domenica 7 dicembre 2014

Yangon downtown


Yangon - Dopo la pioggia



Il lago kandawgyi
Quando il monsone, mi sembra il caso di denominarlo così, dà un po' di tregua, l'aria diventa subito lucida e pulita; il cielo rimane grigio piombo, ma una specie di luminosità diffusa si spande sulle facciate delle case, sulle superfici più chiare, nelle pozzanghere che diventano improvvisamente specchi dove perdi di vista la fangosità e cominci a ad avere la sensazione di pulizia che dà l'acqua. Sembra quasi che ci sia un raggio di sole ad illuminare il tutto. E' il momento speciale per le fotografie, quando tutto risplende e ti sembra di vedere lontano, quasi ti fosse migliorata la vista. Sul bordo frastagliato del lago Kandawgyi, il verde dei canneti è ancora più vivo, indovini le costruzioni lontane sull'altra sponda, le dita d'oro delle mille piccole pagode sparse nel verde e i boschetti di bamboo dei giardini dove passeggiano le coppiette, che non possono sedersi sulle panchine, tutte bagnate. Qua e là i tanti chioschetti offrono specialità fusion, gelati, sushi, patatine, fritti, un luogo dove passare il tempo lontano dal traffico insomma. Fai due passi lungo la riva ed è tutta una serie di scorci panoramici suggestivi. In fondo, la grande pagoda sta lì, come una enorme madre a proteggere nel suo abbraccio caldo l'intera città. E' pur vero che con la sua imponenza, la vedi un po' da qualunque parte della città, ma questo è il punto dove te la puoi accarezzare meglio, mentre riflette i suoi colori nello specchio lucido del lago, mescolando le sfumature sulla tavolozza dei pastelli, il verde, l'oro, l'azzurro. 

City Hall e Sule paya
Anche l'enorme palazzo fatto a forma di chiatta reale sul bordo del lato orientale, non disturba più di tanto, fa il gioco del gusto cinese prevalente, un po' una firma per distinguere il luogo. Se vuoi contrasto, passa subito alla zona centrale di Downtown, dopo Chinatown, il quartiere islamico con le sue moschee poco frequentate e la zona indiana. Qui è tutta una commistione di marker religiosi a segnare il territorio, chiese con la croce in testa, pagode dorate, moschee bianche dai minareti aguzzi, gopuram ricoperti di statue indù, la grande sinagoga, non ci si fa mancare proprio nulla, tutti seminascosti tra le case e mescolati nei quartieri, un disperato tentativo di tranquilla accettazione reciproca o voglia non nascosta di occupare spazi, caselle, posizioni. Chissà, intanto passeggiare tra vicoli e stradine circondati da cadenti costruzioni coloniali che costituirono il nucleo iniziale di Yangon, è forse il modo più corretto per assorbire lo spirito della città. La Sule Paya è l'ombelico centrale dell'area dove convergono tutte le strade del reticolo progettuale inglese, un po' simile, in chiave minore, concettualmente alla Connaugh Place di Dheli. Una voglia inespressa di esportare la loro cultura, di "normalizzare" i territori occupati con tante Piccadilly Circus. Anche questo un tentativo di marcare un territorio. Ma il tempio stava già lì da 2200 anni, così la piazza gli è cresciuta attorno, facendone una strana rotonda spartitraffico assediato da autobus strombettanti e camionette cariche di umanità varia che si sposta ogni giorno, in una transumanza continua ed inarrestabile. 

Un negozio religioso
Intorno potrete farvi un'idea dell'architettura coloniale rappresentata dai vari palazzi, quello della High Court di mattoni rossi, lo Strand Hotel che richiama il tempo passato dei grandi alberghi sparsi per il mondo, il palazzo dell'autorità portuale, l'edificio delle dogane, la chiesa battista e la City Hall appena ripitturata di un bianco abbagliante con tocchi di azzurro. Rimango un po' seduto nel giardino dell'indipendenza, proprio di fronte alla Sule Paya a goderne i riflessi luminosi dei raggi di un sole che cerca di farsi largo tra i nembi bassi. Che costruzione incongruente! Soffocata dal traffico, la pagoda ottagonale ha tutta la base formata da negozietti, bar, ferramenta, venditori di articoli religiosi e almeno questi ci azzeccano, materiali elettrici, un internet café, astrologi, alimentari, un negozio di chitarre. Forse proprio per questo il luogo è così suggestivo. La città, con la sua voglia di modernità, cerca invano di soffocarla, ma lei rimane lì, con il suo alto zedi dorato a puntare il cielo, a imporre la forza e la presenza della tradizione. A sera, quando la luce del tramonto ne accende i toni arancio, quando finisce il lavoro, la gente ci passa, porta un'offerta, si ferma per una preghiera, davanti alla parte centrale dove è custodito uno dei milioni di sacri capelli sparsi per il mondo. Nella confusione che regna all'interno, tra negozi e bancarelle delle offerte, statue colorate, luci violente, aureole al neon multicolori, Buddha appena arrivati accanto a quelli vecchi di secoli, tutti oggetto della stessa intensa e compunta venerazione. E' questa la commistione tipica che ritrovate in qualunque luogo di culto del paese e che all'occhio pretenzioso dell'occidentale stona e spesso spiace. 

