lunedì 15 dicembre 2014

Il traghetto per Mrauk U

Purtroppo il traghetto non era questo!



Alle sei di mattino è ancora buio a Sittwe. L'alba tarda ed il sole sembra pigro ad uscire dietro gli strati alti di nuvole oltre la fila di palme, tra questa infilata di isole formate da un delta immenso, in cui non riconosci più il fiume dal mare. Terra di acqua e di barche dove la strada è un ripiego, un'ultima opzione, dove la via regina è il fiume. L'aria è ancora quasi frizzante nonostante tutto e occorre ripararsi sul cassone del trickshò che ti porta tra buche e polvere fino al traghetto. Lo chiamano la barca del governo, i locali, anche con una certa aria di sufficienza, sottintendendo che tutto quanto è pubblico è malandato, cadente, in ritardo, da usare solo in mancanza di un'offerta privata, costosa, ma efficace. E' un po' l'illusione di tutti i regimi che escono a poco a poco dallo statalismo pieno e vedono il libero mercato assoluto, come l'eldorado che li libererà da fame e miseria, ancora troppo ingenui per capire che tutto si paga e che è proprio a loro che verrà fatto pagare il prezzo più alto. Comunque eccoci qui, quando ancora il cielo è scuro ad un braccio interno di acqua, che funge da porto fluviale. Qua, barconi di ogni forma e dimensioni stanno accalcati lungo una banchina fatta di legni marci e instabili. Il barcone di linea è affiancato in terza fila dopo due navi da carico in disarmo. E' un grande traghetto di lamiera contorta a due ponti, ricoperta di ruggine, per essere marcio, lo è decisamente. Sotto, già da un po', magri facchini stanno ammassando derrate, sacchi di riso, balle di cotone, casse ed altre masserizie. 

Bisogna salire a bordo, anche se non è facile percorrere i tre metri di passerella di legno larga un palmo che si piega sotto il mio peso, anomalo per la Birmania, gravato anche da zaino e valigia. La melma fangosa che ristagna tre metri più sotto tra molo e fiancate, non invita a perdere l'equilibrio, d'altronde in un altro caso come questo ho già dato e non mi sembra il caso di ripetere l'esperienza. Un vecchio marinaio che vede le mie titubanze esistenziali, mi allunga una mano sorridendo, ma come sono sempre gentili questi birmani! Anche Tiziana ce la fa. Riusciamo a salire sul ponte passeggeri del traghetto. Arrivati tra i primi è facile anche impadronirsi di due sdraio di misura orientale, su cui trascorrere le sei ore necessarie ad arrivare a Mrauk U, il capolinea del viaggio. E' questa una delle esperienze più belle questo giro. Qui incontri la vera realtà del paese senza mediazioni e fraintendimenti. Col passare dei minuti, la gente comincia ad affluire e ad occupare tutti gli spazi liberi con le loro masserizie. Dai un'occhiata distratta al mucchio di giubbotti ammassati a poppa, sono all'incirca un decimo del numero dei passeggeri, ma non bisogna subito drammatizzare. Ci sono ragazzi e studenti che tornano a casa, capelli sparati, ciuffi biondi e cuffiette nelle orecchie; gruppetti di ragazze con stretti loungjee colorati e le guance coperte da  spessi strati gialli di tanakha, ne parleremo magari più specificamente; buttano occhiate curiose a queste presenze incongrue e parlottano ridacchiando tra di loro. 

Vecchie rugose coi nipotini al seguito, occupano spazi ridottissimi accucciandosi con le ginocchia in bocca, senza sprecare ulteriori soldi per l'affitto del sedile. Poi arriva un gruppo di militari, con un fare un po' smargiasso che posano i kakashnikov distrattamente tra le balle di cotone. I monaci invece si raggruppano assieme, in disparte, silenziosi, anche se non appaiono fruire di trattamenti preferenziali. Qualche uomo d'affari dai tratti somatici indiani mantiene un'aria occupata e telefona in continuazione. I visibilmente mussulmani, pochi, si isolano nella zona più sacrificata. Attorno ai passeggeri, un bailamme di venditrici di colazioni, arachidi tostate, samosa, dolciumi fritti, semi di loto e altri sacchetti di cianfrusaglie di conforto; sono le uniche a esibire un tono di voce leggermente più alto per mostrare la loro mercanzia. Per il resto, nonostante la confusione, i rumori di fondo sono sorprendentemente bassi. Qualche suora in rosa, si accoccola lungo la murata arrugginita, senza timore di sporcare il saio sul pavimento di aspetto provato e scivoloso. Puntualissimo alle 7 e 15, alla faccia della gestione statale, il barcone si stacca lentamente dagli ormeggi e risale il porto canale, prima di entrare nel braccio principale del fiume. Il tumtumtum regolare dei motori culla il movimento, la lamiera corrosa del tetto ripara dal sole che si sta alzando, mentre le rive scorrono lente al tuo fianco. Risaie infinite con contadini al lavoro. Ampie camere dove le piantine sono a diversi stadi di crescita. 

