Poche cose hanno quello splendido biancore abbacinante della neve che copre le montagne. I fianchi ripidi, i canaloni seminascosti, gli avvallamenti sotto le cime sono perfettamente ed uniformemente ricoperti da questo mantello candido senza asperità fatto di curve morbide, sinuose che insinuano la perfezione. Il sole quando arriva senza la mediazione di nubi o anche di semplici foschie basse, magnificano lo scenario, rendono se possibile, il bianco ancora più bianco, più lucido, pieno di luccichii ammiccanti, un brillare vivo che acceca la vista se indulgi troppo nei particolari che comunque la distanza rende incerti e sfumati. La superficie è perfetta intoccata, vergine, non ci sono tracce improvvide di sciatori, tenuti lontani dalle regole, non ci sono orme di caprioli o camosci in cerca di spazi liberi per brucare qualche cosa, solo la purezza di una materia quasi aliena alla complicazione del nostro mondo. Ebbene non appena sposti gli occhi dal paesaggio lontano, dagli scenari in modalità panorama e li posi su quanto ti è vicino, pur rimanendo nello stesso ambiente, ancora carico di neve, sui cumuli affardellati sui bordi delle strade o anche ai lati di sentieri che percorri lentamente per appropriarti di tutta quella perfezione, ti accorgi che lo scenario è completamente differente. Quella materia, perfetta uniforme, unica non è affatto quella magnifica assenza di colori, di sfumature, ma al contrario è un coacervo di sporcizia, di alternanza di neri, di grigi, di sfumature di terra, fango, altra materia ignobile e completamente priva di quella perfezione ultraterrena che appariva come trasfigurata. Anche la consistenza, che da lontano appare come priva di peso, pura essenza, categoria dell'ultrasensibile, diventa fanghiglia grigia, squagliarsi di strati diversi, dove nel taglio degli strumenti che hanno aperto varchi individui l'ocra della sabbia del deserto, il nero dei fumi dei camini, lo spurgo satanico delle auto di passaggio.
Ghiaccio ancora verdognolo ammassato assieme a materia ancora soffice o a massa in scioglimento da cui esce un rivolo di reflui nei quali nessuno vorrebbe mettere mano. Che splendida metafora del mondo, così perfetto e privo di mali, dolori, problemi, visto di lontano, così immondo e spiacevole, sentina di vizi e rappresentanza di ogni miseria umana. Così la politica, filosofia di perfezione assoluta, nobile per antonomasia, l'occuparsi del bene pubblico, nulla di più alto nelle cose di cui un uomo si possa occupare nella vita. Poi se ci entri da vicino, caleidoscopio di orrori, di disgustosi compromessi per interessi personali e via via sempre più sordidi. Quell'insieme di atti perversi ognuno dei quali dettato da una motivazione di utilità per il proprio gruppo o peggio, la propria persona. Parlare di Migliori, gli Aristoi come li definiva 2500 anni fa, chi aveva inventato la politica come massima espressione dell'intelletto umane, e poi indicarli con persone che si vantano della propria incultura, che inneggiano a comportamenti bestiali e disumani, che stanno lì solo per averne vantaggi, senza neppure presentarsi, che fanno discorsi per rinnegarli dopo pochi minuti, che credono a fantasie idiote e vogliono imporle con l'arroganza dei folli. Da vicino le vedi tutte queste cose e ti fanno orrore, cammini con i piedi larghi per non inzaccherarti i pantaloni di tutto questo fango che ti circonda e così questo schifo vuole portarti a non voler più neppure di uscire di casa per evitare di correre il rischio di sporcarsi ancora di più, di lordarsi irrimediabilmente, procurando così un ulteriore grave danno, quello di farti disamorare definitivamente della voglia di camminare ancora guardando lontano, per godere di quella bellezza irrinunciabile e necessaria di quel mantello bianco, puro e perfetto che è obbligatorio avere sui monti che ci circondano e che renderanno vivibile la nostra futura estate.
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