martedì 25 gennaio 2011

Il ronin e lo zen della morte.


L'inverno era cominciato da poco, ma già tutta la prefettura di Edo era coperta di neve. Nei giardini deserti i rami dei ciliegi trattenevano qua e là piccoli ciuffi di fiocchi bianchi come se la primavera fosse già arrivata ed i fiori delicati tremolassero alla brezza nel timore che il gelo li uccidesse. Itto Katamatsu aveva appena finito il suo lungo allenamento quotidiano. Depose la katana sul suo sostegno di legno nero con un leggero inchino, poi rimase ancora un poco a pensare nella stanza nuda. Il tarlo ricorrente gli disturbava il pensiero impedendogli una serena meditazione. Aveva dedicato la sua vita alla via della spada ed era di certo abile nell'arte dello iai, attraverso la quale sapeva estrarre la lama in maniera fulminea per colpire il suo avversario ancor prima che cominciasse l'attacco ed altrettanto nel ken-jitsu dove la sua abilità nello schivare fendenti era nota e la velocità dei suoi attacchi temuta da chi aveva avuto occasione di subirli.


Adesso che il periodo delle guerre era passato e le grandi battaglie dove aveva difeso l'onore del suo Daimyo erano un lontano ricordo, era rimasto un ronin, un samurai senza padrone che viveva in una povertà dignitosa, solo con i suo ricordi. Rimaneva sempre però il suo tormento rispetto alla via della spada. Certamente era abile, ma poteva definirsi un maestro? Da anni questo dubbio lo divorava e nessun allenamento condotto fino all'esaurimento, nessuna conferma del fatto di non essere mai stato ferito nei molti duelli sostenuti, gli potevano dare la ricercata certezza. La mattina all'alba, si alzò con decisione e vestita l'hakama pesante ed i suoi vestiti migliori anche se ormai resi logori dal tempo, e si incamminò lungo il sentiero verso la montagna dopo aver infilato nell'obi prima il wakizashi e quindi la katana. Era una lama stupenda quella che un grande maestro di forgia aveva creato in giorni e giorni per suo nonno, il primo samurai tra i Katamatsu. Conteneva l'anima della famiglia e non poteva fare a meno di sentire un brivido leggero, quando, nell'allenamento la estraeva dal fodero laccato nero e ne accarezzava con un piccolo movimento del pollice la tsuba sbalzata nelle forme di un drago dalla coda intrecciata, quando la lama fendeva gelida l'aria nei suburi veloci o quando provava a lungo le sequenze di yokomen.


Ma questa era davvero la maestria? I geta di legno sotto i suoi piedi ben protetti da pesanti calze di lana grezza, crocchiavano nel sottile manto di neve e i mulinelli di fiocchi gli sfioravano il viso con dolcezza quando giunse al di là di un'altura, alla capanna del Grande Maestro. Anche se sapeva che il vecchio non riceveva più nessuno da anni, era deciso a farsi ricevere, lui solo poteva giudicarlo. Aveva reciso con un colpo netto i crisantemi del vaso di fronte al cortile, un colpo di spada perfetto, senza sbavature, difficilissimo e li diede all'inserviente che stava sulla porta. L'anziano maestro avrebbe di certo capito. Poco dopo la porta scorrevole si aprì e la serva lo fece entrare. Tolse le spade dall'obi e le passò alla mano destra in segno di rispetto. Il vecchio era di spalle seduto in seiza e stava preparando il thé. Gli fece cenno di sedersi mentre versava lentamente il liquido bollente nelle piccole tazze davanti a lui. Itto aggiustò l'hakama con un colpo secco e si sedette a gambe incrociate con un leggero inchino. Bevettero il thè, poi il maestro alzò gli occhi su Itto e disse: -Ho visto il taglio, magnifico colpo, cosa vuoi da me?- - O'Sensei, tu sei il più grande e voglio diventare tuo allievo fino a quando io possa essere chiamato maestro. -


- Mostrami come maneggi la spada.- Così dicendo si alzò mostrando una agilità insospettabile e prese due bokken, porgendone uno a Itto, che lo afferrò al volo. Cominciò a mulinare fendenti che il vecchio parava o evitava. Andarono avanti per parecchi minuti. Poi il maestro lo fermò con un cenno e gli indicò i cuscini di seta. Si sedettero. -Non capisco - disse il vecchio - tu dici di non essere maestro eppure vedo nei tuoi movimenti e sento in te i segni della maestria. Raccontami dunque cosa c'è in te che ti rende così?- - Non lo so, Sensei, l'unica cosa che posso dire e che forse mi ha guidato in battaglia, è che non ho mai avuto paura della morte, così combattevo certo che quel giorno anche se fosse stato per me l'ultimo, era un giorno come gli altri. - Il maestro rimase un attimo a meditare, poi versò ancora due tazze di thé, ne ruotò una di 180 gradi e la porse a Itto, quindi alzò la sua bevendo lentamente. - Non posso insegnarti più niente allora, questo da solo, fa di te un Maestro.- Posò la tazza blu con piccole macchie bianche traslucide sul basso tavolinetto di bambù con un lieve cenno della testa. La bocca si piegò in un leggero sorriso. I fiocchi di neve avevano ormai smesso di scendere. Nel giardino di rocce, la grande pietra centrale era tutta bianca, come avvolta in un prezioso kimono candido e senza ricami.




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2 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Una storia affascinante. Va da se che un certo film mi aveva un briciolo preparato ad assaporarla al meglio. Anzi, fose più di un film, non solo "Ronin".

Enrico Bo ha detto...

@Adri - E' tutto un mondo che ha un suo fascino.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!