domenica 3 gennaio 2010

La piramide del sole.




Sarà che qui ci sono -15°C, tanto per fare alta montagna, ma per la serie del non essere mai contenti, mi vengono in mente solo storie al caldo. Lasciamo quindi la Russia per un po’, tanto abbiamo già dato e lasciamoci trasportare dal vento dell’est, buscando el levante para el ponente, come altri avevano già fatto. Ma sì, il Messico, un paese chiave della latino-america, dove sono stato qualche volta e che mi attrae senza una ragione specifica, forse per le molte facce diverse che questo solido lontano sa presentare, se ti lasci andare senza fretta ai suoi ritmi. Non ho mai capito se un tempo fosse uno dei tanti luoghi dove i nostri arrivavano coi gommoni di quei tempi a cercare fortuna. Un mio zio la cercò, subito dopo la guerra, appena sposato. Vendettero tutto quel poco che avevano, mobili e suppellettili e presero il piroscafo che li portò dalle parti di Campece dove lontani parenti della moglie gli avevano dato speranze e possibilità. Come sono simili le storie nei tempi, magari a senso inverso, ma come è facile dimenticarle e cambiarsi cappello. Durò un paio d’anni, poi le cose non andarono bene e se ne dovettero tornare indietro per ricominciare. Il Messico è stato sempre un paese travagliato dalle difficoltà economiche e non credo che fosse mai stato facile farci fortuna. Ma la gente sembra cordiale e latinamente molto incline alla chiacchiera. Una volta che ci andammo da turisti, con la bambina, morbosamente interessata alle piramidi e a quel passato così colorato e violento, almeno nei racconti che ci sono pervenuti, conoscemmo a Città del Messico un tassista particolarmente simpatico, Francisco, e lo assoldammo diverse volte per scoprire la città e i dintorni. Era un tipo piccolo e grassoccio, coi baffi spioventi e la barba di parecchi giorni, portava sempre una camicia bianca senza bottoni aperta sul petto. Mancava il sombrero, poi sarebbe stato il messicano delle barzellette. Si tergeva continuamente il sudore che scendeva copioso dalla fronte, con un fazzolettone rosso che gli pendeva dalla tasca di un largo pantalone chiaro. Parlava uno spagnolo facile e cadenzato che risultava comprensibile anche alla mia bambina che lo guardava affascinato. Ci portò in giro per tre giorni qua e là sul suo maggiolone verde con una cassetta sparata a palla, per mostrarci gli angoli più interessanti della città, raccontando storie e magnificando i posti. Piazza Garibaldi coi mariachi e la musica più messicana che si possa immaginare, il Zòcalo, col palazzo del governo e i magnifici murales di Ribera, plaza des tres culturas col suo mercatino, la straordinaria cattedrale barocca dalla facciata tutta storta per il cedimento del terreno sottostante, la parte vecchia ancora devastata dal terremoto degli anni ’50 con la torre panamericana, l’unico grattacielo dell’epoca che miracolosamente sopravvisse all’evento. Un giorno ce ne andammo a Teoticauan, il bellissimo sito archeologico azteco con le più alte piramidi del Messico. Che colpo d’occhio dall’alto della piramide del sole! In fondo al lungo viale quella della luna, più bassa, il contraltare della teogonia. Già immaginavi le lunghe processioni colorate dallo sfarzo delle piume che portavano i prigionieri delle guerre fiorite al sacrificio. La bambina era eccitatissima, anche nel calore del pomeriggio e voleva continuamente sentire storie di sacerdoti e cerimonie. Lungo la strada del ritorno ci fermammo da un vecchio che campava mostrando tutte le virtù dell’agave e i suoi usi, dalla produzione della carta, alla fibra utilizzabile anche con l’ago naturale in cima alle foglie carnose, a tutti i prodotti alcoolici derivati, dal pulque al mezcal col verme, che toccò assaggiare a me naturalmente, mentre Francisco sogghignava divertito. Dissacratore continuo, mi aveva già demolito Pancho Villa e quando mi dichiarai consumatore di birra Corona, mi guardò con compatimento scrollando la testa: -Tripla Ekis o San Miguel estan bien, pero que Corona es ligerisima, no se puede beber, una cerveza que no sirve a nada.- e, deluso, ci lasciò davanti all’albergo.

