La barca sul fiume |
In partenza per il campo |
Un'altra notte calma, con la pioggerella insistente che tamburella sulle lamiere. Dopo la solita sveglia della truppa pennuta, la casa riprende vita, tutti si alzano a poco a poco e cominciano la vita quotidiana; per noi, un saluto al passaggio, ormai siamo di casa. Di nuovo il capo e la figlia, mattinieri per obbligo, ci salutano con calore prima di uscire, mentre la moglie smonta la nostra zanzariera e avvolge il materasso. Sono un poco demoralizzati, un gruppo di tedeschi che aveva annunciato una visita lampo di un paio d'ore dal vicino resort, ha rinunciato senza dire il motivo. I prossimi visitatori, due australiani, arriveranno solo tra un paio di settimane. I piccoli lavori domestici intanto, prendono vita, mentre compriamo qualche bottiglietta di pepe, tanto per muovere l'economia locale, probabilmente non riusciremo a consumarlo tutto nel resto della vita che ancora ci rimane. Un giro attorno alla palafitta, dietro è di certo meno presentabile, subito dopo comincia il bosco che risale la collina diventando subito impenetrabile. Farfalle colorare sbattono le ali, coleotteri neri si appoggiano ai giunchi. I bambini guardano da lontano ridacchiando. Intanto arriva Nawin che ormai mi ha preso in simpatia, brandendo una lunga cerbottana nera. E' un attrezzo non banale lungo quasi due metri e perfettamente rettilineo. Il foro all'interno scavato nel legno duro a fuoco, non deve avere la minima asperità o curvatura, pena l'efficacia del tiro.
Quasi centro |
Le freccette sono di schegge di bambù con un cilindretto posteriore di un legno spugnoso tipo sambuco. Cominciamo una serie di tiri ad un bersaglio non lontano più di cinque metri. Bisogna subito dire che non è facile come sembra. Il soffio deve essere espulso tra labbra e lingua come fosse uno sputo violento, se manca la forza la parabola del dardo gira inesorabilmente verso il basso. Comunque con un po' di esercizio si riesce a colpire un pezzo di polistirolo di circa cinquanta centimetri di diametro. Insomma potremmo diventare discreti cacciatori di scoiattoli; mentre ci si comincia a gloriare dei risultati, sommessamente Nawin fa notare che la preda di norma sta tra i trenta e i quaranta metri. Insomma per procurarci cibo da soli nella foresta, ne dobbiamo mangiare ancora di cagnolini (espressione mandrogna, che fa riferimento alla forma di certi particolari panini). Il nostro amico ormai ci ha preso sotto la sua ala protettrice, vorrebbe andare a fare un giro nel bosco, si sa mai che ci portiamo a casa qualche cosa, ma per noi è venuto il momento di andare e i bagagli sono già stati caricati sulla barca dalla vedova tutto fare. Dopo un saluto generale e la promessa assoluta di mandare al più presto tutti i nostri amici in visita, la barca scivola via sullo specchio verde.
La mattina nel ruai |
Dalla riva si alza d'improvviso, come disturbato dal nostro passaggio, il volo pesante di un bucero dall'enorme becco incongruo, una assoluta anomalia darwiniana. Sbatte le ali con foga, poi riesce a raggiungere un ramo più lontano e riparato. Scendiamo la corrente lenta ed inavvertibile, senza ansie represse. Respiri afa, ma in questo luogo lontano da tutto, ti senti uomo di questo pianeta che può permettersi di chiamare casa il dovunque. Lontana, in alto, su una riva scoscesa, si intravede la sagoma di un'altra longhouse; i tetti, più in ordine e meno disordinati della nostra, lasciano intendere che sia più recente. Che curiosità di approdare e andare a conoscere chi ci vive, mescolarsi ancora con loro, ascoltarne le storie, assaggiare il gusto così saporito di una vita pur così apparentemente comune e senza sorprese, eppure così accattivante. Questa parte di mondo racchiude in sé tali punti di interesse che riesce a deprimerti assai quando pensi al poco tempo di cui potrai disporre ancora per vedere, per provare, sentire questo ed altro ancora. Il viaggio è lungo e il suo andamento lento, lascia molto tempo per pensare. Quando arrivi all'imbarcadero vicino alla diga il distacco dal fiume appare forzoso, mette tristezza.
Nawin |
Bisogna ripercorrere la strada tra le piantagioni di palma, le file di camion che portano i frutti all'oleificio, gli ingorghi di mezzi malandati che si formano all'attraversamento delle vaste aree dove ruspe e draghe movimentano montagne di terra nella costruzione di quella che sarà la nuovissima autostrada che nel 2020 attraverserà da ovest ad est tutto il Borneo Malese. Non c'è scelta. L'uomo deve andare, andare in fretta e spostare cose, prenderne altre, non ha più il tempo per concedersi i ritmi della longhouse, anche se poi continuerà per decenni a favoleggiare di quanto erano belli quei tempi lontani quando si stava nel ruai a trascorrere pomeriggi di tranquilla chiacchiera, tra lo scricchiolio dell'impiantito e il vino di riso che riempiva i bicchieri tra gli ooo haa degli amici di infanzia. E nessuno penserà che era soltanto il colore degli anni, verdi come l'acqua del fiume e le chiome degli alberi, a farlo così bello quel tempo lontano e nessuno ricorderà a come era facile morire allora, perché l'ospedale era lontano un giorno intero o per il morso di un serpente ochissà per quale altra stupidaggine. Nessuno vuole rinunciare al futuro, così comodo e ricco di gadget ed è giusto che sia così, di modo che ci sia spazio per la saudade del ricordo, venato di tristezza per un tempo che non può e non deve tornare indietro.
All'autogrill |
Macchina per la mondatura del pepe |
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