sabato 27 febbraio 2010

La freccia Dhongria.

Passammo la notte in una stamberga orribile a Rayagada. La bambina era inorridita e parlò più volte di telefono azzurro o quantomeno di denunciarci alle nonne, ma quello era il massimo che passava il convento e almeno ci eravamo levati dal fango delle strade. Dopo una notte buia e tempestosa partimmo al mattino presto attraversando le risaie attorno alla cittadina. Durante la notte era venuto giù un mezzo diluvio e anche nelle prime ore del mattino il monsone era insistente. Nei piccoli campi le donne si riparavano accovacciate sotto enormi cappelli conici continuando il loro lavoro di trapianto come nani da giardino. Pian piano la jungla prese il sopravvento sui campi e quando fummo sulla pista di montagna che portava ai vilaggi dei Dhongria Khondh, isolati e in qualche caso inaccessibili durante il monsone, assunse un aspetto decisamente salgariano, fitta, umida e misteriosa. I Dhongria, sono il gruppo dei Khondh più isolati e meno toccati dalla civilizzazione indoccidentale. Vivono in una dozzina di villaggi nascosti sulle montagne Niyamgiri coltivando ortaggi, ma vivendo soprattutto come cacciatori-raccoglitori di radici e frutti della foresta. Mantengono più degli altri gruppi le tradizioni legate ai sacrifici alla Madre Terra e per questa ragione sono il gruppo tribale che si sta opponendo con più convinzione alla Vedanta Resouces di prendersi le loro montagne. Le caratteristiche che li rendono pìù riconoscibili sono i tre anelli di bronzo alle narici per le donne ed una piccola ascia che gli uomini portano sempre sulla spalla come si può vedere in questo video di Survival che già vi ho segnalato. Tutti portano i lunghi capelli in crocchie fermate da file di forcine. Arrivammo al villaggio mentre ancora pioveva e percorremmo il grande spazio in salita tra le due file di grandi capanne dai tetti di paglia che correva dall'alto al basso per agevolare il flusso dell'acqua. Le giovani stanno in una grande capanna comune in cima al villaggio dove vengono raggiunte alla sera dai ragazzi dei villaggi vicini che si trattengono lì durante la notte, durante la quale si sviluppano le conoscenze che sfoceranno nei futuri matrimoni. Il tabù di evitare le ragazze del proprio villaggio garantisce un minimo di ricambio genetico. Qui, dopo il tramonto si fa largo uso di bevande fermentate che favoriscono balli e canti sfrenati; l'omosessualità è comune e questi ragazzi vivono di norma nello spazio femminile usando lo stesso tipo di anelli ed acconciature senza subire alcun tipo di intolleranza o discriminazione. Per la verità i Dhongria sono piuttosto selvatici e non amano molto che gruppi di curiosi vadano a rompere loro le scatole, così il nostro Prakash , ci disse di tenere un profilo basso e di non esibire le macchine fotografiche. Ma essere solo in tre è un grande vantaggio e riuscimmo a non disturbare più di tanto, stando bene attenti a non penetrare nel piccolo recinto al centro dell'area centrale dove campeggiava bene in vista il palo a cui vengono legate le vittime dei sacrifici, un area sacra da rispettare. Ce ne andammo dopo un po', sotto una pioggerella sottile, lasciando una atmosfera di grande rilassamento con gli adulti coricati nelle grandi capanne che fumavano grandi sigari artigianali e bambini che scorrazzavano nella fanghiglia in fondo al villaggio. Prendemmo il lungo sentiero che costeggiava un torrente gonfio di acque fangose, camminando con fatica nella foresta anche se l'aria non era molto afosa, data l'altitudine. Ci voleva un'oretta di cammino per raggiungere l'auto, ma camminare nella jungla dava un grande senso di scoperta. Verde ovunque, grandi alberi che circondavano piccoli spazi aperti, rumori selvatici e ignoti ma non paurosi, nencha la pioggia rada sembrava più fastidiosa. Tra due alberi uno scintillio di colori vivaci ci fermò di botto. Una bellissima ragazza si muoveva con grazia tra gli alberi raccogliendo bacche; aveva accanto a sé un canestro quasi pieno di papaye selvatiche. Ci guardò sorridendo e io non seppi resistere, scattando veloce. I clack secchi dello specchietto della reflex erano gli unici rumori della selva, quando d'improvviso dall'alto, tra gli alberi si udì un gran frastuono di rami spezzati ed un vociare irato. L'accompagnatore della ragazza, da una forcella tra i rami, mentre staccava frutti maturi, cessò d'improvviso la sua attività e con grida minacciose tese un piccolo arco su cui aveva incoccato una freccia dall'aspetto inquietante. Prakash si mise subito a gridare facendo grandi gesti con le mani, richiamando l'attenzione del ragazzo che scese, scuro in volto dall'albero con la corda tesa e la freccia ancora icoccata rivolta verso di me. Ci profondemmo in scuse sentitissime che rabbonirono l'iroso accompagnatore. Non so cosa gli raccontò Prakash, ma quando tornammo alla macchina la coppia aveva assieme alle papaye una ventina di rupie in più e io due frecce da appendere al muro.


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2 commenti:

MilleOrienti ha detto...

che meraviglia...in particolare per me, che per sport tiro con l'arco...ti invidio....:-)

Enrico Bo ha detto...

pensa che avrei potuto comprare anche l'arco, in effetti mi sono pentito.

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