Visualizzazione post con etichetta Religione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Religione. Mostra tutti i post

martedì 18 marzo 2014

Religioni


Il tempio principale della religione Cao Dai

La facciata
Certamente, visitando i diversi templi sparsi per la città e, nei giorni successivi, quelli del resto del paese, li trovi sempre pieni di gente che prega, che offre bastoncini di incenso e brucia soldi finti negli appositi bracieri. Anche le chiese cattoliche sono molte e tante ne vedi in costruzione, d'altra parte il cristianesimo risulta la seconda religione del paese quasi il 10% della popolazione. Insomma, nonostante un regime politico ufficialmente ateo, la gente sembra crederci, anche se, contrariamente ai paesi vicini, non vedi mao monaci in giro. La sensazione, come ho già detto, è di una credenza popolare più volta verso la superstizione addizionata ad un culto sincero verso gli antenati della famiglia, da onorare e ricordare e un generalizzato senso che qualche cosa ci sia, quindi meglio non mettersi contro nessuna di quelle forze incontrollabili e superiori che governano il mondo, anche nelle forme più esteriori. Proprio per questo sembra dominare un senso di sincretismo che accetta e ingloba un po' tutto; includendo in fondo non si sbaglia mai. Così se volete una dimostrazione di questo assunto non dovete perdervi una visita a Tay Ninh, a un centinaio di chilometri ad ovest di Saigon, dove ha sede quello che si potrebbe definire come il Vaticano di una religione di cui, scommetto, la maggior parte dei miei lettori non ha mai sentito parlare. Si tratta del Caodaismo, un credo che rappresenta pur sempre quasi il 3% della popolazione. Questa setta sincretistica nata nel XX secolo, ha avuto anche una notevole importanza politica, con una sua propria milizia apertamente schierata contro i francesi, assieme a quella dei buddhisti Hoa Hao, altra setta unicamente vietnamita e poi successivamente  schieratasi come terza forza durante la guerra con gli americani. Bisogna sempre ricordare che questa provincia fu uno dei punti più caldi della guerra. 

Alti gradi del Caodaismo
Qui finiva il sentiero di Ho Chi Minh e la zona fu teatro di violentissimi combattimenti. Anche durante la guerra successiva con la Cambogia, tanto per non farsi mancare nulla, la zona fu devastata da atrocità sui civili. A causa del mancato sostegno al Fronte, le proprietà Cao Dai vennero confiscate dopo la liberalizzazione, ma successivamente la normalizzazione riportò tutto come prima e il culto riprese in pieno. Ma di cosa si tratta esattamente? Il fondatore Ngo Minh Chieu, era uno spiritista che vantava un contatto con gli spiriti dei morti, cosa a cui i vietnamiti sono molto sensibili e radunò tutti i credi in un'unica religione onnicomprensiva partendo dall'assunto che ogni tempo ha i propri uomini eccezionali che predicano per il bene dell'uomo. Unendo la cosiddetta triplice religione del Vietnam, il misto tra Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo alle credenze ancestrali del paese, un animismo che si fondava sul culto femminile delle ninfe dei boschi e delle sorgenti, il Cao Dai (la torre elevata) comprende tutte le manifestazioni religiose successive, dal Cristianesimo all'Islam, unito perché no, all'illuminismo laico. Non per nulla il mistico Ngo aveva studiato alle scuole francesi. Tutto è fondato sull'idea della persona buona che evitando le male azioni può liberarsi del ciclo delle reincarnazioni, mentre le anime dei morti interpellate con apposite sedute spiritiche aiutano i vivi consigliandoli come bene agire. Dopo le prime due fasi delle rivelazioni, a cominciare da Lao Tse, e poi Buddha, Confucio, Mosé, Gesu e Maometto, è seguita una terza fase in cui gli spiriti nobili, che rimangono in contatto con noi durante le sedute, aiutano i fedeli costantemente. 

Una dei cardinali donna
Tra questi, gli occidentali Giovanna d'Arco, Shakespeare, Lenin, e udite udite Victor Hugo, che appare spesso e per questo è stato insignito dell'incarico postumo di missionario all'estero per propagandare il credo. La sede è nel villaggio di Long Hoa, pochi chilometri fuori città, in una enorme superficie ricca di giardini e costruzioni coloratissime che fa pensare tanto al Tiger Balm Garden . Ci arrivi dopo aver sfilato le infinite risaie che si allargano a perdita d'occhio, non appena abbandoni la congestionata periferia di Saigon. A poco a poco, i nuovi capannoni industriali, si diradano; gli scheletri dei palazzoni non finiti cessano di puntare verso il cielo le dita di cemento e ferro che comincia ad arrugginire e lo spazio si dilata, gli argini di terra racchiudono spazi grandi e piccoli e l'uomo e soprattutto le donne col cappello a cono, chine nel fango ne ridiventano protagoniste. Ti accorgi di essere arrivato, non solo per le cancellate e gli ingressi colorati e barocchi, ma per i gruppi di fedeli che bardati da lunghi sai bianchi, si dirigono verso la funzione del mattino. Nei giorni festivi i fedeli sono alcune migliaia. Non puoi non rimanere impressionato da questa massa di paramenti colorati a seconda della tendenza, giallo per Buddha, rosso per Confucio, blu per Laotse. Anche gli elaborati cappelli e tiare identificano i diversi gradi. Il tempio principale è spettacolare. Ispirato alle chiese francesi, con due grandi campanili esterni sulla facciata, oltre alle simbologie onnicomprensive, croci, guglie, cupole e mezzalune islamiche, sole e stelle, animali fantastici, è una esplosione di colori smaglianti. 

La navata centrale del tempio
L'interno poi, con la sua fuga di  colonne attorcigliate dai dragoni, ti stupisce per la vastità. Dalla balconata superiore, sotto la volta stellata, rimani attonito a contemplare la vastità dello spazio che a poco a poco comincia a riempirsi. Gli uomini da destra, le donne da sinistra, i fedeli sfilano ordinati andando a riempire i posti evidentemente assegnati con cura e dipendenti dal grado e dalla posizione nella scala gerarchica della setta. Man mano che si  avanza verso il centro ed il fondo della chiesa, noti vestiti e copricapi più elaborati. Una donna anziana completamente coperta da un velo bianco, evidentemente uno dei gradi più alti, è al centro quasi vicino alla enorme sfera blu ricoperta di stelle che troneggia a mezz'aria verso il fondo della sala, sotto la cupola del paradiso. Su tutto, dai lati alle finestre così come sul fondo, il triangolo simbolico dentro al quale campeggia l'occhio vigile della divinità, una sorta di logo del grande fratello. Poi il rituale segue il suo corso scandito dai gong, dalle campane e dai colpi di tamburo, preghiere, invocazioni, canti che tutta la comunità esegue al suono discreto di un gruppo di strumenti tradizionali, piazzati in alto in una sorta di palco. Rimani in ascolto quasi estatico, come capita in tutte le manifestazioni di profonda religiosità. Chi crede profondamente contagia gli astanti qualunque siano i suoi miti. La cerimonia si dipana in tutte i suoi momenti istituzionali, poi dopo un'oretta, i gruppi escono in file ordinate, fermandosi a chiacchierare fuori dall'edificio, come da noi sul sagrato dopo la messa. 

