giovedì 15 marzo 2012

Lettere dal Laos 25: Rambo deve morire.


Il villaggio Akha.


La fontana pubblica.
Le cinque del mattino. E' ancora buio ma i canti feroci dei galli smuovono anche i morti. L'aria è frizzantina quando si esce nel chiarore soffuso che precede l'alba. Il villaggio è ancora addormentato. Il massaggio delle dolci fanciulle che ha preceduto il sonno del giusto è stato taumaturgico. La varie articolazioni sembrano rispondere alle richieste di movimento e solo l'epidermide mostra i segni della dura giornata di ieri. I piedi non danno cenno di sensibilità, ma non importa. In ogni dove bolle, graffi, ponfi misteriosi, puntini resi ancora più rossi dall'uso del mercurocromo, che i taglienti apparati boccali delle ingorde sanguisughe hanno lasciato sulle caviglie, cerotti come per rappezzare un pupazzo rabberciato malamente. La fontana al centro del paese funge egregiamente alla bisogna per una sommaria pulizia personale. Mentre i maiali cominciano a grufolare sotto le capanne, all'interno delle stesse si sentono i primi movimenti, gli scatarramenti affannati di chi vive in un clima dalle notti troppo fresche. I più mattinieri cominciano a uscire rassettati alla meglio. Mentre il sole si leva, le donne a gruppi, con le gerle in spalla, le ghette nere ben calzate per evitare graffi alle gambe, i neonati ancora addormentati attaccati al seno, si avviano verso i campi e gli orti nascosti nelle radure strappate alla foresta. 

Verso il bosco.
Ci guardano passando, il collo bloccato dalle cinghie del bastino, poi proseguono con ritmo deciso fino a che la jungla non le inghiotte. Ormai il villaggio è in piena attività, il fabbro ha acceso la minuscola forgia dove arrossano lame dei futuri machete, i bambini scorrazzano dappertutto; è domenica e non c'è scuola oggi. Tra le case, piuttosto grandi per contenere famiglie abbastanza numerose, spiccano di lato capannucce minuscole, come appese su alte palafitte e raggiungibili con malferme scalette. Contengono a fatica una persona, anche se da queste parti sono molto piccoli e minuti. Il nostro See, mentre fa bollire il pentolone di acqua da bere, ne illustra la funzione, ridacchiando. Sono utilizzate dalle ragazze da marito, che ci vanno a dormire quando conoscono qualche giovinotto a cui sono interessate. Il prescelto le raggiunge la sera, salendo di soppiatto la scaletta e si introduce nella capannuccia in cui passa la notte, al fine, come precisa See, di conoscersi meglio. Ma attenzione, niente bum bum, diversamente, se la pancia cresce, tocca sposarsi comunque. Pare che comunque le madri Akha, sappiano consigliare le figlie in  modo adeguato ad evitare impicci. Ormai è giorno fatto. 

Le casette delle ragazze da marito.
Consumiamo uova, verdure e il consueto zuppone in abbondanza, facendo finta di non vedere il mastellaccio dove sono stati sciacquati i piatti metallici, sotto l'occhio attento di un gruppo di osservatori, tutti maschi certo, le donne ovviamente sono già andate al lavoro nella jungla. Dopo aver lasciato un po' di materiale per la scuoletta e le caramelle, è ora di lasciare il villaggio. La strada è ancora lunga, anche se un po' meno faticosa. E' il cammino principale usato dagli abitanti per raggiungere la strada carrozzabile e si dipana a mezzacosta nella foresta come un sentierino inframmezzato di tronchi caduti. Il fogliame è rigoglioso e cerca di riprendersi in fretta lo spazio liberato dai passaggi precedenti. See e la guida Akha che ci accompagna, assestano buoni colpi di machete ai rami più ingombranti. Buttano un occhio di tanto in tanto per essere tranquilli che i goffi camminatori della domenica non si prendano qualche ramo in un occhio. Ma siamo ormai rotti all'esperienza e si procede di buon passo anche perché il sentiero è in leggera discesa e i piccoli tratti di risalita, benché ripidi, provocano solo pochi affanni e apnee abbreviate. 

Donna Akha.
I piedi sono ormai ridotti a sanguinacci rigonfi e ormai non fanno più nemmeno male, diciamo che ormai hanno perso il contatto con la realtà, forse bisognerà amputare, ma non importa, si prosegue per inerzia e la bellezza del cammino sotto la volta verde cupo cancella ogni altro pensiero. Ti godi soltanto l'esperienza ed ogni volta che uno squarcio di cielo si apre tra gli alberi, la cresta azzurra delle montagne lontane cancella ogni resistenza residua. Lasciarsi andare avvolti dall'ambiente che ti circonda. Si rimane seduti attorno alle foglie di banano a mangiare i residui delle provviste, mentre See, inarrestabile, con foglie e giunchi, intreccia cappellini, palle, braccialetti e altri ornamenti; raccoglie radici speziate ed erbe dalle virtù miracolose che mette nella bisaccia, approfittando dell'occasione. Il giorno corre veloce tra tronchi colossali e ripe fangose dove indovini le tracce dei rari animali che si nascondono alla vista del nostro disturbante passaggio. 

Pranzo nella jungla.

La guida Akha, dall'occhio buono, nel senso che dall'altro non ci vede, che non ha mai parlato, ci lascia quando gli alberi si fanno più radi. Un cenno di saluto, poi scompare avvolto dal muro verde. La strada si fa più facile costeggiando vasti spazi dove la foresta è stata cancellata per dare spazio agli alberi della gomma, aree che l'ingordigia cinese di materie prime si sta comprando a poco prezzo in questa parte del mondo. Camminiamo ormai sugli arginelli delle risaie in secca del fondovalle, siamo vicini alla strada. Il nastro di asfalto appare di colpo dietro una curva, una vista così desiderata e adesso che è comparsa, all'improvviso così fastidiosa e volgare. Ma non è finita. Il tuktuk non è all'appuntamento, così tocca marciare ancora una mezz'ora per raggiungere il villaggio Kamù lungo la strada, dove annegare il dispiacere per la fine dell'esperienza con la Beer Lao ghiacciata del ritorno alla civiltà. Un letto comodo e morbido aspetta, dove gettarsi con un pensiero ai commenti letti prima di partire e non presi nella dovuta considerazione, che davano questa esperienza come " più impegnativa del previsto" e un altro alla gentile signora che ce l' aveva confermata come di "moderate difficulty". Ma che goduria essersela fatta! Come diceva quella signora uscita dal cinema: "Ho pianto tutto il tempo, come mi sono divertita!".

La meritata birra.

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3 commenti:

Massimo ha detto...

Qui al sud ci sono delle etnie che, come variante, hanno un'apertura nella parete di bamboo della capanna dove puo' solo passare un braccio... e si, pare che serva al possibile futuro marito a "toccare con mano", nel vero senso della parola, la possibile futura moglie!!

il monticiano ha detto...

Trascurare tutto il resto del tuo racconto è un vero peccato ma di fronte alle minuscole capannucce utilizzate dalle ragazze da marito - non da sole - mi sembra davvero di assistere a qualcosa di meraviglioso.

Adriano Maini ha detto...

Consentimi in questa occasione, di ennesimo trascinante racconto, di sottolineare la tua vibrante simpatia umana e la tua schietta attenzione alla natura.

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