venerdì 10 luglio 2020

Luoghi del cuore 27: L'allegro cimitero di Sapinta


L'allegro cimitero di Sapinta - Romania - agosto 1985

Chiesa in legno
Sono montagne poco conosciute i Maramures, eppure così piacevoli e verdi in estate. Le estreme propaggini dei rilievi balcanici prima che la terra si rilassi nel delta danubiano. Il mio camper grigio arrancava per le strade che salivano verso l'alto con delicata costanza. Se ci fermavamo a riposare un attimo su una piazzola tra i campi di barbabietole, nei tratti in piano, subito, gruppi di donne che sarchiavano tra i solchi, mollavano di colpo le zappe e correvano verso di noi chiedendoci se avevamo qualcosa da vendere, scarpe, pantaloni, qualunque indumento. Una terra poco popolata che ti metteva dio fronte a problemi etici, solo a vedere gli occhi di quanti stavano giorni in code chilometriche al distributore di benzina di ogni paese e che ti squadravano con una certa aria, quando tu, superavi la coda e andavi alla colonnina dedicata coi couponi pagati in dollari alla frontiera. Una terra fatta di piccoli paesi segreti, chissà se oggi spopolati dall'emigrazione, che nascondono piccole perle contadine, villaggi antichi, chiesette in legno con antiche pitture. Gente che all'epoca di Ceaucescu pareva serena, figuriamoci. Avevamo pranzato a casa di una famiglia mista, lui camionista italiano, lei rumena, a cui avevamo chiesto una informazione sulla strada da percorrere. Allora eravamo noi italiani a fare i camionisti laggiù e Roberto, a furia di venire da queste parti aveva incontrato Tatiana, se l'era portata in Italia e ci aveva fatto quattro figli. Non ci avevano lasciato andare via; volevano farci assaggiare la mamaliga con torcitura, una sorta di polenta e formaggio di montagna appena preparata. 

Una tomba
Il vino lo avevamo noi e loro, che avevano portato i bambini in vacanza dai nonni, pensavano di essere scortesi a non offrirci ospitalità. "Quando arriva uno straniero, bisogna accoglierlo bene, se no che gente saremmo." ci disse la signora, come per sottolineare una cosa scontata. I bambini ci chiedevano come facevamo a fare i turisti se non sapevamo il rumeno, ma fu facile spiegare loro che con chi ha la buona volontà di capirsi, ci si intende anche se è muto. Erano un po' tristi, perché da poco era morto lo zio, mentre, di notte cercava di abbattere un albero nel bosco per avere legna per l'inverno, cosa proibita dal regime e c'era rimasto sotto. Quando li lasciammo, uscirono tutti sulla strada per augurarci buon viaggio. Ci avevano segnato la strada per arrivare a Sapinta, un piccolo paese, dove di fianco alla chiesa, come in tanti altri luoghi c'è un cimitero. Ma questo è diverso dagli altri. Il becchino del paese ha lavorato qui per oltre cinquanta anni ed aveva un hobby. Non solo si occupava della sepoltura, ma in un piccolo laboratorio, con il legno dei boschi vicini, preparava per ognuno una croce di legno con una larga superficie all'incrocio che poi dipingeva con colori vivacissimi, su cui, oltre ai dati del defunto, intagliava delle figurine che rappresentavano la causa della morte e una poesia che raccontava qualcosa del defunto, dai suoi meriti ai suoi difetti, incluse anche le maldicenze del paese. Un epigramma mordace, accettato da tutti con affetto; una Spoon River balcanica triste e delicata a tratti, altre volte irrisoria e tagliente. Entrare nel piccolo cimitero dava però un senso di allegria languida. Girare tra le piccole tombe nella terra, non dà senso di tristezza. Deve essere lieve riposare lì, tra quei monti solitari, tra gente gentile che ti sorride quando la saluti.

Maramures



una casa
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Donna dei Maramures









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