Hotel Eden Chinguetti -Mauritania - febbraio 2025 |
Capirai, ci si ostina a programmare tutto con grande e puntigliosa precisione, che poi non si sa mai cosa possa accadere, stai attento ad ogni cosa, perché per carità, l'imprevisto è sempre in agguato e poi si sa se sei all'estero son sempre grane, ma cari miei è inutile farsi tutte 'ste paturnie, alla fine se tutto è già scritto nel grande libro del destino, è inutile affannarsi, l'ombra nera, l'appuntamento che stai cercando in tutti i modi di evitare è già là al mercato di Samarcanda dove tu sei fuggito inutilmente per evitarla, cavalcando per tre giorni e tre notti con il cavallo più veloce che c'è. Così Ahmed ha insistito ancora una volta per portarci al camping tra le dune nel palmeto fuori città, ma no, che in fondo si sta così bene nel nostro alberghetto Eden, nomen omen, anche in questo caso. Così eccoci in camera, con la possibilità di riposarci ancora un po' distesi in un bel letto comodo, la voce lontana del muezzin ormai svanita come un eco tra le dune. Sono le otto ormai, andiamo a mandar giù un altro po' di stufato di cammello che così si ricordi che fine si fa se non si ha voglia di portare i turisti in groppa tra le dune. Il giardinetto del patio dell'albergo è ormai buio, la notte scende in pochi minuti nel deserto e tutto intorno tutto si mescola quando il cielo è senza luna. Tiziana è già andata nella sala dove si cena, io mi soffermo ancora un poco a mirare il chiarore delle stelle e anche questo è un segnale del destino in agguato. Che bello il cielo africano. Mi incammino traversando il cortile di ghiaia, ancora con la testa per aria. Le casette delle sale comuni sono in fondo, tra le palme che lo bordano.
C'è solo una luce piuttosto fioca sul fondo che non riesce ad illuminare più di tanto. Il personale, poco in questa stagione è disperso in giro a prepararsi per la cena. Anche la porta della sala è buia e da dentro non escono rumori, evidentemente non è ancora arrivato nessuno, ma il minimo di luce che fuoriesce rende semplice orientarsi per arrivare, quindi il cammino non richiede particolare attenzione: Così, come tutti gli anziani che pensano ad altro invece di concentrarsi su quanto sarebbe importante, proprio al limitare della soglia di ingresso dove alcuni gradini scendono verso il basso, un dislivello di qualche centimetro, un paio o poco più, separa il marciapiede dall'ingresso. L'occhio del vecchio, di solito attento ai gradini di normale altezza, che rappresentano una insidia da valutare sempre con accortezza, invece, non ravvisa queste asperità minime, non le valuta come pericoli e le tralascia in quella fascia di subconscio a cui il corpo dovrebbe reagire con gli automatismi della normalità della vita. Ecco che quindi il mio passo, già di norma piuttosto strascicato e pesante, inciampa nella lieve ed insignificante asperità ed il corpaccio pesante e privo di tonicità, precipita verso terra come corpo morto cade, senza il minimo tentativo di difesa o protezione. Da buon anziano cado spesso, proprio per le ragioni suddette, ma i lunghi decenni trascorsi in palestra mi hanno dotato di una sorta di automatismo di difesa che ha sempre fatto sì che cada senza farmi danni importanti, salvo lievi escoriazioni. Questa volta, prima che il sacco di patate da quintale, arrivasse a raggiungere il suolo cercando, magar nella ultima fase della caduta di attutirla in qualche maniera facendo almeno che si limitasse il danno, ecco che ho incontrato lo stipite in cemento dell'ingresso, uno spigolo vivo che neppure le trivelle abbattitrici delle costruzioni abusive avrebbero avuto la forza di abbattere.
I miei sensi hanno percepito prima di qualunque altra cosa un rumore nuovo per le mie orecchie, un crack, sinistro ed inequivocabile, poi ho incontrato il suolo oltre i gradini e sono svenuto. Solo per pochi secondi è vero, poi sono riemerso dai fumi della botta in uno stato semi confusionale, ma con la perfetta sicurezza di essermi rotto il braccio destro, vista anche la posizione assolutamente anomala dello stesso e del dolore assolutamente insopportabile. Dopo un tempo che non sono riuscito a calcolare con certezza, è arrivato qualcuno e si è cercato di mettermi quantomeno seduto. Mentre prendevo fiato, Ahmed è corso a cercare un medico che è arrivato poco dopo e con una gentilezza e una partecipazione che ricorderò a lungo, non ha potuto fare altro che constatare la frattura, avvolgermi il braccio nel mio cheche, che quindi a qualche cosa in fondo è servito, mi ha consigliato di arrivare all'ospedale più vicino quello di Atar, il più presto possibile, visto che lì, anche il piccolo dispensario esistente era chiuso e non aveva a disposizione neanche un analgesico. Briga e tira, tra il povero Ahmed in ambasce, che non sapeva più cosa fare per consolarmi, Brahim e mia moglie che ha fatto su le masserizie, mi caricano alla meglio sulla macchina e alle 9 ci accingiamo a fare nel cuore della notte i quasi 100 chilometri di pista che ci separano da Atar, col braccio ciondolante malamente appeso al collo. I primi chilometri sono nella pista di sabbia per un percorso di un'oretta, nel quale non ho neppure avuto la preoccupazione che ci perdessimo per sempre tra le sabbie, tanto mi faceva male quel bambino stretto al collo, poi per le altre due ore la pista era battuta e ben riconoscibile anche di notte, ma la frequente tole ondulé da percorrere con una serie di scosse e tremolii, ha fatto sì che con ogni probabilità, mi rimarrà impressa per tutto il resto della vita che comunque spero ancora lunga e fruttuosa.
