lunedì 23 marzo 2009
Terrasanta,Terrasanta! (prima giornata)
Sono tornato! San(t)o e salvo! Carico di sensazioni da metabolizzare con calma, di bolle nei piedi (il pellegrino cammina molto), di retrogusto di coriandolo che finirò di digerire tra un mesetto e con la consueta certezza che ti porti a casa da un viaggio; quella di essere partito con tanti preconcetti che la conoscenza diretta di cose, luoghi e persone, anche solo sfiorata, ti fa capire quanto sia deformante la lente dei media e quanto rimangano deformati i giudizi conseguenti. Ma le cose vanno maturate con calma, per cui, con una speciale macchina del tempo tornerò ad una settimana fa, al giorno della mia partenza, per ripercorrere a poco a poco la strada verso ed attraverso la Terrasanta, mentre continuerò per qualche giorno a ruminare le mie esperienze cercando di condividerle con voi. Il mio ghost writer a cui vi avevo lasciato in tutela, aveva già indicato la natura e la palingenesi di questo viaggio, ma certo chi mi conosce si sarà stupito della mia scelta. Pure, la voglia di vedere con i miei occhi questa terra stravolta dagli odi e dalla violenza mi ha indirizzato verso una soluzione che mi è sembrata la più corretta. Il pellegrinaggio, il gruppo di umanità varia, che con intenzioni diverse, da sempre ha cercato di approdare a quei lidi spinto da fede, passione, voglia di conquista, ricerca di sè stesso, un topos che si ripete all'infinito da duemila anni, quindi non è cosa da poco, un fatto da trascurare. Ecco quindi perchè non un viaggio in Israele o in Palestina, ma in Terrasanta. Torniamo quindi ad una settimana fa, quando alle 5 di mattina (ora a cui sono poco uso) mi dirigevo all'appuntamento dove si sarebbe addensato, come un tempo, il gruppo di penitenti, curiosi, in cerca di avventura o di spiritualità, carichi, non più di sai, fagotti, bastoni, sandali e dei pochi zecchini preparati per l'occasione, ma di telefonini, zainetti, Kway tecnologici, macchine fotografiche e pacchetti di euro da scambiare con preziose reliquie. Chissà cosa avrò dimenticato. Un paio di scarpe di ricambio, va beh, il pellegrino deve soffrire almeno un poco. I pellegrini, per loro natura temono l'ignoto, pur se lo affrontano con slancio e le descrizioni di tregenda dello spietato interrogatorio a cui verremo sottoposti dai feroci agenti del Mossad prima dell'imbarco, mettono in ansia non poche signore, timorose di non saper dare le giuste risposte agli aguzzini, se pur imbeccate con cura dai nostri mentori. Naturalmente tutto si risolve in pochi minuti di colloquio con una cortese fanciulla che ci assicura che, se ci domanda se qualcuno che non conosciamo ci ha affidato un pacchetto, è per evitare che sul nostro aereo ci sia, magari una bomba, cosa che non dovrebbe in fondo dispiacerci. Non volo più da quasi quattro anni e circondato da vocianti bimbi israeliti, mi appresto al primo impatto con il cibo kosher, come da regolare certificato allegato al vassoio. Avevo giurato di non mangiare mai in aereo e tutte le volte, la maledetta curiosità, mi ci fa ricascare; ingurgito così il primo di un'infinita serie di polli al coriandolo e curry che mi sarà compagna per tutto il cammino. Al nostro arrivo, subito la nostra guida spirituale Don Rafal, viene immediatamente bloccato e trattenuto con motivazioni tanto vaghe, quanto inconsistenti, forse perchè è polacco, forse perchè è prete, forse perchè ha sul passaporto un visto siriano. Quando finalmente, dopo un'oretta, viene liberato e sale sulla zattera di salvataggio del predellino del pulmann, un senso di liberazione coinvolge tutti i pellegrini, ansiosi di salvezza, non solo per aver avuto restituito il caro Don, ma anche per il fatto di riuscire ad arrivare in albergo in tempo per la cena. Il pulmann corre veloce lungo il mare e poi su per le colline della Galilea verso Nazareth. In questa terra, anche soltanto i nomi evocano emozioni, sentimenti, aspettative. La notte è scesa di colpo mentre i piccoli paesi scivolano alle nostre spalle. In fondo, sulle alte colline, in un cielo di stelle basse, è tutto un brillare di piccole luci, una per ogni casa, una per ogni speranza. La Terrasanta è raggiunta. Nazareth, il Giardino Fiorito, sembra il presepe lontano che facevo assieme alla mia mamma, tanti anni fa.
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