Lasciammo Chichi mentre le ultime camionette cariche di gente se ne andavano dalle vie dietro alla piazza del mercato. La consueta corriera colorata ci portò ad Antigua, la prima capitale del Guatemala dopo la conquista, con le antiche vie che si incrociano perfettamente diritte, disegnando una pianta perfetta di quadras di case ad un piano con le sue piazze semideserte, con le chiese dove il barocco plateresco celebra i suoi fasti. Anche qui tre vulcani incombono sulla città, tre mostri furenti che ne hanno segnato il destino e la decadenza. Acatenango, Volcan de agua e Volcan de fuego, in cinquecento anni hanno devastato sedici volte la città con terremoti, eruzioni e inondazioni, alcune decisivi come quella che ricoprì le case di metri di fango bollente. Gli Spagnoli costruirono qui, edifici meravigliosi, forse tra i più belli del Nuovo Mondo, che furono via via spazzati dalla furia del fuoco o dell’acqua. Si dice qui si è evoluta una architettura di tipo darwiniano, perché nel tempo, sono rimasti in piedi solo i palazzi più solidi, quelli costruiti e poi rinforzati in modo più deciso e convincente. Qua e là ancora scheletri di edifici crollati o parti di essi che a fatica hanno resistito, colonne, pilastri che mantengono in piedi volte sostenute da interventi successivi. I sopravvissuti col tempo rinforzati, quelli più deboli e mal costruiti scomparsi nel passato. Una pioggia violenta ci accolse all’arrivo, che lavava le strade con furia, poi in un attimo un sole forte, con la violenza dell’altura si aprì con decisione un gran varco tra le nubi basse a cavallo dei vulcani incappucciati di un velo di fumo grigio. La città, bellissima, apparve pulita e splendente, quasi lucida dopo la pioggia mentre tutto l’orizzonte era attraversato da un grande arcobaleno a manifestare la gioia di aver pianto di quel grande cielo stanco. Si dorme in antiche stupende case coloniali, con arredamenti d’epoca, in camere che si affacciano su patios centrali fitti di piante rigogliose. Passeggiammo a lungo per le strade semideserte tuffati nell’atmosfera delle chiese buie, sui marciapiedi rialzati che bordeggiano le case dalle facciate grigie, come annerite dall’umidità. Incontrammo pochi indios, che camminavano lungo i muri scrostati in fretta, quasi si sentissero fuori posto in quel luogo così chiaramente marcato dalla cultura degli invasori, estranei sulla propria terra che però, di tanto in tanto si risvegliava per tentare di espellere con violenza il Vecchio Mondo che cercava di radicarsi nel Nuovo. Dappertutto incombeva un senso di provvisorietà, di attesa di qualche nuova tragedia distruttiva, di certo avvertita da sempre dagli abitanti che l’avevano costruita con l’orgoglio dei conquistatori e che poi, la violenza della natura aveva convinto ad abbandonare a poco a poco. Tornammo alla nostra posada che era già buio; in alto, nella notte , sul Volcan de fuego, bagliori rossastri illuminavano sinistramente la notte.
lunedì 25 gennaio 2010
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6 commenti:
Anche queste righe rievocano immagini di grande impatto emotivo. M'immagino la bellezza del posto...
Enrico, per te il web comincia a diventare troppo stretto... Pagine come queste DEVONO essere pubblicate.
Enri,
mi associo a Pop.
"tutto l’orizzonte era attraversato da un grande arcobaleno a manifestare la gioia di aver pianto di quel grande cielo stanco."
béh, che dire... emozione pura!
Grazie!
g
L'adulazione è un vento lieve e dolcissimo che ti lambisce carezzevole come le labbra di chi ti ama. Nessuno sa resistervi, ti senti un caldo languore che ti pervade tutto e ti convince che è sciocco mollare, DEVI continuare a scrivere scemenze anche al di là del lecito.
(Come vedete bisogna continuare anche nello stesso stile, ma non sono capace a mettere un emoticon col cuoricino che pulsa, eheheheeh)
Ma grazie lo stesso ragazzi .
sì sì, lo stile del poeta! :-)
ciao Enri,
DEVI continuare!
g
Finchè ne ho voglia non mollo Giò.
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