L'occhio di Dio
Poi tutti se ne vanno alle loro case, lasciandoti una gran sensazione di pace, tra fiori e colori sgargianti, un po' santuario, un po' Disneyland, un po' carnevale, un po' festa del paese. Rimani ancora fuori del tempio a cercare di capire, sotto il grande affresco, circondato da fregi rococò, che raffigura i tre firmatari della Terza Alleanza con Dio. Il fondatore del socialismo in Cina, il dottor Sun Yat Sen che tiene il calamaio, il maggiore poeta del Vietnam, Nguyen Binh Khiem con un pennello da scrittura e Victor Hugo con la feluca da ambasciatore e la penna d'oca in mano, tutti con regolare aureola, che scrivono in cinese e francese: "Amore e Giustizia" e "Dio e Umanità". Quando te ne vai, per ributtarti nel caos del traffico, lasci tra gli immensi spazi, i vialetti delimitati da siepi curatissime, le piccole costruzione colorate e isolate tra gli alberi bassi, una sensazione di tranquillità serena. Il tempo per parlare con i morti è comunque limitato, bisogna tornare alla vita di tutti i giorni, alla realtà quotidiana, come sembrava suggerire, questa mattina alle 6, in albergo, mentre scendevo in ascensore, con uno sbadiglio a 32 denti, una ragazzina che faticava a tenersi in piedi su zeppe rosse con tacco 15 a stiletto, cercando di riaggiustarsi il trucco, dopo aver finito il suo lavoro. 

I firmatari dell'alleanza.
____________________

SURVIVAL KIT 8

Arrivare a Tay Ninh coi mezzi pubblici è un problema, per cui io consiglierei caldamente di prendere un giro organizzato, direttamente dal vostro albergo, con una decina di $, oppure attraverso Asiatica Travel (www.asiatica-travel.comche ho usato io e che dà un ottimo servizio. Si parte al mattino per arrivare per la funzione di mezzogiorno, poi, generalmente questa meta è abbinata alla visita dei tunnel di Cu Chi che è sulla strada di ritorno al pomeriggio. Se siete della mia stazza, come giro vita intendo, potete saltare questa tappa, in quanto i tunnel sono talmente stretti e piccoli, più di quello della piramide di Cheope per intenderci, che non riuscirete neanche ad entrare. E' comunque esaustivo di quanto potesse essere la qualità di vita dei Vietcong durante gli anni di guerra. 

Tra Cu Chi e Tay Ninh si trova Trang Bang, la località dove fu scattata la fotografia simbolo dlla guerra del Vietnam, quella della bambina che fugge nuda ustionata dal napalm, che a quel tempo qui cadeva dal cielo a fiumi, ma per la verità, sul luogo non rimane niente da vedere.

Poco più in là potete raggiungere il confine cambogiano di Moc Bai (per andare o arrivare in pullman da Phnom Penh) Zona tax free dove vanno tutti a fare acquisti, oppure per passare il confine e gettarsi nella jungla dei casinò di Bavet. Anche i vietnamiti vanno pazzi per il gioco d'azzardo come i cinesi.

Per chi ha tempo si può trascorrere una giornata nel parco a tema di Dai Nam (50.000 dong) una Disneyland buddhista a tutto tondo. Vicino laboratori di oggetti laccati.



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:


sabato 15 marzo 2014

Odori di incenso




C’è molto da vedere a Saigon. Comincerò dalla parte più segreta, un pochino nascosta, tuttavia, proprio per questo, ancora più fascinosa e stimolante. Sparsi per la città, sono moltissimi i templi della tradizione sino-vietnamita. Della religiosità in generale di questo popolo, argomento molto interessante,  vi parlerò magari un’altra volta, oggi vorrei soltanto assaporare i piacere della scoperta che si avverte andando a visitare qualcuno dei moltissimi edifici religiosi sparsi nei diversi quartieri della città, partendo dal più antico, la pagoda Giac Lam. Come tutti gli altri edifici religiosi antichi, anche questa costruzione, giace seminascosta nel verde dei giardini. In Vietnam il tempio non ha la visibilità arrogante dei suoi pari che sorgono nei paesi vicini. Niente portali colossali, tipici dei templi indù, nessun fasto e vastità di proporzioni di complessi quali Angkor Vat o dei grandi santuari buddisti himalayani, né la grandiosità delle mosche o la posizione centralmente comunicativa delle cattedrali cristiane e neanche i luoghi paesaggisticamente straordinari dei templi cinesi, giapponesi e coreani. Gli edifici vietnamiti sono sempre di dimensioni limitate e non invasive. Li devi cercare tra le case e mancano generalmente anche di alte guglie e pinnacoli per farsi notare da lontano. Gli ambienti sono scuri e inducono al raccoglimento intimo. 

Superi il cancello, ti perdi nel giardino ammirando le piante antiche ed le collezioni di bonsai  collocate tra le rocce, poi vai al di là della soglia addentrandoti in passaggi stretti che ti portano davanti all’altarino, alla divinità di tuo riferimento o al luogo di culto per gli antenati. Un mondo fatto di lacche rosso scuro e dorate, di rilievi di legno scolpiti, di statue che sorridono e richiedono offerte. Ed ogni spazio libero è infatti occupato da cesti di frutta, banconote di piccolo taglio, fiori e scritti, mentre i fedeli, incuranti di quanto li circondano, dispongono bastoncini d’incenso, pregano, chiedono grazie concentrati e convinti. In generale la visita ad un tempio si svolge attraverso un percorso che conduce davanti a tutti i punti chiave in cui il fedele eseguirà le sue preghiere. A GiacLam parti dal grande albero dell’illuminazione, nato da un frammento di quello storico di Sri Lanka e cresciuto a fianco al biancore abbacinante della grande statua della dea Quan la pura. C’è un totale sincretismo in questo come in tutti gli altri templi vietnamiti, dove troverai le dee ninfe dell’antica religione viet, mescolate ai simboli del tao, del Buddha e di Confucio. Rimani incantato davanti al grasso Buddha dell’illuminazione che gioca con cinque bambini, alle file di Bodhisattva dorate, all’altare ad albero con le luci colorate e le foto dei parenti malati per cui si chiede la grazia con le offerte. Tutto che ti appare all’improvviso mentre ti sposti tra le quinte delle grandi colonne di legno, una selva di tronchi, foresta colorata in cui muoversi alla ricerca del santo. 

