Mi sono preso qualche giorno di tregua nel mio buen retiro mentonese. E' cosa che di norma mi rilassa, un po' meno in questi giorni, anzi devo dire che qui i nostri telefoni si comportano in maniera strana, non funzionano più o non si connettono. A mia insaputa abbiamo già dichiarato guerra alla Francia o sono tutti annunci e niente sostanza? Mah, vedremo, nel frattempo cerco di recuperare le forze come un'otaria sulle rocce e mi rimane il tempo di notare che in questo finale di giugno, nella fauna che mi circonda, fatta la scrematura dei pensionati padani ingrugniti che leggono il Giornale, ma ce ne sono rimasti pochissimi, evidentemente hanno deciso di boicottare i mangiarane, pullula il russo e per russo non dico le solite sventole da rappresentanza al fianco di qualche truzzo porchato (con la Porche) che, per carità, ci sono anche quelle. Ieri sera, quando mi sono permesso di mangiare due pesci, ne avevo tre al fianco che sbocconcellavano con degnazione ostriche e branzini, innaffiate da fiumi di limoncello come se piovesse. Occhi languidi al cameriere e sbuffi dalla sigaretta elettronica, con strascicati daaaa alle profferte di ice cream alla vodka e giù grandi battiti di ciglia.
No, vedo che spiaggiati al mio pari, tra i ciottoli levigati dall'onda lenta di un Mediterraneo più freddo del solito (si vergognerà anche lui?), ci sono parecchie famigliole con pargoli, coppie dalle trippe prominenti, gruppetti di amiche depassé che poi si varano tra le onde con gridolini di davai!, pojalusta, spassiba e così via, trascinandosi dietro epe prominenti, omeri tatuati e costumini anni 50. Insomma più russi del solito a confermare che questo angolo della Cote è sempre stata meta privilegiata per i figli della Sarmazia, sia quando venivano a schiattare da queste parti pensando di guarire dalla tisi che aggrediva diafane contessine e macilenti ufficiali zaristi, sia quando era rifugio di anarchici nichilisti (che per la verità preferivano Capri o Parigi, sia, in tempi più recenti quando hanno ricominciato ad attirare i nuovi ricchi del dopo glasnost. Sarà, comunque io, quando sento l'idioma sovietico, e così lo nomino perché era parlato da tutti in quelle repubbliche che oggi lo rinnegano con smorfie di nausea, ho sempre una sorta di languorino al cuore, specialmente se quella cantilena dolcissima è pronunciata da una donna, cosa che la rende ancora più fascinosa e seducente. Così chiacchierando con un vecchio amico, non ho potuto non andare indietro con gli anni a rinverdire qualche episodio della mia vita lavorativa e di gustosi ce ne sono stati così tanti!
Si era a Firenze una domenica di aprile, dopo che era stato firmato un polposo contratto per una macchina di imbottigliamento di vodka, in compagnia del responsabile della fabbrica, che con questa scusa, era riuscito ad uscire dalla Russia e a vedere un po' di Italia, il paese sognato da tutti i suoi connazionali, il classico viaggio premio insomma, che era sempre incluso come bonus per la firma di ogni contratto. Per venire incontro alla brama di bellezza che alberga in ogni russo, il mio amico era riuscito, tramite una conoscenza della moglie ad avere, come nostro accompagnatore un grande esperto d'arte fiorentino che di buon grado aveva accettato di mostrare le cose più belle della sua città a cotanta delegazione, allora di russi in giro non se ne vedevano. Il nostro maggiorente era venuto con un sottoposto silenziosissimo che diceva solo di sì con un cenno della testa ed una segretaria belloccia, detta il samovar, impegnata soprattutto a ripassarsi continuamente il rossetto sulle labbra, naturalmente prominenti e che di norma doveva allietare le sue notti, altrimenti solitarie. Dopo una colazione pantagruelica da parte dei due maschi, soprattutto il sottopancia era voracissimo, mentre la fanciulla aveva appena toccato cibo controllandosi continuamente il contorno labbra in un piccolo specchietto da borsetta, appena arrivato il nostro esperto accompagnatore, cominciò il giro tra le straordinarie bellezze fiorentine. Il professore parlava continuamente e devo dire che le sue dotte spiegazioni, puntualmente tradotte nei particolari più minuti dall'amico Gianni, avvincevano l'uditorio, mentre passavamo di chiesa in chiesa, tra monumenti e palazzi antichi, basiti davanti a statue celebri di cui potevamo finalmente apprezzare ogni gesto, ogni muscolo, ogni espressione.
Davvero una gioia per gli occhi e per le orecchie, tanto che, a parte l'inespressività forse obbligatoria del guardiaspalle, forse un ex KGB, anche la fanciulla cominciava a sgranare tanto d'occhi. Giungemmo finalmente dopo una marcia forzata davanti alla facciata del Duomo, tra il campanile di Giotto e la cupola del Brunelleschi che incombevano sul nostro gruppetto. Mentre il professore si ammutolì improvvisamente lasciandoci in silenzio, il tempo di restare fulminati davanti a tanto spettacolo, ritenendoci ormai vinti dalla sindrome di Stendhal, il nostro ospite che ormai zoppicava vistosamente, appoggiato ad uno stipite si girò verso il mio amico e gli bofonchiò a mezza voce, un pensiero che evidentemente covava da un po' e che si può riassumere come segue: - Djanni, scusa ma ti son venuto dietro tutto il giorno ed ho i piedi come due salami pressati (nota specialità di una azienda moscovita), ma adesso, se non mi porti, prima che chiuda, in quel negozio di scarpe che mi avevi promesso e che era anche l'unico motivo per cui siamo venuti in questa cavolo di città, che non mi ricordo neanche come si chiama, quando verrai a Samara al montaggio della linea di riempimento, ti faccio appendere per le palle nel cortile della fabbrica.- Il discorso di cui non so riportarvi le esatte parole in russo, ma questo era assolutamente il senso, non fu tradotto nei dettagli al professore che ci accompagnava, a cui facemmo grandi ringraziamenti per la sua disponibilità e di apprezzamento per la sua sterminata cultura, anche da parte dei nostri soddisfattissimi ospiti, che essendo un po' stanchi, gradivano ritirarsi in hotel. Così lo lasciammo libero e il nostro amico direttore ebbe le sue scarpe fatte a mano. Il giorno dopo la delegazione partì e mai rumore delle ruote dell'aereo che se la portava via, fu più dolce.
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