lunedì 22 febbraio 2010

Rosso tandoori.

Sto cercando una scusa per parlare un po' più a fondo dell'Orissa. Sapete già che mi piace vedere come è fatto il mondo, magari per cercare pretenziosamente di capirlo. Ma più che la bellezza dei luoghi e delle opere dell'uomo, che pure spesso mi lasciano senza fiato, sono attratto dalla gente, soprattutto quella meno omologata alla mia cultura, che cannibalizzando con la sua forza di attrazione tutte le altre, lascia sempre spazi minori alle diversità e alle loro ricchezze (in positivo, ma anche in negativo naturalmente, sono attratto da tutto meno che dal mito del buon selvaggio). Uno dei luoghi (assieme all' Indonesia) più ricchi di questi aspetti è l'India e lo stato dell'Orissa in particolare, con oltre una cinquantina di tribù di Adivasi, ossia popolazioni preesistenti all'invasione ariana che da nord, è penetrata in India qualche migliaio di anni fa sostituendo quasi totalmente le popolazioni locali. Le più isolate hanno resistito, conservando quasi al completo usi, religioni, aspetto e lingue. Così qualche anno fa, la mia famigliola, composta di curiosi di conoscenza allo stesso grado, anche la bambina è stata ormai contaminata, credo, si è ritagliata un giro da quelle parti che consiglierei assolutamente a chi ha i nostri stessi pruriti. La base di partenza è Bubaneswar, la capitale dello stato. Si capisce subito di essere lontani dall'India rampante del BRIC e dei softwaristi. Ci si cala in una città abbastanza tranquilla e meno caotica delle grandi metropoli, direi più campagnola. I turisti in giro sono pochissimi e ci si può aggirare nei molti templi della città quasi deserti, apprezzando la antica severità della pietra, le costruzioni qui più semplici e meno barocche di quelle dei secoli successivi e proprio per questo più intense, con la selva di stupa rossicci per la pietra locale, levati verso il cielo come ogive di missili in attesa del lancio. Le piccole figure scolpite sui pilastri a scandire, cadenzate, gli spazi, danzatrici nelle pose più classiche, animali o gruppi, sono più rade e meno ammiccanti che in altri luoghi, ma sempre eleganti e mai rozze. Grava una sensazione di composta bellezza. In uno dei più belli ed antichi, il tempio Hudaighiri, un bramino a torso nudo attraversato solo dal filo di cotone che scendeva dalla spalla sinistra, che gli era stato apposto alla nascita, ci seguì con uno sguardo stanco dopo aver ricevuto l'offerta per la puja di rito. Camminammo a lungo sul selciato di pietra antica per aspettare che il sole, continuamente coperto dalle nuvole gonfie del monsone agostano, calasse dietro le cuspidi il cui rosa diventava più intenso, fino a diventare rosso vivo, rosso come il magro pollo tandoori che ci aspettava a cena, unici stranieri, circondati, pur in un tre stelle piuttosto modesto, da sette camerieri che si intralciavano l'un l'altro nel tentativo di guadagnarsi la mancia. Il giorno dopo sarebbe cominciato un lungo giro in una jungla fitta e popolata di piccoli villaggi.

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7 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Enrico, adesso mi devi spiegare bene la storia del filo bianco del bramino...

Enrico Bo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Enrico Bo ha detto...

caro Pop la tua curiosità è sospetta. sappi dunque che in una particolare cerimonia detta Bramaciari(non avviene ad una età precisa, ma in generale da bambini) al giovane bramino da iniziare viene dato tra le altre cose (filo d'erbe, pelle di cervo ecc.) un filo bianco di cotone detto eheh Puttanul che lo cingerà attorno al corpo sulla spalla sinistra fino al fianco destro e che non sidovrà togliere per tutta la vita. Per una descrizione precisa dellacerimonia che dura più giorni guarda :


http://books.google.it/books?id=RNUYQAEERT8C&pg=PA316&lpg=PA316&dq=cerimonia+bramini+filo&source=bl&ots=51yL-Kj8CD&sig=YN8FHNoDWTHnSNZ3BRXT3OdFVao&hl=it&ei=XbiDS9HWFKOOnQPTn7DAAg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CAkQ6AEwAA#v=onepage&q=cerimonia%20bramini%20filo&f=false


a pagina 315.

Anonimo ha detto...

Vecchio mio, col sottoscritto caschi male se parli di Orissa, o quanto meno di "orissani". Ma per la semplice ragione che il CEO della societa' per cui lavoravo in India era dell'Orissa, ed era uno stronzo senza cuore come, forse, mai ne avevo incontrati prima nella mia vita. Il che non fa dell'Orissa un luogo negativo a tutti i costi, ma io, per emotivita' lo ammetto, l'ho cancellata dalla lista degli stati indiani ;-)

Enrico Bo ha detto...

Mi sa che la tua lista è lunga da quelle parti, così finisci per non goderti le parti interessanti che ci sono sempre dappertutto. Io preferisco un approccio più distaccato, da occhio esterno se possibile. Tanto, poi, mica ci devo vivere o lavorare lì! Dopo un po' me ne torno a casa ;-)ahahahhaah !

MilleOrienti ha detto...

Enrico, apprezzo il tuo approccio all'India: anche a me interessano proprio gli angoli di Asia più lontani dalla globalizzazione, dove possiamo confrontarci con gli "altri da noi", i più diversi...e perciò più interessanti. E gli adivasi sono fra questi.

Enrico Bo ha detto...

Grazie dei tuoi commenti Marco, purtroppo non ho la possibilità per vari motivi di fare quello che vorrei in questo campo, ma quando potrò medito di fare un giro da Calcutta in Sikkim, Buthan e Nagaland con possibile puntata alle Andamane, ma per ora rimane nel caasetto dei desideri.

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