Il lunedì mattina, Ferox era ormai sfebbrato e Zhenija tossiva, ma piano, cercando di non disturbare troppo, così andammo ad un incontro con un tizio che aveva un hotel privato da finire, in quanto aveva terminato i soldi ed era in cerca di finanziatori, ma avrebbe portato due amici produttori di patatine fritte, uno dei consumi del futuro, perchè a Mosca stava per aprire il primo McDonald della nuova Russia ed il progresso entrava così a piedi uniti nella sonnacchiosa federazione ed era prevedibile che, come tutte le cose di questo genere, questi consumi di "tendenza" si sarebbero presto diffusi a macchia d'olio anche in periferia. Anche a Kiev, i tradizionali Univermag, che in fondo avevano il loro modello nelle parigine Galeries Lafayette, già prototipate nei Gum di Mosca, stavano soffrendo e si sarebbero presto riciclati in centri in cui la parola chiave era Comersant, il nuovo faro di benessere economico e finanziario. Stava anche per uscire un nuovo giornale con lo stesso titolo, questa era la voglia di libertà che serpeggiava dopo decenni in cui la stessa parola era un insulto. Dunque arrivammo al costruendo hotel del tizio, che in realtà era una casotta privata, ancora molto indietro nei lavori di ristrutturazione per trasformarla in una pensioncina. I due amici in giaccone di pelle nera, avevano portato soprattutto il loro prodotto, l'oggetto del desiderio che volevano confezionare per renderlo attrattivo a macchia d'olio, al nuovo consumatore. Uno scricchiolante pacchetto di coloratissima carta alluminata poliaccoppiata, che avrebbe trasformato in farfalla, il bruco sordido che avevano tra le mani e che in quel momento godeva di una scatolotta di cartonaccio marrone totalmente coperto appunto, dalle macchie di unto che, trasudando dal contenuto finiva col lordare irrimediabilmente la tovaglietta già marezzata che copriva un traballante tavolo. Il problema si presentò subito; bisognava assaggiare quelle che non erano vere e proprie chips, ma delle quadrelle di pasta di patata pressata fritta in un misto di oli di incerta provenienza, valorizzati da una piccola percentuale di olio di colza, quello buono insomma, ricoperte da una patina nera di residui bruciati. Ferox, non ancora fuori dalla intossicazione, si chiamò subito fuori, così dovetti sottopormi a quello che diventò una costante degli anni futuri, l'assaggio obbligatorio di tutte le schifezze alimentari proposte via via dai vari possibili clienti. Mi macchiai subito tutta la mano di olio, la zaffata di rancido mi ostrui i condotti nasali ed il gusto acido e aggressivo mi corrose la base della lingua, mentre cercavo di fare interpretare le smorfie di disgusto per mugolii di apprezzamento. Sono sempre stato un buon attore e i due furono soddisfatti di come il panel di consumatori interpellato gradiva il prodotto e l'illustrazione della macchina confezionatrice e la successissiva enunciazione del prezzo non suscitò particolare scandalo. Sta di fatto che ancora adesso ogni tanto quel gusto di olio bruciato mi rinviene, sarà una malattia professionale. Al pomeriggio ci saltò un altro incontro, per cui decidemmo di fare una scappata all'ICE non avendo niente da fare. E' una cosa tipica degli operatori all'estero. Questo appuntamento di routine, ma assolutamente inutile, viene inserito per far passare il tempo per poi raccontarsi di come vengono buttati inutilmente i soldi delle tasse in questo ufficio inutile nella pratica. Cenammo in albergo per raccogliere le idee e fare il punto della situazione, quando per la serie come è piccolo il mondo, comparve, emergendo dall'ombra della sala semideserta, una vecchia conoscenza, un certo T. che aveva tentato in passato di fare con noi delle società ad alto contenuto tecnologico, di cui vi avevo già parlato qui e che dato lo spessore del personaggio avevamo, per fortuna, perso di vista. Si appiccicò subito a noi, con l'evidente scopo di scroccare la cena, come le signorine che si aggiravano nelle hall dei vari alberghi per occidentali, ma ci attaccò un bottone terribile, spiegandoci tutte le vie per accedere, a suo dire, alle giuste conoscenze, che lui naturalmente vantava, allo scopo di mettere le mani, in quel tempo di penuria di svanziche, su tutta una serie di commodities che andavano dall'urea, alle pellicce siberiane, alla pasta dilegno, fino al fosforo rosso che non sto a spiegarvi cos'è ma è meglio starci lontani. Riuscimmo a liberarcene con la scusa di dover correre alla stazione, dove a mezzanotte ci aspettava il treno per Minsk. Uscimmo di soppiatto dall'hotel, trascinando i pesanti bagagli lontano dagli occhi dei famelici tassisti che pretendevano un ulteriore pizzo di 10 dollari, mentre un nostro uomo ci attendeva su una piazzetta timoroso che gli tagliassero le gomme. Al treno trovammo Valery e madamìn, preoccupati che ci fossimo persi, che ci salutarono commossi con grandi abbracci; i nostri dollari, si allontanavano con noi e a loro venivano le lacrime agli occhi. Le stesse che vedemmo scendere copiose dalla glaucopide e biondocrinita capavagone, che ci raccontò di essere stata mollata venti anni prima da un italiano bruno e ingannatore che, dopo averla delibata, era scomparso lasciandola ad accrescere in modo irrimediabile, la sua prorompente steatopigia. La ferrovia passava a 40 kilometri da Ciernobil, quella notte non sembrava facesse poi così freddo.
giovedì 26 novembre 2009
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6 commenti:
che racconto...il modo in cui è scritto sembra di essere stati li con voi....
Su questi ricordi, ne potrebbe uscire un film...
scusa sai.... ma non vendete niente di niente.....
siete solo un costo
diamoci da fare !!
@Br e Angelo: bisognerebbe essere capaci
@Diego: quell'anno abbiamo venduto per 6 miliardi di lire (punto sul vivo).
Non riuscendo a ingrandire bene la foto non capisco cosa sia quella sorta di parrucca bionda; la testa immagino sia la tua...
ma è il mio bellissimo colbacco di volpe gialla!
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