domenica 26 luglio 2020

Luoghi del cuore 39: Tra i grattacieli di New York


Primavera al Central Park - New York - USA - maggio 1990

Rollerblades
Come si fa a non amare New York? O quantomeno a non rimanere a occhi spalancati per le sue strade diritte piene di umanità varia, che inevitabilmente ti fa sentire al centro del mondo. E ci sono stati anni, verso la fine del secolo scorso, dove davvero qui nasceva tutto, le idee, l'arte, il modo di vivere che poi con calma si allargava a macchia d'olio e diventava proprio del resto del pianeta. Ci andai nel '90 e la trovai come me l'aspettavo, ripiena del germe della globalizzazione totale che si sarebbe impadronita del pianeta, un'aria straordinariamente eccitante e densa di promesse. Ahimé spesso nelle cose si vede solamente la parte migliore e si tende a sottovalutare o a non vedere del tutto le inevitabili problematiche, che ci sono sempre. Solo che il buon senso prevederebbe di massimizzare i vantaggi e minimizzare i contro e non è facile, alla fine si tende sempre a vedere solamente una delle due parti della barricata, quella dove uno è rimasto, con la testa per lo meno. Ma allora me la godetti davvero. Era un maggio spettacolare e il sole caldo colorava il Central Park di verde e di magliette che a centinaia punteggiavano i prati, i palestrati che correvano sui rollerblades, i giardini, le aree meno battute; sullo sfondo la linea frastagliata dei grattacieli che formavano lo skyline della città. Pranzammo in uno di quei ristoranti nel parco visto in tanti film dove ebbi il mio primo contatto con l'insalata Ceasar. Manhattan l'ho sentita come un cuore pulsante che batteva forte, con il traffico che scorreva potente nelle sue arterie principali. 

Il Panamerican
Times Square, il centro di questa folla in perenne movimento che sembrava non fermarsi mai qualunque ora fosse e ti faceva sentire sempre e comunque in ritardo, come se il tempo mancasse e dovessi comunque rinunciare a qualcosa. Appuntamento serale con la mia prima T-bone steack, un momento mistico che mi rese definitivamente vegano di secondo grado, nel senso che tutte le vacche in fondo mangiano solamente erba e in quella famosa steackhouse, capii che ormoni o non ormoni, la carne davvero buona la devi mangiare in quel modo e non in altro e che la fettina nostrana, in fondo non è vera carne. Certo ci stavamo solo tre giorni e le cose da fare e da vedere erano troppe. Dovetti così fare la dolorosa scelta se rinunciare al Moma o al Metropolitan. Optai per la visita del secondo, ma anche lì tutto di corsa, senza potersi fermare troppo alle mille cose interessanti che ci sarebbero state da gustare con calma. E ancora di corsa tra Chinatown, Little Italy e Tribeca o col naso in su davanti al Rockefeller centre e ai palazzoni dell'ONU.  C'era poi l'Empire con la sua carica storica, ma anche le torri gemelle, che la storia l'avrebbero vissuta dopo e il grattacielo della Panam, dove Federconsorzi aveva un intero piano. Sic transit gloria mundi. Mancava pochissimo al tracollo impensabile per una compagnia di quella potenza, distrutta poco dopo dalla bramosia famelica dei politici, per i quali era soltanto uno degli spuntini che via via venivano loro forniti, vassoio di arrosticini da succhiare per poi sputare via gli ossi inutili. Chi ci ha lavorato con passione per tanti anni, invece, carne da macello da buttare via allo stesso modo, mentre le iene politiche via a cercare altro sangue da succhiare, altre realtà da rovinare. 

All'ONU
Ma questa è stata un'altra vita, che ormai non macina più. Gli amici di allora, compagni di quel viaggio, ormai invecchiati, qualcuno anche morto di Covid, tanto per cambiare. Passeggiammo per le lunghissime avenue, numeri solamente, che non danno diritto ad un nome specifico, residuo di un passato inutile anche se recente, carezzammo il toro, rimanendo lontani dall'orso, in quella Wall street, dove qualche anno dopo sarebbero scesi gli impiegati col cartone pieno delle poche cose della loro scrivania. Invece proprio qui, sotto il ponte di Brooklin, altro must del mio immaginario, salii per la prima e di certo ultima volta della mia vita, su un elicottero. Era un piccolo guscio da 4 posti, che faceva il giro della città, dando una inconsueta ed affascinante vista dall'alto. Il pilota aveva fatto il Vietnam, come ci tenne subito a precisare e quando cominciò a ondeggiare tra i grattacieli, desiderando evidentemente offrire ai suoi passeggeri una emozione in più, lo stomaco mi salì subito in bocca, rendendomi comunque quella esperienza indimenticabile. Passando davanti al Chrysler decisi definitivamente che quella sarebbe stata l'unica esperienza di quel genere anche per il futuro e quando passammo con un ampio cerchio davanti alla statua della Libertà, mi chiesi ancora, perché non avevo optato per il giro in battello che portava fino all'isola. Sono scelte che sei costretto a fare e poi magari rimpiangi per il resto della vita, perché poi a New York non ci sono mai più tornato. Così l'aereo rollò sulla pista verso Chicago dove invece tornai spesso, complice il mio nuovo lavoro.

In elicottero




2 commenti:

Juhan ha detto...

A me viene in mente (ogni tanto) questa: https://youtu.be/006oU1HF1O8

Enrico Bo ha detto...

Bella, ci stava a pennello sullo sfondo del mio pezzo

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