sabato 3 ottobre 2009
La mortella.
C'è stato un periodo all'inizio degli anni novanta in cui in URSS non girava un soldo, o meglio non girava un dollaro, perchè di pezzi di carta senza valore ne giravano un sacco e non era semplice portare a casa la pagnotta nella nostra attività di trading, così si pensò di tornare all'antico, recuperando il sistema più vecchio del mondo, quello che precedette l'invenzione del denaro, il barter per dirla in maniera moderna, ovverossia il baratto. Si cercarono i prodotti più classici della santa madre, dal legno, ai concimi, ai rottami di alluminio o al compensato, per arrivare alle pellicce. Niente fare, già tutto in mano a giri di antica data, in cui era meglio non andare a cercare di infilarsi e te lo si faceva capire subito con chiarezza. Così cominciarono a venire fuori le cose più strane e arrivavano in ufficio telex che proponevano materiali di cui prima si doveva capire l'uso e successivamente se quella roba era vendibile da qualche parte. Arrivavano anche campioni ineccepibili per dimostrare la qualità della merce, che per un po' fecero bella mostra di sé nelle nostre bacheche come ad esempio le corna di cervo giovane, disponibili in grande quantità in Čita e in Yakuzjia, che arrivavano già affettate in sottilissime slides (forse con uno strumento tipo mandolina), già pronte per il ricco mercato farmaceutico tradizionale cinese oppure il veleno d'api offerto a grammi, di cui le repubbliche caucasiche sembravano avere grossa produzione. Una volta ci proposero, da una zona siberiana, una bile d'orso in cambio di tre Toyota (veniva assicurato che quella era la quotazione regolare del mercato), ma anche qui, a mio parere latitavano i compratori. Un tizio a cui avevamo proposto una macchina imbustatrice di sementi da orto (il mio passato di esperto sementiero, mi attraeva morbosamente verso questo mondo), ci offrì in cambio un vagone di semi di zucca. Non parliamo dei girasoli ukraini, con i cui campioni andammo avanti mesi a sgranocchiare in ufficio. L'unico affare che andò in porto in effetti furono un po' di TIR di semi di erba medica e trifoglio di pessima qualità per altro, che ritirammo in cambio di una fornitura di caffé. Però il tarlo più grosso che rimase in testa per parecchio tempo riguardava una offerta che si ripeteva di tanto in tanto per grosse quantità di "клюква" di cui il dizionario (invero un po' datato ma preciso) dava il lemma: "mortella di palude". Ce n'erano a disposizione tonnellate e tonnellate. Solo che nessuno sapeva a cosa servisse. Doveva essere una specie di bacca che pullulava tra i sarmati e i siberiani e di cui queste genti evidentemente andavano ghiotti, se ne raccoglievano queste quantità. Qualcuno per caso l'ha vista o assaggiata? Datemene eventualmente conto, per favore. Chissà se l'amico Xesco che fa il cuoco da quelle parti, l'ha mai utilizzata nella sua cucina che mi dice, unisce tradizione e sperimentazione. Rimase un buco nero nelle nostre conoscenze ed ancora oggi, ogni tanto, ritorna alla mente questa, forse, grande occasione perduta. Poi tornò a girare il dollaro e queste cose a poco a poco svanirono nei ricordi. Ogni insuccesso è una opportunità che non si è saputa cogliere e questa dovrebbe essere la riflessione di oggi, cari Michelle e Obama.
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2 commenti:
ebbene si :-) la uso, ci faccio una specie di salsa per la panna cotta.
Una marmellata, e una composta acidina per la selvaggina.
La metto anche in un cheese cake.
E' carissima è una specie di caviale vegetale
Xesko
Accidenti, capito Ferox, e noi scioccamente ce la siamo lasciata sfuggire a tonnellate. Ma non mi ricordo se ce la offrivano alla rinfusa o confezionata. Una specie di mirtillo se ho capito bene. Fatemi venire in Russia, se no, mi rimarrà per tutta la vita la voglia di mortella di palude. Chissà se cè anche la mortella di montagna? Illuminatemi, voi che avete la fortuna di godere dell'ospitalità della santa Madre.
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