Ad Atar l'ospedaletto, per fortuna è aperto anche la notte e da buon straniero, vengo accolto con tutti gli onori e due medici mi prendono in carico non appena la sedia a rotelle (senza una rotella per la verità) su cui sono appollaiato ha percorso i lunghi corridoi della struttura che a mezzanotte appare come deserta. Naturalmente mi chiedono se sono caduto dal cammello, cosa che evidentemente capita spesso. Poi mi fanno un paio di lastre, confermandomi quel che già si sapeva, e cioè che trattavasi di trattura composta dell'omero necessitante di immediata operazione, che naturalmente non erano in grado di eseguire nell'ospedaletto, ma che avrebbero immediatamente telefonato nella capitale, dove potevo comodamente arrivare il mattino successivo (i 500 chilometri di ottima strada si possono fare comodamente in 5/6 ore) ed essere immediatamente operato. Per il vero ho cominciato a nicchiare, cercando di ragionare freddamente e stoicamente resistendo al dolore. I due medici, molto bravi e simpatici tra le altre cose, dapprima hanno cercato di convincermi, assicurandomi sulla validità dei medici locali e sulla efficienza del loro sistema sanitario, tra le altre cose tutto gratuito, tranne l'acquisto della protesi di titanio per circa 100 dollari, poi, visto che continuavo a titubare accampando possibilità di eventuali conseguenze di natura diabetica, anche se son stato lì lì per cedere, vi dico la verità, visto anche che i tempi di rientro non erano così perfettamente ipotizzabili, mi hanno fatto una doccia provvisoria di gesso con quello che avevano e poi mi hanno lasciato andare dicendomi, va be' se non ti fidi, fai come vuoi. e mi hanno lasciato libero.
Così passati in farmacia a prendere qualche analgesico, abbiamo passato quel che restava della notte nell'alberghetto dove eravamo stati all'andata e il mattino dopo siamo arrivati la mattina tardi a Nouakchott, dove gli addetti del nostro albergo ci attendevano a braccia aperte, essendo ormai vecchi clienti, Nel frattempo avevo trovato un biglietto via Casablanca che mi ha consentito di raggiungere la Malpensa e la sera successiva ero al pronto soccorso il CTO di Torino che ha confermato tutto quello che già sapevo, salvo che il primo posto disponibile per l'intervento era disponibile dopo tre settimane. L'amico Ahmed che mi monitorava via WhatsApp ogni paio d'ore, non voleva credere alle sue orecchie che in Italia ci volesse tutto quel tempo per un intervento di questo tipo ed era assai dispiaciuto che non avessi voluto seguire il consiglio avuto laggiù, per la serie te l'avevo detto. Va da sé che anche io sono stato per un po' piuttosto innervosito dalla situazione, visto che un braccio rotto che ti ciondola dalla spalla non è divertente affatto, ma poi dall'ospedale mi hanno telefonato che si era liberato un posto dopo una settimana e poi, come vi ho già relazionato abbondantemente, tutto è andato nel migliore dei modi, anzi non posso che ringraziare di cuore sinceramente tutte le persone dai medici agli infermieri e tutti gli incaricati con i quali sono venuto a contatto in questa avventura.
Questo non solo per la grande competenza e professionalità, ma anche e soprattutto per l'aspetto umano e la disponibilità in generale, tanto da farmi dire, per l'ennesima vola e ormai devo dire che di occasioni ne ho ormai avuto diverse, che se uno si lamenta della sanità in Italia, davvero non ha capito niente di come gira il mondo e che si merita sicuramente un bel Trumpo o similari, che tanto adesso il mondo va in quella direzione. Diciamo pure che in tutta l'operazione c'è pure il lato positivo da riscontrare. Infatti questi sono i casi in cui puoi testare l'efficacia della costosa assicurazione medica, che paghi per decine di volte senza sapere se poi, quando ne avrai bisogno risponderà alle aspettative. Ebbene, io, come sempre, mi ero affidato alla polizza Globy rosso Plus, della Allianz e che in questo caso ha dimostrato una efficienza ed un efficacia encomiabile, biglietto immediatamente autorizzato all'acquisto e rimborsato in pochi giorni assieme a tutte le poche altre spese che avevo avuto, ma disponibili a coprire le altre eventuali, non solo rimborsate anche una piccola somma di cui non potevo avere la dimostrazione. Più di così, direi non si può chiedere altro, per cui la consiglio vivamente. Comunque insomma è andata così. Grazie all'amico Ahmed, a Brahim e a tutti gli altri laggiù che mi hanno aiutato con cura e affetto e che continuano a seguirmi chiedendo assicurazioni sulla mia salute, assicurando loro, che siccome la Mauritania, mi è rimasta come una spina piantata nella gola, bisognerà presto ritornarci, per, come si dice, finire il lavoro. Grazie a tutti-
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