Sullo sfondo, in molte ore al giorno, senti il suono ritmato del gong, dei tamburi, delle campanelle, una scansione del tempo che aiuta al raccoglimento. Nel quartiere cinese, il tempio della dea  Thien Hau, lo confonderesti con l’ingresso di una ricca casa del secolo scorso e infatti è stata costruita come tanti altri edifici di questo genere come centro di riunione della congregazione dei mercanti di Canton. La dea, appartenente al pantheon buddhista come protettrice dei naviganti, è molto popolare a Hong Kong e Taiwan ed il tempio è visitatissimo specialmente dai turisti provenienti da queste aree. Rimani fermo davanti agli altari, tra la barca sacra che la rappresenta, le statue delle ancelle, mentre dal tetto ricoperto da elaboratissimi fregi in ceramica verde, scendono le mille spirali di incenso che la fede dei visitatori fa appendere da un addetto tramite una lunga canna. Infine nel cuore del distretto 1, tra le vie della città vecchia il tempio più affascinate della città, quello dedicato all’Imperatore di Giada, uno dei simboli del Taoismo. Devi superare all’ingresso, lo sbarramento delle venditrici di tartarughine, che i fedeli liberano poi nella grande vasca centrale per augurare a sé ed ai propri cari la lunga vita simboleggiata dagli animaletti. Poi ti farai strada lungo un percorso in cui rimanere incantato davanti alle trine colorate delle piastrelle di ceramica del tetto, la selva di statue di dei grotteschi ed eroi fantastici, le figure femminile che rappresentano vizi e virtù di questo sesso, i pannelli dove il fedele guarda attonito cosa lo attenderà se peccatore nei dieci inferi, le raffinate sculture incise con i caratteri cinesi d’oro, fino ad arrivare alla statua ricoperta di abiti preziosi dell’imperatore circondato dai suoi due generali. Un rutilare di rossi e oro, di fumi di incenso, facendoti strada tra la folla di statue e di fedeli intenti a chiedere grazie e quando ebbro e confuso esci  in strada, quasi non ti accorgi del rumore, del traffico della città, delle grida dei mercanti, forse le stesse di quando è nato il tempio, della vita convulsa e reale che a poco a poco ti fa rendere conto che le ore sono passate ed è arrivato il momento di andare a mangiare.


_______________

SURVIVAL KIT 5

Tempio dell’Imperatore di Giada – 73, D. Mai Thi Luu. E’ nel distretto 1 quindi facilmente raggiungibile a piedi
Tempio di Thien Hau – 710, D. Nguyen Trau. Nel quartiere cinese di Cholon, si arriva con un taxi don qualche dollaro.
Tempio di Giac Lam – 118, D. La Long Quan. A qualche km dal centro, circa 5 $ in taxi.


I templi principali da non perdere sono i 3 citati, ne esistono comunque numerosi altri come nel distretto 1 il tempio di Trang Hung Dao e quello diXa Loi. Nel quartiere cinese, molti templi costruiti dalle congregazioni dei commercianti delle varie città cinesi assieme alla moschea di Cholon. Nel distretto 11 il tempio di Giac Vien e quello di Phung Son. Più fuori il tempio di Le Van Duyet.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

sabato 24 novembre 2012

Meglio un uovo oggi...

Il poeta Omar Khayyam - dal web


Oggi vi offro solamente la quartina 14 di Omar Khayyam il grande poeta persiano dell'XI secolo, aedo di una grande cultura che ben sapeva tenere le distanze tra laicità e religione.



Dicono: "Paradiso, hûrî e Kauthar ci saranno,
Ruscelli di vino, latte, zucchero e miele".
Offri una coppa in memoria di quelli, o Coppiere!
Moneta contante è meglio di mille cambiali!


La giusta misura è tenere allenata la mente, il resto si risolve da solo.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:


martedì 29 maggio 2012

Cronache di Surakhis 49: I segreti del tempio.

Il monaco si strinse ancora di più la lunga tonaca nera attorno alla gola. La temperatura era più rigida del solito in quella tarda primavera, riempiendogli di brividi le spalle incurvate sotto il peso della colpa. Il pesante e largo cappuccio gli scese lento sul volto già completamente nascosto mentre si appiattiva dietro l'alta colonna di marmo screziato dai capitelli paurosi. Rimase immobile come se fosse parte stessa della parete; quasi non respirava cercando di cogliere ancora il lieve fruscio che le sue orecchie attente avevano avvertito nel buio notturno che avvolgeva il tempio deserto. Sotto la tela grezza del saio, il cilicio che si autoimponeva, cosciente della gravità dei peccati che stava commettendo, stringeva contro il magro costato il fascio di carte segrete che bruciavano sulla sua pelle martoriata più degli uncini conficcati profondamente nella carne. Rimase immobile per un tempo che gli parve infinito, poi lentamente cercando di farsi parte del buio che lo circondava, cominciò a scivolare verso l'ingresso laterale, quello usato dai Questuantes, le cui prima avvisaglie sarebbero arrivate solo dopo qualche ora, non appena il disco dorato dell'astro avesse iniziato ad illuminare l'aria.

Ma era ancora troppo presto anche se le tre lune di Surakhis erano già scivolate lentamente dietro la curva delle Colline odorose. Solo la serie di lampi subliminali che irradiava il tabernaculum al centro del tempio lanciando la sua raggiera di onde di controllo cerebrale che obbligava chi transitava nelle vicinanze ad entrare con un impulso irresistibile a donare, emanavano una luce fioca che faceva intravedere le sagome degli inginocchiatoi penitenziali posti davanti alla buca delle offerte. Le piastre di stimolazione che distribuivano scariche elettriche randomizzate se le offerte rimanevano al di sotto dei limiti accettati, invece rimanevano nascoste malignamente nell'oscurità ovattata. Mentre si avvicinava verso l'uscita, tese il più possibile i sensi periferici e tentò di mettere completamente a fuoco il suo terzo occhio, la cui capacità percettiva tante volte lo aveva aiutato ad evitare gli agguati notturni. Era Aldebariano per parte di madre e questo vantaggio genetico gli era rimasto seminascosto ed invisibile, né lui ne aveva mai fatto parola durante il lungo addestramento subito in seminario.

