martedì 27 dicembre 2011

Monumenti fondamentali.

Continuando a consultare compulsivamente la guida di cui vi ho parlato ieri, guatando con occhi bramosi, luoghi del desiderio, in cui non potrò mai essere, me ne è saltato all'occhio uno davvero curioso, che al contrario io ho inopinatamente visitato. Diciamoci le cose in faccia. Ma chi, tra tutti quelli che mi seguono, ha avuto la ventura di trovarsi un giorno a Zheleznovodsk, una piccola cittadina termale del nord del Caucaso, il cui nome si potrebbe leggere approssimativamente come Borgoferro o giù di lì, con riferimento alle sue acque virtuose, che non troverete neppure cercando attenzione sulle carte geografiche più dettagliate? Eravamo a metà degli anni '90 e aggirarsi in quelle lande all'apparenza sperdute, non era cosa usuale. Ma si può proprio dire che, con l'infido Andrej, procacciatore russo di nascita e circasso d'adozione da un lato e la fida e giovane Stefi dall'altro ,che con la sua conoscenza della lingua e dell'ambiente russo mi consentivano una tranquilla esplorazione del territorio, percorrevamo quelle aree periferiche e poco battute alla ricerca di buone occasioni. La pianura infinita che portava alle montagne del Caucaso brillava di neve, l'aria era così lucida e tersa da consentire la vista del cono perfetto dei 5600 metri dell'Elbruss lontanissimo e della curva asindotica all'orizzonte che li collegava. Il freddo era pungente, ma a me che mi stringevo nella dublijonka, le orecchie protette dalla schapka di volpe gialla, non dava fastidio; mi ci stavo abituando ormai e comunque l'eccitazione di poter esplorare un mondo così lontano e segreto, mi dava una spinta che poche volte ho provato.

 Le fabbriche e le altre realtà economiche che andavamo visitando sembravano fantasmi abbandonati, strutture che allungavano le loro braccia rugginose male illuminate dal pallido sole invernale. Gli operai si aggiravano come smarriti negli stanzoni gelidi, tra macchine rotte e obsolete, guardando interrogativi gli stranieri che arrivavano da un occidente favoleggiato e ricco di chissà quali miracolose opportunità di arricchimento, quasi che le cose potessero cambiare con la loro sola presenza salvifica e loro partecipare soltanto, con l'arrivo del nuovo bengodi che stava per mostrarsi all'orizzonte. Giungemmo così a Zheleznovodsk in un mattino gelato che ricopriva i marciapiedi sconnessi di una patina pericolosa ed irregolare. Il paesino, adagiato sulle prime colline caucasiche, aveva  strade larghe e deserte. Gli abitanti stavano rintanati nelle case basse ricoperte di candelotti ghiacciati e non da tutte usciva uno stentato filo di fumo che pareva affaticarsi a confondere il suo bianco sporco con l'altro bianco sporco che lo circondava. La direttrice della fabbrica ci accolse in un ufficetto polveroso, con un sorriso triste e melanconico. Il legno sconnesso alle pareti, il linoleum sporco e sollevato del pavimento, le poltrone di pelle finta e sdrucita, i bordi sbocconcellati della vecchia scrivania, raccontavano di una situazione difficile, di un immobilismo antico e incancrenito in attesa di un qualche miracolo che arrivasse dall'alto. Quello era stato uno dei punti di produzione più famosi della vecchia URSS per l' imbottigliamento di un'acqua minerale curativa dalle proprietà miracolose.

