giovedì 5 febbraio 2009

Elogio della follia

Si può essere geni senza essere pazzi? Forse no. Cosa sarebbe stata la pittura di Van Gogh, se invece di un decennio di folle ed ansiosa corsa verso il climax finale del suicidio, avesse trovato una tranquilla e ben retribuita carriera, osannata dalla critica, per altri quarant'anni, nessuno può dirlo. Ma, le facce scavate, i corpi contorti nella fatica di vivere che ho avuto il privilegio di gustarmi ieri sulle pareti di Santa Giulia a Brescia raccontano che forse il tratto fuggente e disperato ed i rutilanti colori si sarebbero spenti irrimediabilmente nella serenità, nella opaca e tranquilla avvedutezza della sanità mentale. Un percorso straordinario che ti accompagna dai primi disegni malfermi, alle ultime opere sfuggenti nella rutilante disperazione della pazzia. Ossessione in tutto, a cominciare dai continui dubbi sulla sua capacità a disegnare, in una continua ricerca di migliorare il tratto, le posture, i significati, la resa dei soggetti che manifesta nelle splendide lettere al fratello Théo, questo pidocchioso mercante che lo mantiene, vero, ma a continuo stecchetto dosandogli non solo i quattro soldi per mangiare, ma anche pennelli, carta, colori, rimarcando sempre e comunque, anche senza dirlo, il peso di questo incapace fratello "sbagliato" che insegue i fantasmi della sua mente. Che nel manicomio della Provenza, lo obbliga a creare un capolavoro, perchè con solo un pennello talmente consumato da impedirgli di dipingere, lo obbliga a raschiare la tela, a scolpire la densità materica del colore con la sua ossessione disperata che tenta sfuggire dal quadro stesso. Mentre lui disegna e si deprime perchè "il disegno del seminatore appare in realtà come il disegno di un modello che finge di essere un seminatore", disperato perchè crede di non avere la capacità tecnica di fissare la verità dell'anima che lo circonda; mentre cerca di fissare nel tratto della matita da falegname, la disperazione dei corpi e la fatica di vivere dei "Mangiatori di patate", quel meschino mercantello gli suggerisce di dare un po' più di colore attorno ai disegni e aggiungere qualche tocco di ambiente, che magari quegli sgorbi si potrebbero vendere a qualcuno (non lo dice, ma evidentemente lo pensa) poco avveduto ed intenditore. Una incapacità di comprensione che lo porta a tenere in cantina le opere di quel fratello figlio di un Dio minore; un peso per la famiglia, che lui deve comunque accollarsi. Una mostra staordinaria dunque, una sequenza di quadri unita alle struggenti lettere (indispensabile chiave interpretativa), che evidenzia immagine dopo immagine, l'ansia di inadeguatezza ad un mondo che vuole risultati, che giudica in base al rendimento effettivo, che misura le capacità in seguito ai sondaggi ed al gradimento delle folle, che spinge quindi il genio verso il margine e verso la definitiva follia. Allora sì che ne intravede le possibilità commerciali, magari trasformabili in derivati, allora sì che lo accetta e se ne fa bandiera. Sorprendentemente attuale, no?
Grazie all'organizzazione, ma il prossimo anno niente più ...ehehehe. Se una cosa è fatta bene, va eliminata, chè potrebbe far scuola e creare problemi (direbbe il mio amico Paularius del pianeta Surakhis).

4 commenti:

➔ Sill Scaroni ha detto...

Ciao Enrico !

Anonimo ha detto...

Avevo un ricordo molto più positivo del fratello Théo. mi pare di ricordare,a questo proposito,un interessamento disinteressato e molto fraterno e non quello di un avido mercante.Con l'artista vivente pare che i quadri non avessero compratori.Se ho ben capito dalla mostra di S.Giulia emerge un'immaginediversa.
Ciao Gianlorenzo

➔ Sill Scaroni ha detto...

Per essere geni ha che tenere la testa libera.


Sono in Flickr come tu, Enrico.
Ciao.
Sill

Enrico Bo ha detto...

In realtà non volevo dire che Théo fosse un succhiasangue sul trespolo, ma dalle lettere di Vincent emerge chiaramente che, anche se non glielo diceva in faccia, 'sto fratello era un peso da mantenere (a stecchetto comunque). Non credo che fosse così in difficoltà finanziarie da far sì che a volte Vincent non avesse neanche i soldi per mangiare, da passare un anno confinato in un villaggio del nord dell'olanda perchè così spendeva meno, sempre senza colori, carta, matite. E poi i suggerimenti artistici , sempre tesi unicamente a rendere vendibili le opere,va bene che era un mercante, ma mi sono fatto la convinzione che non credesse assolutamnte nel fratello. Non parliamo poi dello zio , l'unico che gli comprò i famosi 6 disegnini (di cui uno esposto) per 2,5 fiorini l'uno. L'unica commessa della sua vita, proprio per levarselo di torno, gliene promise una seconda (di vedute di amsterdam, ma più colorate mi raccomando che se no non erano abbastanza per "turisti")Eppure siamo nel 1883, gli impressionisti sono già esplosi e sdoganati nel mondo dell'arte. Mi sembra una visione molto miope da parte di uno che era nel campo artistico, anche se dalla parte del commercio. Io credo che parte non piccola del disagio di van Gogh , le sue ansie e la sua depressione continua, oltre alla totale mancanza di autostima nel suo lavoro (traspare bene da ogni sua lettera in cui si dichiara così lontano dalle capacità tecniche di pittori mediocri del periodo) derivino proprio dalla coscienza di essere sempre stato giudicato un incapace inutile dalla famiglia, padre in testa e fratello bravo in secundis. Comunque meno male che è stato così se non non avremmo avuto quello che in soli dieci anni ci ha lasciato.

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