L'astrologo
Noi rimaniamo indubitabilmente affascinati dalla patina di antico, gioiamo di fronte al monumento in rovina in cui si intravede, assieme all'abbandono, il segno inequivocabile del tempo, che scarnifica i muri, ingrigisce le superfici, le uniforma stendendovi sopra la patina dell'antico, che crea una situazione del tutto nuova rispetto alla realtà per cui la costruzione era nata ed usata. Qui invece il praticante, diciamo l'utilizzatore finale del tempio, non ne sopporta il senso di vecchio e di trascuratezza. Vuole che tutto risplenda come se fosse appena stato costruito, che ogni cosa sia lucida luminosa e soprattutto colorata. Quindi periodicamente, le antiche guglie, i muri millenari, le stesse statue oggetto da secoli della devozione popolare, devono essere ricoperte di nuovo colore, intenso e vivace, gialli dorati, rossi carminio violenti, blu e turchini accesi, che nascondano il senso di vecchio e di non vissuto. Pensate ai templi di Pestum o di Agrigento dipinti di bianco con metope e triglifi multicolori e statue coi vestiti dorati, le pupille degli occhi segnate su bianco. Eppure guardate che gli originali erano così. L'uniformità ocra che uniforma le nostre aree archeologiche è un falso, meraviglioso certo, ma irriconoscibile a chi tornasse dal passato. Dunque rassegnamoci ai neon rossi, bianchi e blu che lampeggiano incessantemente attorno alle teste dei Buddha, d'altra parte lui ha raggiunto l'illuminazione e dal suo occhio sereno si capisce che sopporterebbe tranquillamente ben altre cose. 


Traffico attorno alla moschea


SURVIVAL KIT

Downtown - Potete tranquillamente girarla a piedi in una mattinata o un pomeriggio, soffermandovi nei vari punti che vi ho segnalato o ricercando nei vicoli le tante costruzioni e templi anonimi ma suggestivi. Oltretutto è la parte più vivace della città e quindi assolutamente interessante.

Il palazzo Karaweik
Sule Paya - Ingresso 3000K - direi inutili, meglio restarci attorno ad osservarne la vita frenetica che ci scorre.

Lago Kandawgyi - Area di parco (ingresso 1000K) sempre in centro città, dove trascorrere un po' di tempo in tanquillità e ammirando il paesaggio. Molte possibilità di fare spuntini. Sulla sponda il palazzo fatto a barca reale Karaweik dove alle 18:30 e alle 20:30 a 34$ potete avere cena e spettacolo di danze tradizionali. Un po' trappola per turisti, ma se no le danze non le vedete (date un'occhiata al sito se vi interessa il genere).


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2 commenti:

Laura ha detto...

Comunque i neon colorati glieli hanno portati i cinesi, non fanno parte della cultura del Myanmar. Ne' più' ne' meno dei longji che sono stati copiati dall'India rinunciando agli abiti tradizionali. L'impressione e' che il paese oltre che alla sua liberta' abbia abdicato anche alla sua storia millenaria di grande impero. Non so se hai letto il libro di U Thant, il nipote del vecchio segretario ONU, Il fiume dei passi perduti. È' bellissimo e molto illuminante.

Enrico Bo ha detto...

@Laura - purtroppo è una storia condivisa in molte parti del mondo. Quando una cultura ancorché millenaria si indebolisce e diventa recessiva e decadente, le nuove culture si sovrappongono e le snaturano. Non dissimile la storia culturale europea di fronte all'avanzata anglofona occidentale.

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 119 (a seconda dei calcoli) su 250!