sabato 4 gennaio 2020

Recensione: L. Medici - Tolo tolo


Eccoci dunque al tanto atteso e prevedibile campione di incassi dell'anno. Il quinto titolo di Checco Zalone si è infatti imposto con un potente exploit al botteghino già al secondo giorno di programmazione. Bisogna dire che il nostro Checco è un furbo di tre cotte, oltre che un ottimo ed intelligente comico e lo si capisce bene da tutto il battage, la presentazione, lo stesso trailer suscita polemiche che ha preceduto l'uscita del film, tutto ben orchestrato per garantire l'attenzione di ogni ambiente e quindi l'afflusso nelle sale. E' vera gloria? Io vi dico la mia, comunque inficiata dal fatto che Checco mi piace e mi attizza la sua comicità basata soprattutto sull'uso intelligente dei luoghi comuni e sulla banalità becera del cosiddetto "uomo qualunque", filone per la verità seguito da tutti i nostri grandi comici del passato. E anche a questi si ispira questa volta ancora più chiaramente, con richiami prepotenti a quel Riusciranno i nostri eroi..., ma diciamolo subito, scontrarsi con Sordi e Manfredi, in quel caso davvero molto ispirati, su temi simili anche se lontani nel tempo, è operazione velleitaria e qui è chiaro subito che si vola più basso. 

Il racconto è semplice. Un imprenditore pugliese plurifallito ed inseguito dai debiti e dalle mogli inferocite in cerca di alimenti, scappa in Africa a fare il cameriere in un resort di lusso, dove finalmente fisco e assenza di regole ti "lasciano libero di sognare". Par di sentire i nostri che maledicono scontrini elettronici e bancomat pur di non pagare le tasse. Ma anche lì le cose vanno male, arriva l'Isis e bisogna fuggire cercando di rientrare in Europa, non in Italia ma in paesi dove il fisco sia più clemente da clandestino sul barcone, con una serie di improbabili compagni di viaggio. 

Per la prima volta il nostro si cimenta oltre che come attore e sceneggiatore anche come regista e forse da qui nasce la bulimia di cose, battute e situazioni, che vengono infilate dappertutto quasi a viva forza, rendendo il racconto un po' confusionario e disomogeneo. Picchia a destra ed a sinistra, dai rigurgiti mussoliniani alle cadute buoniste, condite con i suoi soliti atteggiamenti calati sui luoghi comuni più beceri e consunti e questi sono gli spunti migliori. Ci ficca dentro di tutto, dai paesaggi esotici ai momenti da cinepanettone (forse c'è la mano di Virzì?), addirittura ai balletti in stile Bolliwood. C'è la sensazione che si sia voluto esagerare ficcandoci troppa roba e  creando un risultato in cui, in fondo il prodotto è venuto via piuttosto slegato e spesso non si capisce dove si voglia andare a parare. Insomma direi assolutamente meno bene dei precedenti (i primi soprattutto), anche se comunque lui è bravo e qualche risata si fa. 




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