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sabato 14 luglio 2012

Sui.

In Cina, in una tomba di circa 1000 anni fa (periodo degli Zhou occidentali) sono stati trovati scheletri di schiavi sacrificati per accompagnare il loro padrone nell'al di là. Si tratta di ragazzi tra i 7 e i 15 anni incatenati ai piedi e al collo. Il concetto che il lavoro dipendente sia in ogni caso una schiavitù con diritto di vita o di morte è un concetto ben radicato ed accettato, anche da chi lo subisce, nella mentalità cinese, come vediamo da tanti fatti di cronaca che emergono di tanto in tanto. Tutto questo è già ben ritrovabile nella lingua. Ecco allora l'ideogramma di oggi : Sui - trascinarsi, che come vedete dalla sua evoluzione millenaria  qui sotto, raffigura un uomo incatenato che si trascina faticosamente, con i piedi in grado di fare solo piccoli movimenti. E' un radicale molto presente nella lingua cinese ed è la prova grafica di questa realtà. Il radicale forma molti composti mantenendo questo senso di fondo. Ecco 致 zhì,  che significa dedicarsi. Ma il più chiaro ed evocativo di tutti è il moderno bisillabo che unisce a zhì  il segno che indica Forza, per dare il vocabolo 致力 -  zhì lì, che vuol dire :Lavorare per qualcuno (essere un dipendente), in altre parole offrire (volontariamente) il proprio lavoro, la propria forza come schiavo. 

Questo concetto del darsi in schiavitù volontaria, che rimane ben chiaro ai cinesi, è mascherato sotto varie forme nella cultura occidentale, che, con concetti dettati principalmente dai datori di lavoro e dal potere costituito, parla genericamente di dignità e nobiltà del lavoro, chiacchiere palesi per mantenere la tranquillità sociale. In realtà il rapporto tra padrone e schiavo è sempre concettualmente uguale. Chi si offre cerca di fare il meno possibile pretendendo il più possibile, chi ti prende pretende tutto quello che può spremerti in cambio del meno possibile, meglio ancora di nulla e se può ti prende anche quel poco che hai. In questa lotta oscillante stanno tutti gli stadi intermedi della nostra società e non c'è vergogna, né sommovimento etico se uno ruba o fa altro invece di lavorare o se dall'altra parte ti sfruttano senza pietà senza garanzie e pagandoti il meno possibile, usando la scusa di false necessità temporanee o con finti stages o partite Iva fasulle. E' un concetto ontologicamente incluso nella categoria del lavoro dipendente. Bisogna farsene una ragione e basta.



Refoli spiranti da: E. Fazzioli - Caratteri cinesi - Ed. Mondadori



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giovedì 19 agosto 2010

Lì.

Se fossi un ragazzo giovane e dovessi entrare oggi nel mondo del lavoro, sarei molto preoccupato e incazzato anche; da un lato ti dicono che sei un bamboccione che non hai voglia di fare nulla, dall’altro ti offrono lavori in nero a 6/800 euro e te ne chiedono altrettanti per affittare una stanza; poi sul giornale leggi che dei poveri datori di lavoro non riescono a trovare decine di cuochi e devono chiudere i loro locali, mentre il giorno dopo un cuoco risponde che da 18 anni riesce a lavorare solo in nero per poco più di un migliaio di euro con 13 ore di lavoro e appena chiede di essere messo in regola, rauss!

I cinesi hanno sempre avuto ben chiaro che i rapporti di lavoro sono rapporti di forza, in cui chi comanda ha su di te ogni diritto e tu nessuno. Come sempre lo si vede bene nella lingua. Oggi esaminiamo l’interessante carattere Lì-隶. E’ costituito dall’ideogramma di mano (in alto) che afferra la coda di un animale visto dall’alto (sotto) e di cui si notano le quattro zampe che tentano inutilmente di resistere allargandosi al massimo nelle quattro direzioni. Il significato originario era ovviamente quello di afferrare, ma subito ne ha assunto un altro: “subordinato, lavoratore dipendente”. Unito a Nú (servo) – , si ottiene schiavo.

