giovedì 5 marzo 2009

Tradizione e globalizzazione


Le tradizioni sono fondamen- tali per conservare l'identità di un popolo. In questo mondo globalizzato è facile cadere nelle trappole che cancellano lo spirito di una nazione, finendo per andare in pizzeria a Lhasa e al McDonald a Piazza Navona. L'India è un paese straordinario per chi vuole trovare popolazioni autentiche e la regione dell'Orissa, un vero paradiso per gli etnologi, dove vivono, completamente isolate dalle contaminazioni occidentali, decine di realtà tribali in un contesto assolutamente primitivo. I Donghoria Kondh popolano una dozzina di villaggi nascosti tra le foreste impenetrabili dei monti Niyamgiri. Ci arrivammo di mattino presto, mentre una nebbiolina azzurra copriva ancora gli alberi delle cime vicine. Il nostro Prakash ci spiegò che sono rimasti piuttosto aggressivi ed alquanto refrattari ai tentativi di omogeneizzazione tentati, prima dagli inglesi e poi dal governo indiano, nel tentativo di rimanere il più possible fedeli alle tradizioni ed ai loro riti ancestrali. Mi raccomandò quindi, dopo averci portato vicino al palo eretto al centro del villaggio, di essere il più possibile discreto cercando di non turbare la pace dei pochi abitanti che sonnecchiavano su stuoie sotto tetti di palma di grandi capanne comuni. Ci spiegò che il centro attorno a cui ruotava la loro visione del mondo è il rispetto dei ritmi della natura, che può essere forzata solo attraverso riti e preghiere. A tale scopo esisteva in ogni villaggio una famiglia di una casta particolare, detta Meriah, che veniva esentata da tutti i lavori e le incombenze, ma onorata in ogni occasione e nutrita con i migliori prodotti del villaggio. Questo anche per decenni. Poi, un bel giorno, la crisi. Troppe piogge o troppo poche, insomma la carestia, la natura che punisce gli uomini troppo disattenti. Allora gli anziani del villaggio si riunivano e decidevano che era venuto il momento di placare la natura. Così nella notte, tutto il villaggio tra canti e suoni di tamburi e di cembali, si recavano alla casa del Meriah per prenderlo e portarlo in gioiosa processione. Per la verità, lui che aveva capito che la cosa girava per un certo verso, cercava di scappare e quindi per evitare questo evento increscioso, gli si spezzavano con saggia previdenza, le gambe in più punti, con un mazzuolo. Dopo i canti previsti, lo conducevano al centro del villaggio dove, appunto, è sempre eretto il palo in questione e , dopo averlo ben legato, gli infliggevano le peggiori torture, staccandogli pezzi di carne che andavano seppelliti nei campi per fertilizzare la terra e placare la madre natura, da sempre amica del buon selvaggio che la conosce e la rispetta. L'essenziale era che il Meriah non morisse in fretta, ma con le sue lacrime, per più giorni bagnasse la terra secca e sterile. Gli inglesi non erano tanto d'accordo sul rito e cercarono di proibirlo fin dagli anni trenta. Sembra che i buoni Donghoria, vista anche la difficoltà di trovare dei Meriah disponibili, si siano poi accontentati di comprare al bisogno, dei bambini dai villaggi vicini. Anche le tradizioni cambiano, secondo Prakash adesso, si accontentano addirittura di usare una capra. Ad ogni modo il palo è sempre lì.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto bravo, Enrico: comincia proprio a piacermi, questo posto.
Dottordivago

Anonimo ha detto...

Sai, nonostante la cosa faccia orrore e ribrezzo, posso ancora sforzarmi di capire, visto che parliamo di persone che vivono come selvaggi dentro una foresta da millenni. In effetti pero', se il loro desiderio di restare ancorati alle antiche tradizioni significa tenersi la liberta' di torturare e trucidare la gente a piacimento, solo perche' ogni tanto piove di piu' o di meno, questo gli farebbe meritare di diritto una testata strategica tra capo e collo. Certo, cosi' si cancellerebbero anche tanti ettari di foresta, ma che possiamo farci, ogni azione ha i suoi effetti collaterali.

Ma purtroppo la mia esperienza indiana mi insegna che tutti gli indiani conservano dentro una enorme dose di immaturita' sociale. Vogliamo dire che sono arretrati, che sono trogloditi, che sono delle bestie incurabili? E diciamolo, non saro' certo io a tirarmi indietro.

La conclusione amara e' che questo paese fa schifo e, pur essendo un non violento per natura, in questo caso le testate strategiche per me dovrebbero essere una ventina, possibilmente esplose all'unisono.

Enrico Bo ha detto...

