lunedì 26 maggio 2025

M16 - Biblioteche e deserto

La biblioteca Habbot - Chinguetti . Mauritania - febbraio 2025
 

Tra le case

Finisci la colazione ed il sole è già alto nel cielo, sembra strano, ma nel deserto ci si alza tardi, sembra che ci sia sempre tempo, la fretta non esiste, è una nemica del benessere della mente e nelle solitudini delle sabbie, la mente devi rimanere lucida, deve essere sgombra dai fantasmi della notte, aspettando che i jinn, gli esseri malvagi che durante la notte escono dalle sabbie per fare impazzire i conduttori delle carovane, si siano rintanati nei loro anfratti segreti. D'altra parte non c'è nulla che un buon tè alla menta non possa guarire, neppure le ansie di chi segue la carovana che col suo ritmo lento e costante procede secondo un disegno superiore, la via delle sabbie. E poi diciamo la verità, cosa vuoi che ti capiti nel deserto, al massimo caschi nella sabbia e nessuno si è mai fatto male con questo, mi sembra così evidente! E allora andiamo di nuovo a fare un giro mattutino nella città antica, dove i negozietti del pane stanno ancora aprendo e solo qualche donna frettolosa scivola via dietro gli angoli in ombra, scomparendo poi negli usci bassi sbarrati da antiche serrature di legno. Avranno fatto tardi anche loro ieri sera, visto a che all'una erano ancora tutte al campo a ballare e cantare e poi chissà quanto tempo ci avranno ancora messo per struccarsi per bene. In effetti del fatto che la donna mauritana abbia uno status ed un comportamento generale molto diverso e più libero delle sue compagne delle altre regioni dell'Islam, ce ne aveva già fatto cenno il nostro Ahmed.

Il sig. Ould Habbot

Ma basta pensare a cosa ne raccontava il celebre viaggiatore arabo Ibn Battuta che nel suo libro "Il viaggio", quando riporta con stupore negli incontri fatti proprio in Mauritania nel XIVsecolo, dove dice che "..le donne non si velano il capo ” e “hanno amici e compagni estranei alla loro famiglia, così come gli uomini hanno per amiche delle donne che non sono loro familiari". Robe da matti, insomma tradizione antica. Noi sgusciamo tra i vicoli, come ladri, spuntando dietro alla moschea. Butto uno sguardo in alto per cercare di scorgere le famose uova di struzzo che troneggiano sulla cima dei merli del minareto. Devi guardare con attenzione, perché da giù sembrano davvero piccoli piccoli, quegli ovali bianchi fissati su sottili asticelle fissate nella malta, una delle curiosità di questo edificio. Le uova di struzzo sono, nel deserto e nel mondo arabo, simbolo di prosperità, ma anche di ricchezza e potere e non potevano essere collocate in altro posto che qui per dimostrare l'importanza della città nel suo periodo d'oro e inoltre sono state messe anche per dimostrare l'unione dei popoli del deserto con la natura. Per la verità c'è anche una leggenda che lega queste uova all'Islam, visto che si trovano spesso esposte anche all'interno di diverse moschee come ad esempio ad Istambul. Si racconta infatti che il Profeta nascostosi in una grotta sia stato salvato da chi lo cercava per ucciderlo, perché un ragno aveva ricoperto l'entrata con le sue tele e per questo era proibito togliere le tele di ragno negli edifici sacri. 

La biblioteca

Ma negli effetti pratici queste rappresentavano un problema e allora invalse l'uso di porre negli angoli uova di struzzo che emanavano nel tempo un cattivo odore, che teneva lontano i ragni, che saranno pure sacri e meritevoli di rispetto ma le ragnatele rimangono sempre un bel problema. Mi dicono che adesso sono generalmente sostituite da uova di marmo, che mantengono la simbologia, ma quantomeno evitano la puzza; l'uomo alla fine è sempre pragmatico. Intanto sbocchiamo proprio davanti alla biblioteca Habbot, una delle più famose della città, che vanta il possesso di oltre 1500 libri manoscritti, conservati da questa antica famiglia di sapienti. Il curatore, discendente dei vecchi fondatori che risalgono a Mohammed Ould Habbot el-Kebir, calzati i soliti guanti, ci mostra subito qualcuno dei suoi pezzi più belli, con splendide miniature, estraendoli ad uno ad uno da scaffali ricavati tra i mattini dei muri. Uno è un trattato di geometria e nei margini larghi lasciati dalla scrittura, che si concentra di solito ordinatamente al centro del foglio, forse consapevole del fatto che i margini sono la parte più deperibile essendo esposta all'esterno, si allineano schemi con la dimostrazione di teoremi sui triangoli. In effetti larga parte della nostra matematica moderna è debitrice a questa parte del mondo per la trasmissione ed il progredire di questa scienza nel medioevo. Il esto più antico è scritto su carta cinese e risale addirittura all'XI secolo, pensate un po' alla globalizzazione che era presente nel tempo antico e a come si muovevano le merci attraverso il mondo. 

Il museo

Leggi negli occhi dell'anziano l'orgoglio di essere qui a svolgere un compito importante e il suo sorriso si allarga quando racconta che dopo il riconoscimento delle Biblioteche del deserto come patrimonio Unesco nel 1996, le cose sono un po' cambiate e ci sono progetti in essere di digitalizzazione di tutti i volumi, che in città sembrano superare i 40.000 pezzi. Certamente lo stato di conservazione agli occhi nostri è terribile, così come appaiono coperti di una patina di polvere, insidiati dagli insetti e soprattutto dalle termiti; ce ne mostra infatti uno con tutto il blocco delle pagine completamente cosparso di grandi buchi erosi che lo trapassano completamente senza salvare neppure le preziose copertine di cuoio animale. C'è stato, è vero, un progetto per costruire una moderna biblioteca che con criteri moderni di conservazione radunasse tutti i volumi presenti, ma alla fine le famiglie dei proprietari non hanno voluto rinunciare a quello che loro considerano un patrimonio inalienabile dei loro progenitori. Così questa straordinaria ricchezza rischia di consumarsi definitivamente tra le sabbie di questa città agonizzante, soffocata dal deserto che a poco a poco se la sta seppellendo. Guardando gli occhi di questo uomo che sfoglia con estrema cura le pagine fragilissime senti certamente un grande e sincero orgoglio, ma anche l'assoluto diniego a separarsene, anche se questo potesse garantire un futuro a questa inestimabile ricchezza. 