Sempre più chiaro ed evidente. Certo un tempo i sacerdoti portavano le vittime al sacrificio tirandole per la coda. Oggi ad essere tirato per la coda e condotto al macello è chi è più debole ed in stato di necessità. Se non sei così debole, i nostri bravi cinesi dicono che: “ Hai una coda troppo grossa per scodinzolare”, se invece sei in stato di necessità, sei uno che “muove la testa e dimena la coda”. E’ il mercato amico mio, devi rassegnarti, è la legge della domanda e dell’offerta. Il problema è che mi sembra siamo tornati ad un periodo di capitalismo selvaggio in cui tutto è permesso. Il guaio è che queste situazioni hanno la tendenza a finire tutte malamente e se poi la gente si incazza davvero di aprire il giornale e leggere solo delle cucine a Montecarlo o delle puttane a palazzo, sono grane grosse, perché quando monta la rabbia, non si intendono più ragioni, si strappa la coda e si spacca tutto.


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mercoledì 27 gennaio 2010

Un problema di memoria.

Dire memoria è una bella parola, ma bisognerebbe avercela la memoria di quelle cose e io non ce l'ho, non perchè Alzy abbia cominciato sulle mie cellule neurali la sua perfida opera di devastazione, ma perchè, nell'aprile del 46, quando sono nato, lui era già morto da tre mesi. Proprio per questo motivo, io sono stato chiamato Enrico come lui. Non l'ho neppure conosciuto, neanche in quel periodo della vita in cui la memoria ancora non si forma e tutto vola via soffocato dai bisogni primari, forse permanendo in qualche raro ed inconsapevole flash. Così dello zio Enrico, mi rimangono solo le poche cose che mi ha raccontato mia madre e una piccola fotografia formato tessera col cappello da alpino. Nella confusione del '43 fu preso con gli altri ragazzi, militari come lui, forse inconsapevoli di quanto stava succedendo, caricato su un treno merci e portato in Germania a lavorare in una delle fabbriche degli schiavi, credo come quella descritta da Primo Levi, a consumare in due anni la sua giovinezza e la sua vita. Il treno rimase fermo per ore nella stazione di Alessandria, ma mio padre, che era ferroviere, non lo sapeva che il cognato era su quel treno e per tutta la vita si rimproverò di non aver potuto fare qualcosa per cercare di farlo saltare giù da quel treno. Non so neppure dove fosse quel campo e cosa successe realmente. Quando fu liberato e riuscì a tornarsene a casa, qualche tempo dopo la fine della guerra, i suoi polmoni erano irrimediabilmente minati ed in due mesi se ne andò, senza riuscire a raccontare l'orrore che aveva dovuto subire sulla sua carne di ragazzo di venti anni, che non potè conoscere altro della vita. La mia mamma non mi raccontò molto di quella vicenda che segnò duramente i suoi genitori. Era così allora, la mia era una famiglia di gente semplice tesa a migliorare il futuro per me e poco interessata a rimestare il passato, anzi credo che cercasse di dimenticarlo, cercando di farlo scendere in un limbo incerto che lo rendesse meno sgradevole, una sorta di pudore di esibirlo, una voglia di edulcorarlo comunque, quel passato. Anche di politica si parlava pochissimo in casa, era evidentemente un argomento di cui le persone per bene, era meglio non si occupassero; una sorta di incubo di un passato in cui se facevi finta di niente stavi tranquillo, un timore che di nuovo arrivasse qualcuno a chiederti conto di qualche dichiarazione avventata fatta in un momento di distrazione. Anche a scuola le informazioni si fermavano al 15-18. Allora la storia moderna l'ho appresa a spizzichi e bocconi, qua e là, dalle letture, al cinema, dalle chiacchiere con gli amici, perchè allora non si parlava solo di calcio anche tra ragazzi, così si formavano le idee. Ma una visione più chiara dei fatti la ebbi solo a ventun anni in Polonia, a Oschwiencim davanti alla scritta Arbeit mach frei. Le cose apparvero subito più evidenti e la storia di mio zio meglio definita. Però in queste condizioni, non è semplice per me parlare di giornata della memoria. E' più una sensazione nascosta che sta lì senza apparire, senza voler mostrarsi più di tanto, che ti fa trasalire però, quando senti parlare certe persone, quando vedi girare di nuovo camicie e fazzolettini, anche se il colore non è lo stesso, però devono essere le stesse le teste, le facce, gli sguardi sprezzanti ed irrisori di quelli che, le questioni sanno come risolverle, le soluzioni finali sanno bene come trovarle e te lo promettono dietro un sorrisetto irridente di chi sente che il suo potere sta aumentando, con il consenso certamente, di chi la memoria non ce l'ha mai avuta. Povero zio Enrico, chissà cosa ne avresti pensato oggi se fossi ancora vivo, ma, tranquillo, io, per tutta la vita, anche senza una ragione specifica, non ne ho comprate mai di macchine tedesche.