Caro Tutto qua, ho visto che vivi in India per lavoro e quindi penso che tu conosca questo paese molto meglio di molti che ne parlano e soprattutto di me, che, essendoci stato tra lavoro e non, solo una decina di volte, in totale non più di sei mesi, non possiamo certo arrogarci la pretesa di capire. Non ho l'anello al naso come i Donghoria Gondh (loro poi ne hanno addirittura tre) per pensare che gli indiani siano una popolazione composta di un miliardo circa di Gandhi, però mi sembra che le disamine che fai sul tuo blog, che invito i miei lettori a vedere, siano permeate da una severità che supera di molto il giudizio tipico che si da su un paese quando lo si vive anche se l'India, tanto per usare una frase fatta, la si ama o la si odia. Non ti stai lasciando trascinare dal fatto che evidentemente non ti piace lavorare lì, che non ti va di accettare i naturali problemi di un mondo diverso con i suoi millenari problemi? Anch'io, quando ho lavorato in Cina o in altri posti del mondo, proprio per la difficoltà di rapportarmi con mondi alieni (e ti assicuro che di primo acchito sembrano tali a chiunque), sono stato più volte tentato di rifiutarli. Che errore tragico avrei fatto, rinunciando a cercare (solo cercare naturalmente) di capire, ad approfittare aprendo la mia zucca vuota e presuntuosa a cultrure diverse, a portarmi a casa qualcosa, ad imparare qualcosa, a diventare più ricco. Leggendo i tuoi post, sento le stesse parole, gli stessi sentimenti di una mia cara amica che ha vissuto per anni nel mondo arabo. Se rifiuti così pesantemente come fai, secondo me ti stai facendo del male continuando a lavorare lì. Tornerai prima o poi, con troppa oscurità dentro di te. Il tuo lavoro (ma questa è una maledizione biblica) ti sta danneggiando;molla di stare in apnea, respira (anche la puzza che c'è intorno a te).
E comunque, tranquillo, Prakash mi ha assicurato che adesso i Donghoria Kondh non ammazzano più neanche le capre.

frengo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Proviamo a uscire dagli schemi. Quante persone vengono sfruttate per costruire il pc che io te e tutti stiamo usando? Quanti animali torturati per i farmaci che io tu e tutti usiamo?
A voi le conclusioni.

p.s. gli animali possono soffrire come noi? non è che la sofferenza è proporzionale a quanto si è più furbi.
E perchè ci si scandalizza per la sofferenza umana e non per quella di altri mammiferi,anzi diciamo gli scimpanzè che ci sono molto vicini.

Enrico Bo ha detto...

Secondo me anche le piante non son mica contente quando dai loro una bella capitozzata.

Anonimo ha detto...

La mia voleva essere una considerazione di più largo respiro rispetto alla risposta che ha stimolato...però la sua acutezza merita i complimenti. In ogni caso provo a rendere meno criptico la riflessione che mi ha stimolato il suo interessante post. Ecco, ho provato a trarre delle conclusioni da quello che ha scritto anche se lei non le ha tirate di persona. Mi sembra che l'intento del post sia quello di sfatare l'abusato mito del "buon selvaggio" il mio commento invece, voleva rimarcare il fatto che a conti fatti noi (o la maggior parte) rispetto a loro ( o la maggior parte) siamo privi di quella che è l'esperienza diretta della crudeltà verso i nostri consimili (uomini o diciamo vertebrati superiori), ma non vuol dire che non ce ne avvantaggiamo. Per dirle, la ricerca scientifica quanti cadaveri fa all' anno in Europa? lei ne ha un idea? Se non erro l'ordine è quello dei milioni. La nostra nazione manda militari in guerra e respinge i migranti in alto mare. L' ultimo aspetto, quello dei respingimenti potrebbe essere visto come un rituale per far sentire meglio i tanti italianucci che si sentono minacciati dalla presenza di questi immigrati disposti a tutto per portare un pò di soldi a casa, forse il paragone è un pò forzato, ma spero di aver reso l'idea. Poi si può riflettere sul valore dell'esperienza diretta che hanno queste comunità rispetto alle esternalità che noi usiamo costantemente per vivere e ci alienano anche da molto di quello che ci circonda e che usiamo per vivere.

Enrico Bo ha detto...

Concordo in tutto e per tutto e sottoscrivo quanto lei opportunamente precisa. Il mio intento era comunque appunto quello di sfatare il mito del buon selvaggio al quale non credo assolutamente, ma che viene considerato un assioma da un sacco di bru bru che vanno in giro pontificando. Che noi poi sappiamo fare ben di peggio è ormai ampiamente provato e che non ci sia limite alla vergogna e all'immoralità lo stanno sottolineando gli avvenimenti a cui assistiamo ogni giorno.

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