceduto, persino nella lingua. In effetti i buzzurri cristiani erano veramente strani. Anni fa ho letto un libro sulla storia dei rapporti tra islam e occidente in cui si citava un episodio del IX secolo. In un villaggio dell'Andalusia araba un gruppo di una trentina di cristiani si autodenunciò come infedele per avere il martirio. L'incredulo e tollerante califfo li convocò e commentò che erano pazzi, pertanto non potevano essere mandati a morte. Testardi, i cristiani incominciarono a confessare crimini sempre più efferati finché, qualche mese dopo, furono accontentati.
Tanto di cappello :-)
Ragazzi, grazie, quasi quasi ilo cappello lo poso davanti a me e aspetto che ci mettano le monetine. Comunque il povero sultano Abu AbdAllah nel 1942 dovette arrendersi davanti a Isabel la Catholica e a quell'altro farabutto del marito e dopo pochi secoli i costruttori dell'Alhambra sapevano a malapena rizzare tende nel deserto. Così va il mondo, bisogna farsene una ragione.
Ibn Ramatullah il Cinico.
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