venerdì 24 luglio 2009

Cronache di Surakhis 17: vacanze estive.

Era tempo di vacanza anche per la breve estate di Surakhis; chi poteva lasciava le caldissime città della pianura e del deserto, dove la temperatura e l’acidità dell’aria corrodevano i metalli e fondevano tutte le materie plastiche non resistenti e si rifugiava in quota. La crisi mordeva ancora forte, ma l’Imperatore aveva ormai convinto tutti che il peggio era passato, dato che tutte le attività finanziarie avevano ripreso a gonfie vele a macinare utili scommettendo sull’aumento dei non occupati, che continuavano a crescere a dismisura. La sua popolarità era alle stelle e il tentativo dei Morigeratores di incastrarlo evidenziando i suoi vizietti era naufragato miseramente e si era ritirato nel suo castello tra le nuvole circondato da uno stuolo di ancelle nude adoranti, tra il tripudio della folla che avrebbe voluto essere al suo posto. Anzi al concorso: Un giorno tra le ancelle dell’Imperatore, riservato a chi dimostrava di aver votato per lui la partecipazione era stata quasi universale. Soli piccoli gruppi di criptopenici di Antares e gli asessuati di Rigel che si moltiplicavano per gemmazione non avevano palesato interesse al concorso e si pensava a strategie diverse per conquistare il loro voto, ma mancava ancora un anno alle nuove elezioni. Paularius, stanco e convalescente, aveva risolto il problema degli schiavi della sua miniera lasciando esondare casualmente il Pentacon, un torrente di acqua cloridrica che scendeva vorticoso. Le acque avevano invaso le gallerie della miniera e quei mangiasbobba a tradimento erano tutti annegati. L’assicurazione aveva coperto i costi con l’agenzia di affitto degli schiavi ed aveva pagato i suoi di proprietà, permettendogli anche di riscuotere i contributi della nuova legge di aiuti alle imprese in difficoltà. Salutati quindi gli amici delle Ronde, era subito partito per la sua villetta circondata dal verde delle Colline Profumate. La malignità popolare aveva attribuito questo nome alle montagne che circondavano la capitale, da quando i problemi della centrale a merda costruita tra le montagne si erano palesati in maniera esplicita, costringendo tutti i residenti ad espatriare, ma Paularius si era ormai abituato alla puzza e la solitudine gli faceva piacere. Lettura, meditazione e pochi svaghi. Si era fatto portare nel parco cintato i pochi Hort che erano scampati nella miniera; per forza, quelli l’acido cloridrico lo bevono a colazione, altro ci vuole per annegarli. Ogni tanto usciva a piedi con la balestra laser e ne abbatteva uno che poi le serve gli facevano allo spiedo, ma quei birbanti si nascondevano sempre meglio e l’ultimo aveva dovuto stanarlo con qualche scossetta al guinzaglio che gli aveva lasciato per sicurezza. Che pace! Da quando la disoccupazione aveva superato il 90%, segnale che la crisi in fondo colpiva chi se lo era meritato, c’erano molte meno rivendicazioni; la gente si vendeva gli organi per tirare avanti o impegnava quelli dei figli e dei nipoti e non c’erano più grossi problemi per rigenerarsi. Spense il multischermo e suonò il campanello; arrivarono subito le sue ancelle preferite, due multilinguate di M51 che sapevano le sue debolezze. D’altronde non era mica un santo e con tutto quello che faceva per il benessere di Surakhis, un po’ di divertimento se lo meritava.