Manoscritto del XII secolo

Nel cortile della antica casa ci sono altri ambienti che costituiscono un altro piccolo museo che racchiude, come quello visto ieri, una serie di oggetti tradizionali che raccontano la vita degli abitanti della città nel ultimi due secoli. Il consueto ammucchiarsi di manufatti, molti curiosi e dei quali non ti sai neppure spiegare l'uso, altri che descrivono le tradizioni agricole e pastorali, vestiti, giochi, contenitori e così via, come sempre, il tutto è ricoperto dallo spesso strato di polvere che è la costante di questo mondo. Usciamo e continuiamo a percorrere le strade dove la sabbia si accumula, alcune case mostrano ormai solamente i muri perimetrali sbrecciati, altre sono rimaste solo in piedi come stazzi a riparo delle capre; fuori intanto il vento soffia leggero e la curva della sabbia, un asintoto perfetto, si unisce al muro con una crescita costante ormai in procinto di superarlo ed invaderne l'interno. Le capre belano dietro di noi, mentre entriamo in un localino, con delle stuoie a terra. E' tempo di mandar giù qualche boccone, stufato di cammello e pane arabo, mentre Brahim passa il tè da un bicchierino all'altro con cura instancabile e la schiumetta monta adagio adagio. Poi usciamo dalla città per fare un giro nei dintorni, dove il deserto è bellissimo e ne puoi godere la distesa dorata e senza confini, espressione che qui davvero riesci a comprendere definitivamente. 

A casa di Ahmed

Saliamo ad un altra piccola moschea da cui vedi la città lontana e confusa tra le dune, qualche palma negli avvallamenti che sembra discesa in cerca di umidità, poi,  percorso ancora qualche chilometro, ma se ti guardi intorno ti sembra di averne già percorsi mille, avendo ormai perso ogni riferimento e vedi solo gobbe dorate che si allungano tutte uguali, tutte diverse a confonderti la mente e annichilirti il pensiero. Finalmente un'altra piccola oasi. Qui è nato il nostro Ahmed e ovviamente andiamo alla casa dei suoi genitori che ci accolgono con calore. Qui abitano ormai poche decine di persone, tutti i giovani sono andati in città e tornano solamente ad agosto per la raccolta. La mamma di Ahmed sta facendo il cuscus e scorre veloce le mani nella ciotola con la farina bagnata fino a che cominciano a formarsi  i piccoli pallini grigi che costituiscono uno degli alimenti base del paese. Il padre, ancor giovane è palesemente contento della visita del figlio e si fa raccontare notizie della città e ragguaglia il nostro sui fratelli e parenti vari. Una famiglia da cui traspare una grande serenità, come se vivere qui nel deserto, circondati dal nulla più assoluto ed in fondo privi di ognuna di quelle comodità che oramai noi consideriamo indispensabili non fosse neppure nei pensieri più lontani. Respiri una serenità piena e definitiva. Da fuori un chiocciare di una gallina e poi più lontano qualche belato sommesso., come probabilmente accadeva mille anni fa o duemila, in fondo non importa molto la differenza. Andiamo a fare un giro negli orti dell'oasi che mi sembra si chiami Entkemkent. 

Al ristorante

In effetti vista dall'interno appare molto più rigogliosa che vista dalle dune. Ogni appezzamento è circondato da palizzate di foglie di palma ed all'interno sotto gli alberi su cui vedi i frutticini che stanno crescendo sui lunghi steli che costituiranno poi in estate il ricco casco di datteri, ci sono piccoli appezzamenti di orticole, pomodori, cipolle e altre verdure e in quelli più grandi, cereali quasi pronti alla levata. Ci sono pozzi da cui escono tubi che portano nelle varie direzioni. La distribuzione evidentemente è regolata minuziosamente e vedi anche buttando l'occhio intorno, che l'agricoltura anche qui non ha più i metodi antichi, ma si è dotata di una certa attrezzatura che consenta una produzione minimamente efficiente. In giro vedo solo un paio di persone che lavorano, sicuramente non proprietari, ma vi ricordo che in Mauritania, la schiavitù è stata formalmente abolita per legge nel 1980 ma che nella pratica non è cambiato molto nei rapporti tra proprietari terrieri e i cosiddetti Haratin, che anche oggi hanno un rapporto particolare con quelli che sarebbero i loro "datori di lavoro" se si può dire, a vita. D'altra parte è molto difficile liberare anche psicologicamente persone abituate a dipendere in tutto da quelli che venivano chiamati i "maestri", i loro padroni a tutti gli effetti e che, anche se ufficialmente liberi di andarsene, non lo fanno perché essi stessi non si sentono in grado di provvedere a se stessi. E' un problema complesso e molto lontano dall'essere risolto. Noi intanto salutiamo la famiglia di Ahmed e riprendiamo la strada del deserto lungo una valle infinita che si adagia tra le dune il cui colore dorato comincia a scurirsi per diventare un ocra ammaliante. Dietro una duna, sotto una palma, die dromedari con due ragazzi che sembrano aspettarci.

Il pozzo dell'oasi

Chinguetti
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