In quelli più avanzati già vedi le file dei mietitori che ammucchiano i covoni. Dove l'acqua è più invasiva, ampie zone umide riempiono gli anfratti, in piccoli stagni protetti da canneti, ricoperti dall'invadenza del giacinto d'acqua. Gruppi di egrette punteggiano di ciuffi bianchi le rive ricoperte d'erba, mentre piccoli cormorani neri isolati emergono dalla superficie più al largo per inghiottire le prede e continuare il lavoro immergendosi subito. Sulle rive minuscole barche di legno legate ai cespugli aspettano di prendere il largo. Le montagne dell'est, dietro le quali si è alzato il sole, sembrano così lontane, come avvolte da un nebbia azzurrina. Non ci sono strade, non vedi mezzi meccanici all'orizzonte. Una atmosfera d'antan, da colonia inglese d'ottocento, non fosse per i soffusi ritmi rap che arrivano dagli ipod di quattro ragazzi con le creste bionde ed arancioni affondati nelle loro sdraio con gli occhi semichiusi. Ogni tanto, gruppi di capanne di frasche sulla riva. Quando si fanno più numerose e si intravede l'apparenza di un molo provvisorio fatto di assi piantate nel fango, il traghetto si avvicina a terra, viene gettata una passerella ancora più precaria di quella iniziale e qualcuno scende, qualcuno sale, A riva, si è raggruppata un sacco di gente a seguire l'avvenimento della giornata. Scendono alcuni monaci, su una collinetta dietro il villaggio si intravede uno zedi dorato che interroga il cielo. Il più anziano deve essere aiutato, cammina a fatica e due monaci più giovani lo tengono, uno davanti, l'altro dietro in precario equilibrio sull'asse, finché arriva a terra. 

Poi riparandosi dal sole le pelate scoperte col ventaglio di ordinanza, si incamminano lentamente lungo il sentiero che conduce al tempio. In un paesino più grande salgono diverse venditrici di spiedini fritti, ognuno dei quali impala un grosso pesce dorato e sacchetti di lumachine d'acqua dolce, da cui le vecchiette, con l'aiuto di uno stecchino estraggono il mollusco e lo passano amorevolmente ai nipotini. Gli altri si staccano con le dita, grossi pezzi dal pesce sullo stecco, mangiandoselo di gusto. Tutto poi finisce nel fiume. La corrente lava lentamente tutto verso l'oceano misericordioso. Altre vendono uova sode e sale. Una con la bocca vermiglia di betel, ride soddisfatta, ha venduto il sacchetto intero di pesci, forse erano i più belli o chissà, i più convenienti, o forse lei è la ragazza più carina e di certo lo sa da come muove l'anca, con l'ondeggiamento elegante della camminata a piedi nudi. Scendono alla fermata successiva. Se te ne stai in disparte seminascosto tra i gruppetti di ragazzi, le valige sepolte tra i pacchi, nessuno ti nota e puoi rimanere a lungo ad goderti questo spaccato di vita della Birmania rurale, così reale, così tranquilla. Solo qualche ragazza, se ti sorprende distratto, ti fa una foto con l'iphone. Sei tu l'anomalia, l'inatteso. Questo viaggio è da fare assolutamente, se vuoi misurarti senza affanni, con la realtà del paese. Quando infine tutti cominciano a muoversi raccogliendo le loro cose, significa che il capolinea è vicino. Tutti si accalcano verso le scalette malferme. Una ragazza ti rassicura che la barca non va più in là di così. Tra la folla l'incaricato dell'albergo ti aspetta e sale addirittura ad aiutarti con le valige, per evitarti di finire a bagno. Si vede che è già successo. Sulle colline vicine il verde scuro dei boschi lussureggianti, fanno comparire solo le cime nere dei templi di pietra di Mrauk U.



SURVIVAL KIT

Da Sittwe a Mrauk U - L'unico modo di arrivare a Mruak U è via fiume. Il traghetto di linea, è assolutamente consigliato. Parte alle 7:00 di mattina e in 5 o 6 ore arriva. Biglietto 8000K, ci pensa l'albergo a comprarlo. Sdraio sul ponte 500K. Assolutamente da preferire alle barche private, più veloci, ma più costose e secondo me anche molto più pericolose, essendo chiuse come bare di ferro. Comunque esperienza bellissima e molto fotogenica.




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