Era ormai una abitudine inconscia esercitare quell'ascolto interiore prima di mescolarsi ai gruppi di novizi, scartando subito quelli dove avvertiva che stava abbattendosi la serie di feroci sevizie a cui erano sottoposti dagli anziani, usate per piegare le volontà, con quelle sottomissioni vergognose,  quei giochi pesanti che finivano spesso con la morte di qualcuno. Meno della metà arrivavano vivi all'ordinazione e tutti dovevano essere passati almeno una volta nella cella di riposo del Sommo Sacerdote. La sua capacità mimetica lo aveva salvato spesso e grazie a quella era salito così in fretta nelle gerarchie fino a diventarne l'uomo di fiducia. Ma quando era venuto a conoscenza di quei segreti così orribili, la sua fede gli aveva imposto di fare arrivare i documenti necessari a chi li avrebbe usati nel modo giusto. Salvare La Congrega, questo era il suo compito e a questo non avrebbe potuto sottrarsi. Un obbligo morale  impostogli dal suo credo, talmente radicato in lui, da fargli poco considerare la signoria di quel pianetino periferico che gli era stata promessa in cambio, assieme al dominio sessuale assoluto sui suoi abitanti.

Ma i pensieri di queste future delizie, premio alla sua opera non dovevano distrarlo dallo svolgersi dell'operazione. I documenti dovevano arrivare a destino quella notte stessa. Era necessario per salvare la purezza della Congrega. La mano ossuta sfiorò il battente mobile della porta che scivolò sulle guide silenziosa, aprendogli il passaggio verso l'esterno. L'aria fredda della notte percosse le sue guance incavate mentre assaporava il piacere dell'opera quasi conclusa. Nello stesso istante, senza neppure dargli il tempo di sorprendersi, la rete captatoria calò su di lui dall'alto avviluppandolo completamente. In un istante si ritrovò stretto tra le corde, prigioniero senza speranza di fuga, mentre i Sardar nelle loro uniformi antiche, ridevano di gusto puntandogli sul petto le alabarde magnetiche che lo immobilizzarono completamente. 

Dalle ombre della notte, Paularius uscì silenzioso. Incombeva sul monaco come una montagna. Le corde che lo strizzavano lo facevano apparire ancora più piccolo. Lo sguardo irridente gli fece capire che era finita. Paularius staccò il generatore di onde di blocco extrasensoriale che avevano ingannato il monaco e lo sollevò da terra. "Vieni ragazzo, che ne hai di cose da raccontarci. Il Sommo Sacerdote ti aspetta nella camera delle Delizie. Vedrai che ti divertirai anche tu." I Sardar continuarono a sghignazzare, indicando la striscia di bava che era rimasta sul terreno mentre trascinavano via il corpo immobile. Quei lumacoidi aldebariani spurgavano di colpo quando capivano che era finita. Le prime luci dell'alba inverdivano l'aria dal delicato sentore di cloro. Gli sbuffi delle ciminiere delle centrali a merda lontane nella pianura, cominciavano ad offuscare il cielo.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

La notte del Sabba.

venerdì 30 dicembre 2011

Ritorno a Betlemme.



                                                                filmato da Repubblica.

Anche Natale è passato, non ancora completamente perché dobbiamo ancora archiviare torroni, cioccolata e panettoni rimasti, ma non turbatevi a casa mia durano poco e posso certificare che prima della befana avremo chiuso la pratica con tutti i suoi effetti secondari. A Betlemme, intanto, passate anche lì le feste, bisogna sistemare un po' il negozio, preparare i saldi, che qualcuno arriva sempre dopo in cerca di buone occasioni e fare un po' di 3x2 nel perdono dei peccati, infine fare le pulizie dopo l'afflusso della massa dei clienti. Ma anche lì si sa, ogni anno è la stessa musica, ortodossi e armeni, che si dividono gli spazi e gli stand del negozio con una meticolosa osservanza della metratura  (passeranno anche lì, sembra, all'ICI a metro quadro e revisione catastale, che tutto era censito come stalla rurale) anche questa volta se le sono date di santa ragione, brandendo i manici di scopa con cui ufficialmente pulivano i pavimenti, come ultras alla partita con le aste delle bandiere. 



                                                              Il precedente del 2008.

Ha dovuto intervenire, come le altre volte l'autorità palestinese, con la sua polizia, con qualche manganellata a fermare le bastonature, un po' di gente all'ospedale con la testa rotta, ordinaria amministrazione. Il capo dei gendarmi, da buon mussulmano ha cercato di sedare gli animi. Nessun problema, ha detto, discussioni normali tra preti, ma che arresti e denunce, sono cose normali, quando si affrontano i problemi del business religioso e poi gli affari sono affari e da queste parti si campa di questo. Per tutto il resto ci sarà un altro anno per pensarci, per ora facciamo le somme di quello appena passato, fino a domani almeno. E per il prossimo abbiamo almeno la consolazione che dal 21 dicembre in poi non avremo ulteriori pensieri, per lo meno se Monti resiste.

dal web



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

San Silvestro
Shi.
Anatra laccata.
Una valle occitana.

domenica 9 gennaio 2011

Il Milone 34: Tibet misterioso.


Sono ormai molti giorni che abbiamo lasciato il nostro Marco Polo, inviato del Khan, in giro per la Cina. Sappiamo che non è uno che stava con le mani in mano. Ed eccolo qua, lo abbiamo perso di vista per un attimo e lui già se ne va ad esplorare nientemeno che le desolate ed immense lande tibetane.

Cap. 114/115

..Tebèt è una grandissima provincia e l’uomo va per queste contrade 20 giornate e non truova né alberghi né vivande, ma deve portarne per sé e sue bestie, tuttavia trovando fiere pessime e molto pericolose...e v’à molte castella tutti guasti... la gente è idola e malvagia, che non ànno per niuno peccato di far male e di rubare e sono molto grandi ladroni e si vestono poveramente di canavacci e pelli e di bucherain…

Ora il giudizio che dà il nostro Marco sui tibetani è abbastanza tranchant, però è assai curioso che corrisponda appieno alla considerazione che degli stessi hanno i cinesi odierni, per non parlare dei loro vicini a sud, nepalesi e indiani. Dobbiamo ragionare su questo marchio di infamia che accompagna da sempre tutte le popolazioni nomadi del mondo, che sono viste dagli stanziali, come troppo liberi e per questo pericolosi a prescindere, a parte il fatto che gli stessi tibetani considerano la regione più vasta del loro territorio, la provincia di Kham, popolata di banditi e ladroni. La realtà è dunque che da sempre tra la Cina e questa sua regione (già allora inclusa e facente parte dell'impero) c'era una prevenzione di tipo etnico, cordialmente ricambiata dai tibetani stessi. Ma di certo quello che più colpisce il nostro esploratore sono esattamente le stesse sensazioni che attraggono il visitatore dei nostri tempi. Anche io sono rimasto attonito di fronte agli spazi sconfinati e deserti, al senso di abbadono di fronte alle costruzioni isolate abbarbicate ai crinali delle montagne, alla presunta selvaticità dei rari personaggi incontrati lungo le piste e gli alti passi. Una regione estrema dove con facilità la trascendenza ha la meglio sulla ragione e dove l'indimostrabile prevale e si rafforza aiutato dalla rudezza della natura che lo circonda.
Cap 114/115