10 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

La Corona sta alla birra come il Lambrusco sta al vino: non c'entrano nulla.
A me Piazza delle Tre Culture ricorda il massacro di decine di studenti prima delle Olimpiadi del 1968, quelle del pugno chiuso guantato dei velocisti neri americani. Due anni dopo, i mondiali di calcio mi fecero conoscere Toluca e Italia-Germania 4-3. Gli studenti messicani non li ricordava più nessuno. Ma i tempi stavano cambiando.

fabristol ha detto...

¿Ma te l´ho suggerito io questo cambio di continente cosi repentino? :D

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Miiii, Fabri, anche la tastiera spagnola! :)

giovanna ha detto...

Interessante anche questo cambio di continente! :-)
Il Messico, travagliato e magico allo stesso tempo, ricco di culture affascinanti...
Bel "racconto"!
ciao Enri,
g

ParkaDude ha detto...

Vero che la corona è leggera, però da qui a schifarla ce ne passa! del resto è un po' così dappertutto, no? Le cose che esportiamo e che sono le più famose e di mainstream diventano necessariamente anche le meno originali, genuine e 'buone'.

Enrico Bo ha detto...

@Pop-però mi piace lo stesso la Corona, sono di gusti facili. E gli studenti morti e bastonati se li dimenticano tutti in fretta e in tutte le parti del mondo, Roma, Teheran, Pekino che sia, è la vita.

@Fabri- assolutamente casuale, quando sono venuto poi da te è ho visto che eri in Messico, ho capito subito che gli UFO ci guardano con occhio benigno, vedi post di oggi;-)).

@Giò- E' che ho deciso di ripercorrere un paio di vecchi viaggi che ho fatto da quelle parti, sai soliti taccuini ritrovati e poi con la Russia, sinceramente avevo rotto un po' tutti.

@Parka, grazie per il sostegno, ma la Corona è mica poi così male, io poi apprezzo anche il Lambrusco con le caldarroste

Annarita ha detto...

No, Enri. Tu non rompi mai qualunque cosa racconti. Io mi incanto a leggere le tue storie, che siano in Russia, in Cina, Messico, o dove ti pare.
Vedi a che ora sto leggendo?

Immagino la tua bambina che, nonostante il calore, aveva tanta energia da spendere...

Beh, io non sono stata mai in Messico e ho dei forti dubbi che possa andarci. Leggendo te, non è sicuramente come essere là, ma è una consolazione.

Salutone.
annarita

Enrico Bo ha detto...

Grazie Annarita, sono i commenti come i tuoi e degli altri amici che mi costringono a stare qui a postare in un bar, perchè in casa la chiavetta (maledetta) non prende. Mi fate sentire maledettamente in obbligo, acc...

Peccato che tu non ami il viaggio, però forse ti affascina come categoria filosofica, mi sembra.

In effetti la mia bambina (a parte che aveva almeno 12 anni, ma noi ce la siamo sempre portata dietro dai due anni in poi e non credo che sia stata cosa vana)era estremamente eccitata, la storia di Pakal poi, l'aveva particolarmete colpita e poi io, come immaginerai a raccontare storie, mi ci metto con particolare fervore.

Annarita ha detto...

Enrico, il viaggio mi affascina come metafora. E come potrebbe essere diversamente, dato che incarna il mito di Ulisse e dell'Uomo, sempre alla ricerca della conoscenza?

Il viaggiare in sé, non inteso in senso metafisico, mi affascina pure...ma, un po' per pigrizia e un po' perché l'estate ritorno dai miei, da cui ho scelto di vivere molto lontano, per contratto matrimonio con un "barbaro romagnolo", sono due elementi che incidono molto nel non intraprendere viaggi così lunghi.

...Ergo, continua a raccontare...

Un bacione
annarita

Enrico Bo ha detto...

Cara Annarita, finché ce la faccio continuo, d'altra parte adesso che non ho più la possibilità di muovermi per necessità familiari, almeno questo mi fa sognare e va bene lo stesso.

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