lunedì 5 marzo 2012

Lettere dal Laos 17:La grotta di Pak Ou.


Il barcaiolo.


Le balze della grotta.
Ci sono appuntamenti che si prendono con l'intenzione, poi rimangono lì, inespressi e forse dimenticati per anni, fino a quando non arriva il momento per compierli, così per caso, senza ricercarli, quasi come un destino segnato nella linea del tempo, tanto, tanto tempo prima. Quaranta anni fa avevo preso uno di questi appuntamenti, poi lo avevo messo da parte come una cosa che si potesse rimandare, ma era rimasto lì, in quell'angolino della mente dove riponi i sogni ed i desideri inespressi, che un giorno vorresti fare tuoi. Un giorno di tanti anni fa, due amici erano partiti per le Indie. Con una Fiat 1300 avevano attraversato tutto l'oriente passando per l'Afganistan, fino al Nepal e poi tutta l'Indocina. Era il grande viaggio alla ricerca dell'esotico che in quegli anni affascinava molti ragazzi, me compreso. Tornarono dopo un anno portando con sé statue e dipinti antichi trovati in quei templi perdute su montagne non ancora violate dal turismo di massa e ne fecero una professione, anche perché si ritrovarono laureati per caso, avendo il loro gruppo di studio, dato gli esami al posto loro, allora funzionava così. Dai loro racconti al Bar Baleta, cenacolo di ingegni futuri e scuola di vita, emergevano quadri di terre lontane e luoghi mistici e a me che ascoltavo, mentre rimbombava nel petto la voglia di partire, pareva di vedere quel fiume immenso e quella grotta favolosa nascosta sulla ripa scoscesa, dove per secoli la pietas religiosa aveva ammonticchiato migliaia di statuette votive. 

Gli ex-voto di Pak Ou.
Un posto a mezza strada tra la favola e la realtà, in cui prima o poi sarei stato ad ogni costo. Ed eccomi qui, sul grande fiume, questo Mekong che condizione la vita e l'esistenza stessa di tutta questa parte di Asia. A nord di Luang Prabang, quando non è ancora così immenso da non farti vedere l'altra riva, quando è solo un grande fiume su cui corre la vita, le barche, il commercio. Un barcaiolo rugoso come il tempo ti accoglie senza parole. Eccomi sulla sua lunga lancia sottile a risalirne il corso, tra rive ora alte e imperiose, ora dolci e coperte di alberi e radure, piene di orti dietro i quali indovini la distesa delle risaie. Il viaggio è lungo come si addice ai pellegrini ed il tempo scorre riempiendoti gli occhi di immagini e lasciandoti lo spazio per pensare. Quando dopo una ennesima ansa, ti si para dinnanzi una parete di pietra carsica corrosa dai millenni in cui si aprono fenditure, forre, spacchi attraverso cui filtra la luce tra la vegetazione antica, quasi non te l'aspetti più. Approdi a una lingua di sabbia umida e seminascosta dalla roccia ed ecco cominciare i gradoni di una lunga scala nascosta dagli spuntoni di pietra tagliente. Sali a lungo protetto dall'ombra della vetta del monte, fino ad arrivare ad una enorme anfratto scavato nella parete calcarea a formare quasi una vasta balconata a picco sul fiume. Appena penetrato, ecco davanti a me quello che avevo già visto con l'occhio del desideri tanti anni fa. A gruppi di centinaia, isolati i più grandi, circondati da una popolazione all'apparenza infinita di fratelli più piccoli, ecco apparire nella semioscurità, migliaia di statue, in metallo, in bronzo, in gesso, in pietra, in legno. 

La grotta
Dorate che luccicano nella penombra se sfiorate dai raggi di luce esterna, corrose alla base dagli anni, coperte da neri strati dell' umidità dei secoli, bianche per le incrostazioni del tempo, grige di polvere depositata, una popolazione infinita di Buddha, seduti, in piedi, sdraiati nelle mille posizioni significanti che coloro che richiedevano grazie o semplicemente volevano lasciare un segno della propria spiritualità hanno lasciato, muti testimoni di una fede trascendente, che vede nell'immagine, nell'icona, insegnamento e allo stesso tempo monito e rassicurazione. In ogni gruppo vieni colpito subito dalle statue più grandi che ti elargiscono il loro sorriso sereno e non sussiegoso, poi guardando con più attenzione, emergono dall'ombra le statue più piccole e allora vuoi avvicinarti di più per scrutare meglio tra le rocce, dove, appoggiate su altri piedistalli o seminascoste dalle sorelle maggiori, puoi incontrare una congerie di altre statuette piccole o addirittura piccolissime, di pochi centimetri, perché la fede non si misura. C'ero già stato tante volte inconsciamente in questa grotta e lo sguardo che gira continuamente su quella popolazione di simulacri senza riuscire a fermarsi su nessuno in particolare, tanti sono, aveva già visto nel racconto di allora, questa favola lontana. Vorresti sederti e rimanere lì a riempirti gli occhi, a guardare dalla grande spaccatura, dietro le silouettes nere, l'azzurro del fiume che scorre calmo più sotto, le sagome sottili delle barche che aspettano, le ombre che il sole che scende, disegna sulla riva lontana. E quando torni dopo un tempo che ti sarà parso troppo breve e la barca quasi scivola sulla corrente senza bisogno di forzare il motore, è quasi sera e le piccole fogliette di oro che i fedeli incollano sulle statue, si imbruniscono di toni rossastri. Con gli occhi avevo già visto, adesso rimane soltanto da sentire lo sciabordio dell'onda leggera di questa acqua viola.

Tramonto sul Mekong

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3 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Avevo capito la necessità di pace per quei popoli, quarant'anni fa, ma non avevo afferrato la magia di viaggi come quelli da te qui descritti con tanta espressività!

Massimo ha detto...

Comunque ci vuole veramente una sensibilita' particolare per cogliere quegli attimi.

Bravo!

Enrico Bo ha detto...

@Adri - Di certo vale la pena di andarci, lo consiglio caldamente a tutti.

@Max - Quello di oggi era un momento particolare legato a ricordi di un passato lontano...

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!