…e quivi àe molti romitaggi
e badie e monisteri di loro legge……e questi fanno grande affumata dinnanzi agli idoli, di buone spezie e con grandi canti chè ciascuno à propria festa come li nostri santi… …e credon in idoli assai e strani e terribili…e ànno li più savi incantatori e strologi che siano, ch’egli fanno tali cose per opera di diavoli che non si vuole contare in questo libro che troppo maraviglierebbero…
Certamente questo è l'aspetto che più colpisce e affascina il viaggiatore, i templi, le statue terrifiche a loro guardia. Le leggende che li circondano e che lo fanno rimanere a bocca spalancata di fronte ai fuochi dei bivacchi, sorbendosi un delicato thé al burro rancido (spiegazione logica della riuscita di digiuni monacali prolungati che fa anche bene alle labbra vista la quota se riuscite a buttarlo giù) di fronte a racconti di miracolose levitazioni o di trasmissione a distanza del pensiero. Come ho già detto ho assistito anch'io a quest'ultimo miracolo telepatico, come da allegata prova fotografica.




Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

I ponti di Su Zhou.
Ecologia in Cina
Fibra d'amianto.
Ammassi.

martedì 21 settembre 2010

Recensione: Hyder - Fiume di fuoco.

Oggi voglio porre la vostra attenzione su un libro che mi è parso particolarmente interessante . Si tratta di Fiume di fuoco, pubblicato in urdu nel '59 da Quratullain Hyder, una delle più importanti scrittrici indiane del secolo scorso. Come tutti i libri scritti da Indiani, mostra gli aspetti più veri di quel continente da noi sconosciuto o più spesso travisato, che ci fa omologare un quinto dell'umanità attraverso stereotipi formali ed esotici sempre molto lontani dalla realtà. Dalla lettura di queste pagine e dalla straordinaria prosa barocca che ti avvolge subito, una sorta di cento anni i solitudine d'Oriente, come hanno ravvisato i critici, che spazia attraverso 2500 anni di storia indiana, i personaggi chiave, che si ripetono e ritornano in una trasmigrazione continua in linea con il pensiero filosofico indiano, vi appassioneranno di certo, come hanno coinvolto me con le loro ripetitive ma mutevoli storie.

Il principe, la bellissima ed affascinante Champa, l'innamorato Gautham la cui storia non riesce mai a concludersi in una ruota di avvenimenti che si ripresentano come un destino che non lascia spazio all'arbitrio personale, dipingono le loro vicende sullo straordinario sfondo di un'India vera e reale, in cui potrete capire meglio l'intreccio delle religioni che si fondono nei millenni in un continuo confondersi dell'unico vero senso di trascendenza comune, le cui variazioni non sono date che dall'insieme delle superstizioni e dalla necessità di dare una forma comprensibile all'incomprensibile, una spiegazione a quello che, per chi crede, non è necessario spiegare.

Forme religiose che hanno convissuto integrandosi perfettamente per millenni prima che la dominazione inglese, che da un lato ha formato l'India moderna, lasciasse il suo veleno che le ha rese nemiche feroci e violente tra di loro. Il dramma e l'orrore della partizione che questo contrasto ha fatto esplodere fino a portare alla nascita di due paesi disperatamente nemici e la sbalordita e straniante situazione di centinaia di milioni di uomini e donne che si sono trovati di colpo senza una patria, indiani guardati con sospetto se andavano in Pakistan, mussulmani odiosi se restavano in India, stranieri di serie B, disprezzati e derisi quando cercavano un nuovo vivere in una Inghilterra, che tutto questo aveva provocato. Una generazione perduta di apolidi che bene spiega gli odi ed i problemi geopolitici di oggi. Non perdetevi questa opera fondamentale che, sottolineo, mi è piaciuta davvero molto.






Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:


La spiaggia.

mercoledì 12 maggio 2010

Pausa ostensorio-meditativa.

Un attimo di tregua ci vuole, almeno per fermarsi a pensare, a meditare o come insegna il Buddha a lasciare la mente vuota di pensiero. Per me non è questa gran fatica, direte, ma ne ho approfittato oggi per fare una scappata a Torino dove , usufruendo dei moderni mezzi di comunicazione mi ero prenotato via internet per una visita alla Sindone. Ci fosse stato il web e facebook per il discorso delle beatitudini sai che folla, e per il catering avrebbero dovuto fare i miracoli! Comunque chi mi conosce non mi chiederà certo come mai mi sia voluto togliere questo sfizio. Io sono molto interessato a vedere da vicino tutto quello che riesce a muovere le folle, per cercare di capire quale è quel grimaldello che fa scattare il movimento, che mette in moto migliaia di persone apparentemente senza una ragiore reale e li incanala in un percorso. (Il mio grande cruccio è quello di non poter andare alla Mecca, ma forse nella prossima vita, in cui saremo tutti mussulmani). E qui non si scherza mica, per una quarantina di giorni ad una media di 240 persone ogni tre minuti fan quasi tre milioni di persone, mica bruscolini. Persone che magari si fanno centinaia di kilometri e un paio d'ore buone di coda sotto la pioggia o sotto il sole cocente per stare un attimo a guardare il sacro lenzuolo e poi andarsene via buone buone. Io ho cominciato la coda verso l'una, una coda maestosa, in lungo serpente tutto sommato ordinato e silenzioso che si snodava attraverso i giardini reali, passo dopo passo. La gente chiacchierava tranquilla, ma vi dirò che non ho notato per niente l'assorta concentrazione, gli sguardi rapiti e leggermente rivolti verso l'alto, l'aria santifica di pellegrinaggio che mi è parsa punto comune di tanti altri luoghi e momenti simili. A Medjugorie ricordo una donna a fianco a me che vedeva la Madonna, al Santo Sepolcro, gente che si gettava sulla pietra sotto al Golgota per assorbire i sentori d'oli profumati, gli sguadi fissi alla grande moschea di Delhi, l'immobilità dei monaci al Jokhang di Lhasa contrapposto al dondolio ritmico dei fedeli e mille altre situazioni simili. Per la verità oggi la sensazione era che la maggior parte dei presenti fosse sul posto per l'evento in sé, una cosa che si mostra ogni dieci anni, che bisogna andarla a vedere per la rarità dell'evento, mentre ho avvertito meno l'adesione fideistica, lo slancio estatico del credente. Secondo me è un bene per carità, ma è anche un segno dei tempi. Per fortuna , ripeto, per fortuna, la nostra cultura ha un approccio sempre più smagato verso questi aspetti delle religioni in generale che, in ogni caso, si rivelano come una delle più potenti forze per muovere le masse e purtroppo per fare loro fare quello che si desidera. E' un mezzo più semplice ed immediato per indirizzare le coscienze, senza dover fare troppa fatica o impegnare soverchi mezzi. Per ottenere i medesimi risultati con campagne pubblicitarie sarebbero necessari mezzi impensabili. Comunque il tutto è stato organizzato con giudizio; a un certo punto della coda comincia l'esposizione di immagini sacre concernenti il tema e infine per preparare le tranche di persone all'accesso finale viene presentato un filmato virtuale molto ben fatto. E' esattamente lo stesso criterio usato nei parchi Disney per far bene sopportare le lunghe code e funziona benissimo, perchè non si avverte fastidio o stanchezza tra la gente in attesa. Il climax finale è poi piuttosto deludente perchè l'immagine è ormai ben conosciuta in tutti i suoi aspetti, vista in foto perfette, a colori, in rilievo, sviscerata in negativo ai raggi X e al microscopio, per cui la visione nella leggera penombra è poco leggibile e il fremito lungo la schiena prende soltanto i veri fedeli. Non mi sono volutamente soffermarmato sul discorso riguardante l'autenticità o meno dell'oggetto, dato non che non ho né i titoli, né le conoscenze per addentrarmi in questo agone, cosa che tra l'altro non mi sembra il punto più interessante, anche perchè basterebbe volerlo, per rifare un esame al C14, visto che il primo è andato male (un po' come gli esami per l'EPO) e fare una controanalisi seria. Ma intanto non è questo il punto, per chi ha il dono della fede non servono prove e per chi deve fare business l'interessante è che ai tre milioni di presenti si riescano a spillare tra i dieci e i cento euro a testa e tutti sono contenti, pizzaioli, madonnari, venditori di rosari e tutti quanti hanno famiglia e devono pur campare su queste cose.


Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

Camminare sulle acque.
La bellezza e la storia.
Fedeli e preghiere.

martedì 27 aprile 2010

Pudore e imbarbarimento.

Sognare, dormire. Con il caldo tutto diventa un dormiveglia intorpidito che tracima nel sogno. Il sorriso di Rado, il mio traghettatore, quando gli ho dato la mancia dopo aver tirato sul prezzo, e' un piacere. Domani mi attende una lunga strada per un luogo selvaggio, solitario sicuramente, forse un posto ideale per unirsi alla natura, ma non troppo certo, come recita il libro sacro che consulto di continuo. Meglio non inoltrarsi troppo nel bosco, sia che si vogliano penetrare i segreti recessi del tempo per capire come mai la natura ha sempre la meglio sull'opera dell'uomo, bastano pochi decenni e anche la pietra piu' orgogliosa viene sopraffatta, sia che, piu' prosaicamente, si vogliano avvolgere di un pudore ancora presente anche se larvato, le debolezze di un corpo ormai in fase di disfacimento. Ne sono testimonianza inequivocabile le decine di orchestrine composte da gente senza gambe o braccia o ciechi, che raccolgono qualche soldo davanti ad ogni ingresso. Meglio stare attenti, inoltre pare che l'artiglio rovente di Volverine stia a poco a poco mollando la presa sul mio sigma dolente.

(Ancora in diretta; ah, la tecnica!)

venerdì 2 aprile 2010

Il Milione 7: L'olio di Gerusalemme.

Cap 10
… Li due frategli istettero a Vinegia due anni e quando videro che il papa non si facea, mossersi per tornare al Grande Kane e menarno con loro il figliolo Marco, ma prima voleano mantener la sua parola d'andare a Gerusalem per portare de l'olio de la lampada e il legato gliene diede loro, quindi si partirono da Acri e giunsero a Laias.

Certo due anni ad aspettare son tanti, specie per un mercante per cui il tempo è denaro, ma intanto Marco è cresciuto e quando decidono comunque di ripartire, i due fratelli se lo portano dietro, l'occasione che cambierà la sua vita. Chissà quanto insistere o forse a quel tempo diciassette anni erano sufficienti per affrontare il mondo sconosciuto. Ma per tornare in Catai devono cambiare strada per ottemperare alla promessa. Prendono quindi la cosiddetta via della seta del Sud, quella che parte dalla Terrasanta. Le crociate erano finite e Gerusalemme era in mano ai Mussulmani, ma era in effetti terra libera dove i pellegrini ed i mercanti si muovevano senza vincoli. La città era aperta alle diverse religioni certamente molto più di oggi. La strada classica del mercante era via mare, più rapida e sicura da Negroponte (Eubea) dove i Veneziani avevano una base, Laias (Alessandretta) quindi Acri, ultimo avamposto rimasto ai Templari cristiani in cui risiedeva il Legato del Papa, prima di arrivare alla città santa. Questa doveva essere non molto dissimile ad oggi, un brulicare di genti, un melting pot straordinario convivente in un equilibrio precario a cui la storia ha dato di volta in volta la supremazia sulle altre. La differenza sta solo nel fatto che alcune si sono comportate in modo più tollerante di altre. I nostri tre di certo hanno girato per la città con le stesse curiosità e sentimenti di chi oggi visita i luoghi santi, avranno lasciato una preghiera nella chiesa crociata di Santa Anna, hanno percorso la spianata delle moschee di certo come me, stupiti dallo splendore delle cupole dorate e dalla vista sul monte degli ulivi, hanno camminato per la città vecchia calpestando le strade strette del decumano romano e le stesse pietre antiche; hanno percorso la Via Dolorosa che è poi la strada principale del bazar affollata di negozi e di gente vociante, se pur inframmezzata qua e là dai luoghi della Passione, dove gli inni sacri si confondono con le musichedella danza del ventre. Quando cammini tra i muri antichi di questa città, senti un fervore ed un' ansia di vita non comune, che ti infonde una sensazione unica di essere in un posto speciale, segnato dal destino e condannato ad essere una città di pace senza pace, dove storia, religione, affari, potere, voglia di trascendenza e sfruttamento della credulità e della superstizione, trasformano ogni pietra in occasione, per taluno di avvicinamento al divino, per altri di business, per altri ancora di momento per fomentare tensione. Sempre a metà strada tra terra e cielo, in costante disequilibrio tra serenità e violenza. Un alternarsi continuo di pellegrini e di mercanti, di gente comune che vive e di altra gente comune in cerca di trascendenza, gli uni che vivono grazie agli altri, destino simile a tutti i luoghi del mistero religioso. E' il fato millenario di questa città folle, crogiuolo di santità e di violenza, sempre pronta ad accendersi per una piccola scintilla così come l'olio della Lampada Sacra a cui attinsero i Polo prima di riprendere la via. Ma appena ripartiti ecco che arriva la notizia che il nuovo Papa è stato eletto ed è proprio quel Legato che è ancora ad Agri, dove subito ritornano e che, entusiasta dell'idea di evangelizzare il Catai, manda con loro ben due frati pronti ed ansiosi di martirio nelle terre dei selvaggi (invece dei cento richiesti, non si può avere tutto dalla vita e la Chiesa è sempre stata nota per la sua proverbiale prudenza).
Cap. 12
Data la benedizione a tutti questi cinque partirsi d'Acri e vennero a Laias, ma li due frati ebbero paura d'andare più innanzi e diedero le carte e li privilegi a li frategli e no andaro più oltra ma tornaronsine a lo Signore del Tempio.
Eh sì, dopo pochi chilometri al di là della giurisdizione dei Templari, i due bravi monaci terrorizzati, scappano e se ne tornano ad Acri, mentre la nostra carovana risale verso nord per andare ad Oriente. Non dimenticate di dare un' occhiata domani da Acquaviva, la vivandiera della carovana che ha preparato per noi una delle golosità che a quel tempo si potevano gustare nelle Terresante e fate anche voi assieme a me e ai Polo, un giro per la città vecchia fino al Santo Sepolcro in questo video che ho fatto laggiù lo scorso anno.





Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/riassumendo-fenomenologia-della.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/venerdi-o-sabbath-quinta-giornata.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/le-mura-il-muro-i-muri-quarta-giornata.html

venerdì 12 marzo 2010

Le ruote del sole.

Era l'ultima tappa del nostro viaggio in Orissa ed ogni giorno era stato denso di sensazioni e immagini da mandare a memoria. Avevamo tenuto per ultimo il grande tempio di Konarak, una delle attrazioni architettoniche più famose dell'India. Ci arrivammo di mattina presto da Puri, percorrendo le piccole strade lungo gli argini delle risaie. Quando ci venne incontro, colpito di lato dai violenti raggi di luce che penetravano tra gli scampoli di azzurro lasciati liberi da una gonfia nuvolaglia quasi nera, ci aggredì con lo stesso impatto di grandezza che hanno in tutto il mondo altri monumenti simili, da Stonehenge a San Pietro, al Borobudur, alla Città Proibita, alle Piramidi di Tikal. Il tempio di pietra ocra dedicato a Surya, il Sole, è costruito con le sembianze di un immenso carro, identico per forma a quelli del Ratha Yatra ed è noto soprattutto per le stupefacenti 24 ruote di pietra, alte più di tre metri, finemente scolpite, che simulano quelle dei carri processionali. Tutte le pareti sono completamente ricoperte di spettacolari altorilievi di ogni dimensione che non lasciano spazi di riposo all'occhio, in una sorta di horror vacui estremo. Vi sono descritte in fregi che avvolgono l'intero tempio, processioni rituali di animali, di uomini, mostri, divinità, episodi dei libri sacri e in una serie di metope più grandi e dal tratto più raffinato, un'altra delle esplosioni della scultura erotica, già nota per i più famosi templi di Kajurao. Si rimane attoniti e non riesci a smettere di guardare ogni immagine, ogni gruppo di figure, ogni lunga teoria di elefanti che con elegante leggerezza sembrano scivolare attorno al grande carro immobile, ma che pare sul punto di mettersi in marcia da un momento all'altro. Una trina finissima istoriata nella pietra, tutto intorno ai corpi che languidamente sembrano lasciarsi andare al continuo rincorrersi delle sensazioni fisiche e mentali del Tantra. La bellezza delle ruote, su cui sono stati scolpiti anche i chiodi per poter procedere lungo la strada fangosa senza intoppi, lascia senza fiato tutti i visitatori, che procedono in silenzio, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare le sfumature del colore della pietra mentre la luce, condizionata dal monsone, varia continuamente. Ci rimanemmo parecchio, poi, rifocillatici con qualche banana rossa che Prakash ciaveva procurato in uno dei tanti banchetti di frutta che circondavano il sito, riprendemmo la strada per Bubaneswar, verso l'areoporto, silenziosi. Anche Prakash, solitamente chiacchierone, non parlava e il salutarci fu un momento di grande commozione. Ci ricordò che la breve sosta iniziale e la puja al tempietto di Ganesha, avevano sortito l'effetto desiderato, di avere un viaggio privo di problemi, ma soprattutto ricco di momenti da riportare dentro di sé, per migliorare noi stessi. Sereno, ma allo stesso tempo meditativo. Si era in un certo senso, affezionato a noi ed in particolare alla nostra ragazza, che sentiva di certo come una dei suoi e a cui strinse a lungo le mani, guardandola negli occhi prima di lasciarci. Aveva l'occhio umido, come noi del resto, e non sembrava neppure badare troppo alla busta che gli avevamo lasciato e che stropicciava distrattamente, salutandoci, per indovinare l'entità del contenuto.



Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/tradizione-e-globalizzazione.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/le-donne-tigre-dei-kutia-khondh.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/oggetto-misterioso-3-soluzione.html

giovedì 11 marzo 2010

Fedeli e preghiere.