venerdì 24 ottobre 2008

Conflitto morale

Il pianeta Surakhis era stato colonizzato da meno di 200 anni. Era un pianeta poco ospitale, roccioso e desertico con pochissima vegetazione. La vita animale era ridotta a pochi organismi inferiori ed i primi coloni vi si erano stabiliti solo quando era stato trovato il modo di trasferire economicamente, attraverso le porte temporali, le grandi quantità di minerali rari che erano stati scoperti nelle profonde miniere di quel piccolo mondo periferico. Paularius ci era arrivato giovane e per caso; si era subito appassionato alla ricerca mineraria e da quando aveva trovato una vena di pietra di Baum, forse la gemma più ricercata dell'universo, ne aveva fatto il suo scopo di vita e anche adesso, dopo molti decenni di esistenza solitaria, sebbene ricco, conduceva una vita ritirata e tranquillla, interessato solo al buon andamento della sua miniera. Era appena tornato dal mercato degli schiavi, sulla terza luna di Surakhis, dove aveva comprato un centinaio di tetrapodi ciechi di Betelgeuse che erano efficientissimi nelle gallerie profonde, senza problemi clastrofobici e oltretutto mangiavano pochissimo, ma non aveva trovato chelibranchi dalle appendici chitinose resistenti alle alte temperature per sostituire quelli morti in settimana a causa della rottura di un crogiolo. Di umani ne teneva pochissimi, troppo lamentosi e sindacalizzati. Proprio per questo aveva ricevuto con grande fastidio il gruppo di Morigeratores multirazziali che avevano chiesto udienza per fargli le pulci sullo stato di sicurezza della sua miniera. Erano in quattro ed il capogruppo blaterava da una mezz'ora sulla trascuratezza dei suoi sistemi di sicurezza e sulla percentuale di perdite dell'ultimo anno, quasi doppio della media del settore. Il suo sibilo vocale era proprio fastidioso. Paularius difese il suo punto di vista con calore. Da quando le nuove agenzie del lavoro del Sacro Impero avevano lanciato la possibilità degli schiavi in affitto era ovvio che le spese di aggiornamento della sicurezza erano state dimezzate; d'altro canto i prezzi della pietra di Baum erano scesi molto e solo così si poteva essere competitivi, pagando all'agenzia solo per i giorni lavorati effettivamente dallo schiavo e quando questo disgraziatamente moriva si poteva sostitirlo e se era malato si poteva abbattere senza costi ulteriori essendo coperto da assicurazione derivata. E che non venissero a dirgli che alcune correnti di pensiero della galassia interna ritenevano che sia gli umani che tutte le altre razze pensanti non fossero contenti della loro condizione. La Chiesa Teocentrica Universale aveva chiaramente dimostrato che l'essere, divenuto schiavo per nascita o per accidente, non aveva il cosiddetto diritto di lamentazione in barba a quegli intellettuali che non avevano mai mosso un dito per guadagnarsi da vivere. Inoltre lui, li aveva sempre trattati benissimo gli schiavi, buon cibo da scarto animale, prostitute interrazziali ogni settimana (faceva venire direttamente da Lenone le migliori e tecnicamente più preparate) ed erano tutti contenti, quanto alle disgrazie, queste si sa, capitavano per disgrazia. I quattro Morgeratores non si davano per vinti e continuavano a sibilare agitandosi scompostamente sui loro grassi deretani. Paularius chiese una pausa, uscì con calma avvolgendosi nella cappa argentea. Adesso la misura era veramente colma. Fuori dall'ufficio, chiamò la squadra di sicurezza che aveva avvertito in anticipo. I cinque energumeni (si serviva solo dei Sarkar di Rigel, i più efficienti) entrarono con gli storditori tesi e abbatterono in pochi secondi i Morigeratores. Li fecero bollire la sera stessa. Erano molto teneri soprattutto dopo averli tenuti un paio di giorni in un carpione di olio di sesamo, garum e aceto forte di frutti di zamira.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!