giovedì 8 aprile 2010

Il Milione 9: Dormire al Caravanserraglio.

Cap. 20
Ed ora conterem di Turcomania ove è tre generazione di genti. L'una son Turcomani e adorano Malcometto; e son semplice genti e ànno sozzo linguaggio e stanno in montagne e in valli e vivono di bestiame. Gli altri sono armini e greci che dimorano in ville e castella e viveno di mercatantia e di arti. E quivi si fan li sovrani tappeti del mondo ed i più begli e altri lavori di seta e di tutti i colori...
La carovana fa qui una leggera deviazione verso nord ovest, probabilmente a causa di certe turbolenze che all'epoca erano scoppiate nell'area di frizione che corrisponde all'odierno confine tra Siria, Turchia ed Iraq, mentre quella che Marco chiama Turcomania è l'Anatolia centrale, in quel momento al suo massimo splendore sotto i Segiuchidi, con la sua capitale Konia dove era appena terminata la costruzione dello straordinario Mausoleo di Mevlana con le sue cupole verdi, in parte ispirate allo stile armeno. Qui era ormai in atto una commistione culturale tra la cultura armena, la raffinata e antica concezione bizantina e la forte e nuova linfa vitale turcomanna che si era ormai definitivamente impadronita di buona parte dell'impero di Bisanzio. Le diverse etnie si dividevano le aree di interesse economico, ma il paese era ricco di scambi e allo stesso tempo la spiritualità della ricerca filosofica dei Sufi lo rendeva centro culturale importante e conosciuto nel mondo antico. Si sarà interessato anche il giovane Marco, che, diciassettenne apriva gli occhi davanti alle meraviglie del mondo, alle raffinatezze del pensiero Sufi, della poesia di Rumi, padre dei Derviches Tourneurs che cercavano l'estasi nella rotazione ossessiva, morto a Konia proprio nel 1273, due anni dopo il loro passaggio o come padre e zio era solo interessato alle stoffe ed ai tappeti, meravigliosi manufatti che già allora erano apprezzatissimi e importati in Occidente? Pur definendoli "Genti dal sozzo linguaggio" (indendendolo come difficile da capire ed imparare) mi piace immaginarlo attonito, come me, di fronte allo spettacolo di una cerimonia dove le ampie gonne dei dervisci roteavano con eleganza senza fine in un arabesco infinito, fatto di movimento, di musica e di poesia. Poesia delle parole e poesia delle cose. Come non rimanere affascinati dalla scansione ossessiva racchiusa nel disegno geometrico di un tappeto che allora come oggi riempivano i mercati dei loro colori, con la loro presenza ricca e calda. Ne avrà comprato uno, bellissimo con un delicato fondo verde per ricoprire la sella della sua cavalcatura, come feci io, rimanendone poi così abbattuto quando anni dopo mi fu rubato assieme ad altri, perchè il tappeto diventa parte della tua casa, insostituibile nella sua unicità. Forse lo usava la sera per stendersi a terra e riposare, morbido e amico, nel bailamme del caravanserraglio, tappa serale, riparo dei carovanieri che andavano verso est. Sicuramente proprio qui a Sultanhani, costruito 40 anni prima del suo passaggio, quindi un buon albergo, nuovo, quasi un cinque stelle dell'epoca, mangiando magari un profumato börek al formaggio (gustatevene la ricetta da Acquaviva), avrà riposato pensando al suo futuro, alle terre lontane che voleva vedere, al benessere che il suo lavoro avrebbe portato alla sua famiglia, come me trenta anni fa, nello stesso caravanserraglio, miracolosamente e perfettamente intatto, con lo stesso delicato e saporoso börek tra le mani, sulle parole di una poesia di Rumi.

Un'amata chiese all'amante:"Chi ami di più, te stesso o me?".
"Dalla testa ai piedi sono diventato te.
Di me non rimane che il nome.
La volontà l'hai tu.
Tu sola esisti.
Io sono scomparso come una goccia d'aceto in un oceano di miele".


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2 commenti:

acquaviva ha detto...

caravanserragli?! ma va...

Enrico Bo ha detto...

Accidenti che tempismo, sembra che ci siamo stati assieme!

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