Eravamo ormai a Puri la città santa, sede del grande tempio dedicato a Jagannath, il Signore dell'Universo. Questo Dio venerato diffusamente in Orissa, è piuttosto curioso e si ricollega ad una forma secondaria di Khrishna, già avatar di Vishnu, ma il suo aspetto esteriore è assolutamente lontano dai canoni classici della mitologia Hindu. Contrariamente a tutti i suoi colleghi, ricchi di braccia e mani e occhi che contorcono i loro corpi in tutta la barocca iconografia religiosa, il nostro Signore è sempre raffigurato con un tozzo tronco appuntito, senza braccia né gambe, dipinto di nero e altri colori vivaci con enormi occhi tondi che osservano i fedeli come un manga giapponese. E' accompagnato dal fratello Balarama anch'egli avatar di Vishnu, uguale a lui ma colorato in bianco e dalla sorellina Subhadra, rappresentata da una piccola statuetta dalle stesse sembianze ma con le braccia, posta tra i due fratelloni. La triade fissa i fedeli con occhi incantati dagli altari di molti templi orissani, ma è a Puri che la devozione collettiva si scatena, in particolare durante le grandi cerimonie del Ratha Yatra, in cui le tre statuette, poste su giganteschi carri alti oltre dieci metri vengono portati in processione lungo i tre kilometri della via sacra fino al tempio che sta al termine dela via. I tre carri riccamente addobbati vengono distrutti al termine della festa a cui partecipa oltre un milione di persone e ricostruiti l'anno successivo. Potete immaginare il bailamme proprio di tutte le città che campano di religione, percorse in lungo ed in largo da frotte di pellegrini che si affastellano attorno ai punti chiave della devozione. Cambiano le statue, le lingue, le preghiere, ma la ricerca del divino è molto simile in ogni parte del mondo e spesso però è fonte di nervosismo e irritazione, verso chi è fuori dal gruppo. Tra l'altro da queste parti sono abbastanza fumantini, i mussulmani li han fatti filare via quasi tutti, mentre ai cristiani che han sempre tenuto un profilo basso, di tanto in tanto bruciano qualche chiesa, se poi qualcuno non vuole uscire e rimane dentro vuol dire che ci teneva proprio. Verso gli Adivasi animisti, invece c'è abbastanza tolleranza, anzi, data la totale non considerazione verso gruppi ritenuti assolutamente inferiori, si può dire che non gliene può importare di meno. Dunque eravamo al centro della grande piazza da dove parte la processione, occupata quasi interamente dal più grande dei tre carri, quello di Jagannath, ma l'entrata al grande tempio non è concessa agli impuri non credenti, ragion per cui, accedemmo, pagando il giusto, al tetto della vicina biblioteca da cui si ha una buona visione di insieme dell' interno del tempio stesso. Una fiumana di gente, girando attorno ai carri che stavano per essere smontati, si accalcava all'ingresso premendo per entrare, ognuno con in mano le proprie puje, frutti o fiori o altre piccole offerte, altri gruppi si attardavano per poter entrare tutti assieme e non disperdersi; canti e salmodie si levavano dalla folla e dall'interno del tempio assieme a fumi di incenso che i sacerdoti producevano preparando le varie cerimonie. Dal tetto la visuale era interessante, ma nostra figlia sembrava molto interessata a capire da vicino e per così dire, toccare con mano. Prakhash, si guardo intorno, poi la prese per mano e le disse: Fingi di essere mia figlia e non parlare mai.- Scesero le scale e si avvicinarono al portale di ingresso dove due robusti bramini seminudi sorvegliavano vigili e con due pesanti bastoni in mano, che nessuno si intrufolasse senza diritti. Vi assicuro che seguimmo l'ingresso nel tempio con occhio un po' preoccupato, ma subito la folla che premeva li nascose alla nostra vista. Riemersero dopo una mezz'oretta, Prakhash più sereno, la ragazza un po' frastornata. Avevano girato i meandri oscuri degli interni, dove pressati dalla gente, mille mani approfittavano per "aiutarla" a procedere o a salire le strette scalette. Un bagno di umanità abbastanza intenso comunque. Ci mescolammo ai mille sari colorati che percorrevano la via sacra ed andammo verso il mare, poco lontano, dove le onde forti si frangevano con un rumore sordo sulla battigia. Un pesante odore di incenso e di ghi bruciato pervadeva le strade.





Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/tradizione-e-globalizzazione.html
http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/oggetto-misterioso-4-zucche-verdi.html
http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/oggetto-misterioso-3-soluzione.html

lunedì 22 febbraio 2010

Rosso tandoori.

Sto cercando una scusa per parlare un po' più a fondo dell'Orissa. Sapete già che mi piace vedere come è fatto il mondo, magari per cercare pretenziosamente di capirlo. Ma più che la bellezza dei luoghi e delle opere dell'uomo, che pure spesso mi lasciano senza fiato, sono attratto dalla gente, soprattutto quella meno omologata alla mia cultura, che cannibalizzando con la sua forza di attrazione tutte le altre, lascia sempre spazi minori alle diversità e alle loro ricchezze (in positivo, ma anche in negativo naturalmente, sono attratto da tutto meno che dal mito del buon selvaggio). Uno dei luoghi (assieme all' Indonesia) più ricchi di questi aspetti è l'India e lo stato dell'Orissa in particolare, con oltre una cinquantina di tribù di Adivasi, ossia popolazioni preesistenti all'invasione ariana che da nord, è penetrata in India qualche migliaio di anni fa sostituendo quasi totalmente le popolazioni locali. Le più isolate hanno resistito, conservando quasi al completo usi, religioni, aspetto e lingue. Così qualche anno fa, la mia famigliola, composta di curiosi di conoscenza allo stesso grado, anche la bambina è stata ormai contaminata, credo, si è ritagliata un giro da quelle parti che consiglierei assolutamente a chi ha i nostri stessi pruriti. La base di partenza è Bubaneswar, la capitale dello stato. Si capisce subito di essere lontani dall'India rampante del BRIC e dei softwaristi. Ci si cala in una città abbastanza tranquilla e meno caotica delle grandi metropoli, direi più campagnola. I turisti in giro sono pochissimi e ci si può aggirare nei molti templi della città quasi deserti, apprezzando la antica severità della pietra, le costruzioni qui più semplici e meno barocche di quelle dei secoli successivi e proprio per questo più intense, con la selva di stupa rossicci per la pietra locale, levati verso il cielo come ogive di missili in attesa del lancio. Le piccole figure scolpite sui pilastri a scandire, cadenzate, gli spazi, danzatrici nelle pose più classiche, animali o gruppi, sono più rade e meno ammiccanti che in altri luoghi, ma sempre eleganti e mai rozze. Grava una sensazione di composta bellezza. In uno dei più belli ed antichi, il tempio Hudaighiri, un bramino a torso nudo attraversato solo dal filo di cotone che scendeva dalla spalla sinistra, che gli era stato apposto alla nascita, ci seguì con uno sguardo stanco dopo aver ricevuto l'offerta per la puja di rito. Camminammo a lungo sul selciato di pietra antica per aspettare che il sole, continuamente coperto dalle nuvole gonfie del monsone agostano, calasse dietro le cuspidi il cui rosa diventava più intenso, fino a diventare rosso vivo, rosso come il magro pollo tandoori che ci aspettava a cena, unici stranieri, circondati, pur in un tre stelle piuttosto modesto, da sette camerieri che si intralciavano l'un l'altro nel tentativo di guadagnarsi la mancia. Il giorno dopo sarebbe cominciato un lungo giro in una jungla fitta e popolata di piccoli villaggi.

Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:

http://ilventodellest.blogspot.com/2009/03/tradizione-e-globalizzazione.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/oggetto-misterioso-4-zucche-verdi.html

http://ilventodellest.blogspot.com/2010/02/oggetto-misterioso-3-soluzione.html

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!