Vallouise è una deliziosa valle della mia dolce Francia, terra che amo, come sapete, che si insinua nel massiccio del Pelvoux e che già lo scrso anno avevamo esplorato e così tanto ci era piaciuta, che si era deciso per un replay, quest'anno. Ve ne avevo già parlato, ma repetita iuvant e così eccoci qua a raccontare di nuovo della nostra scampagnata, levati di primissima mattina secondo i nostro standard,, partenza alle 8:15, stop per colazioncina al volo al Colle e poi giù verso Cesana e il Monginevro, dove gli occhiuti gendarmi francesi sorvegliano con occhio assonnato che le macchine non facciano da trasporto naufraghi, mentre intanto i bisognosi invece transitano dal sentiero della montagna, in questa stagione non più innevato e quindi un poco più agevole, e infine ancora su e giù verso Briançon, che un Google map più sovranista del re continua a chiamare Brianconi e infine a infilare la strada verso Gap, salvo lasciarla dopo una ventina di km appunto per imboccare la valle suddetta. Il paesino di Vallouise barra la strada che prosegue ancora per una decina di chilometri, salendo solo negli ultimi due o tre fino ai 1890 metri circa e arrivando su un largo pianoro che fa da base logistica davanti al levarsi delle montagne della barre des Ecrins che si innalzano davanti con pareti inquietanti. Rocce aspre e graniti dalle spaccature nette che attendono chi voglia arrampicarsi su di loro con un'aria che invoglia alla sfida. E di gente che ne ha voglia evidentemente ce n'è tanta, visto il numero di macchine che affollano l'amplissimo parcheggio ricavato tra gli arbusti e già pieno zeppo di prima mattina, almeno alle 11 circa, ora del nostro arrivo.
Bisogna dire che i gitanti e gli amatori della montagna si affollano qui con i più differenti intenti, dalle famigliole in cerca di un posticino per un piacevole picnic, a barbuti hipster bardati di tutto punto che si addobbano di fasci di corde, ramponi e picozze da ghiaccio e che si apprestano ad imprese scalatorie sui ghiacciai circostanti, posto che il riscaldamento globale, amato o negato che sia, ce ne abbia lasciato qualcuno da aggredire. Lungo la strada che arriva fin su, del resto abbiamo notato altri gruppi di addobbatissimi e nerboruti e nerborute per carità, che anche le donne qui non si fanno mancare nulla, che si predisponevano ad attaccare ferrate e pareti scuola, dove affrontare i primi passi dell'affondare i denti nella roccia viva, mentre il torrente ricco di acque gorgoglianti rumoreggiava appena più sotto, scavando orridi e marmitte man mano che scendeva verso valle, con acque azzurro ghiaccio, che portavano con sé il ricordo omeopatico dell'acqua rappresa che le aveva formate, la memoria dell'acqua è proverbiale si sa. Ne vedi diversi di questi aspiranti ragni delle rocce appesi qua e là, per le pareti verticali a strapiombo che si consultano l'un l'altro o con il probabile istruttore per dove sia meglio attaccare la mano o mettere il piede, al fine di progredire sempre più in alto, come diceva una vecchia pubblicità della grappa. Ma per carità, ognuno ha diritto di divertirsi come gli pare. Per non parlare delle schiere di biciclisti, a gruppi o spargoli, che arrancano sulle rampe ed i touniquet di questa strada vigliacca che impone a chi non sia già passato alla furfantesca pedalata assistita, fatiche improponibilii a noi umani che pure ne abbiamo viste stante sulle cinture di Orione.
Comunque noi siamo arrivati alla base calcolata per lo svolgimeto del programma odierno, la base della morena che mostra le due vie che si inerpicano verso quelle che erano le due lingue di ghiacciaio che scendono o meglio scendevano verso di noi. Uno, il glacier noir è praticamente scomparso o meglio regredito a tal punto da non essere quasi più visibile dal nostro punto di osservazione, l'altro il glacier blanc, invece è ancora lì, più in alto, un 4/500 metri all'insù, che occhieggia su una cengia al di sotto della quale uno stretto e ripidissimo sentiero si dipana a zig zag verso l'alto, quasi volesse invitarti a salire se ne hai il coraggio e soprattutto la voglia. Così qualcuno dei nostri sodali, i più agguerriti, i più incarogniti e decisi del team, bardatisi di tutto punto, regolati i bastoncini da salita, zaini affardellati di vettovaglie e generi di conforto e riparo, parte deciso all'attacco dello sperone roccioso che ci separa dal bianco abbagliante che si sporge dall'alto e sembra avere voglia di caderci sulla testa. Supereranno i nostri prodi il temuto sperone degli Italiani? Solo il prosieguo della giornata saprà dirlo. Sotto, davanti noi, il torrente glaciale che esce dalle due morene e si scaraventa verso valle con tutta la furia della sua giovane vita.
Noi, gli altri, che non siamo presi da questo cupio dissolvi che costringe a sfidare la montagna e costringerla a cedere ai nostri voleri, ma, più umilmente ne rispettiamo la volontà di solitudine, lasciamo che le orde di camminatori procedano all'attacco del sentiero, quasi fossero un ulteriore elemento naturale di erosione, fruitori e responsabili al tempo stesso dell'ulteriore degrado di questa natura contaminata che ci sta davanti agli occhi e più prosaicamente ci dirigiamo verso una costruzione in legno che ha addobbato una serie di tavolini alla bisogna, per prenderci una bibita fresca ed asciugarci il sudore che i volenterosi assalitori ci hanno fatto venire al solo guardarli nella preparazione dell'ascesa verso l'infinito. Poi, riposati della fatica, che comunque anche guidare stanca, scendiamo verso il bel paesino di Vallouise dove, il già precedentemente adocchiato ristorantino La table del Nany, acconciamente riservato a suo tempo, ci attende con un piatto di gratin di trota e cavolfiori e altre delizie, per rinfrancarci in attesa del ritorno dei nostri prodi. Assolutamente consigliato.
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