Gli occhi di Ielena Bobulova si accesero di un bagliore lontano quando ci raccontò dei tempi felici, quando dieci vagoni al giorno partivano dal braccio di ferrovia che entrava direttamente nei capannoni, carichi delle tradizionali bottiglie da mezzo litro, di vetro verde, pesantissime, anche se quasi tutte sbrecciate, con la vecchia etichetta azzurra che illustrava le proprietà medicamentose di quell'acqua così ricca di minerali magici. Certo era brutta a vedersi, niente a che fare con le brillanti bottiglie in PET, così perfette e trasparenti, con le loro etichette lucide e ammiccanti che cominciavano ad uscire dalle fabbriche della vicina Cherkiesk e che tutti volevano, anche se l'acqua al confronto non valeva nulla, salata anch'essa certo, ma priva di quell'odore acre ed all'apparenza fastidioso che pervadeva tutti gli ambienti circostanti ed anche un po' il paese, visto che la fonte proseguiva inarrestabile a sgorgare dalla montagna. Alla gente non importavano più le proprietà medicamentose, tutti ormai si accontentavano dell'aspetto esteriore, bello e perfetto perché sapeva di occidente, di ricchezza promessa, di futuro migliore, che però in fondo era quello che anche lei avrebbe desiderato e la ragione per cui ci aveva ricevuto. Certo, quando diede un'occhiata all'offerta, dopo aver scorso con occhi famelici i depliant lucidi che illustravano le imbottigliatrici e le soffiatrici per produrre le nuove bottiglie, al vedere i costi dell'impianto, un velo di tristezza consapevole appannò i suoi occhi grigi, incupendoli ancora di più ed il lampo scomparve.

Fu molto gentile comunque, ringraziandoci per il tempo che le avevamo dedicato e tentò in ogni modo di farci provare l'acqua dell'azienda la cui proprietà fondamentale e primigenia era quella di essere potentemente lassativa, aspetto medico che ci illustrò a lungo, puntualizzando l'importanza della funzione e le sue conseguenze benefiche dovute ad una regolarizzazione giornaliera dell'organismo e che solo l'uso continuo di quell'acqua santa potevano garantire. Ce ne andammo, senza aver effettuato la prova pratica che l'astuto Andrej ci aveva precedentemente consigliato di evitare, salvo conseguenze imbarazzanti per il resto della giornata. Il sentore sulfureo e ferruginoso che, d'altra parte dava il nome al paese, ci accompagnarono fino alla macchina. Ce ne andammo, certi come la direttrice, che la fonte avrebbe chiuso a breve. Scendemmo la collina imboccando l'ultima curva che immetteva sulla statale che portava a Kislovodsk, la stazione termale dello Zar. Dietro di noi le ultime case basse di quel paesino di cui, benché mi sforzi, non riesco a ricordare nulla, talmente era anonimo.

Cosa dunque ci sarà stato perché questo gruppetto di case perduto nel nulla, fosse elencato dalla Lonely Planet  come uno dei luoghi curiosi del mondo da non perdere assolutamente? Leggendo attentamente la guida e controllando su internet, ho capito. Un monumento importante, ma che al momento della mia visita ancora non c'era e che forse potrebbe essere una diretta conseguenza del nostro disinteresse a fornire a credito l'impianto per consentire un futuro alla fabbrica di acqua lassativa così naturale (oggi ci si potrebbe impostare tutto il marketing, il naturale paga come non mai), la cui chiusura deve aver lasciato in ambascie milioni di stitici di tutto il paese. Ma ad ogni cosa c'è rimedio e la scienza medica non sta lì a girarsi i pollici. A rimedi antichi, soluzioni antiche. Così come potete vedere dal video allegato, dopo la chiusura della fonte, nel 2008, il sanatorij di Zheleznovodsk, ha inaugurato il primo monumento del mondo, del peso di 400 chili di bronzo e costato un milione di rubli, dedicato al clistere, opera di un famoso scultore della Russia ormai modernizzata e citato appunto dalla Lonely. La cerimonia è molto russa e forse la presenza delle tipiche infermiere inauguratrici, può aver influenzato anche politici nostrani che hanno frequentato con ammirazione quel paese per diverso tempo. Il primario, che ha voluto a tutti i costi l'opera ha detto: " Dopo la chiusura della fabbrica della nostra acqua lassativa, non si può vivere senza clistere."





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