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martedì 10 gennaio 2023

haiku del bosco

Sestriere - foto T. Sofi

 


nobile pianta 

abbarbicata al monte -

non scivolare



domenica 8 gennaio 2023

Haiku invernale

Sestriere - foto T. Sofi

 

nebbie e fantasmi

mostran solo le cime -

sotto è paura



martedì 14 dicembre 2021

Foreste di neve

Yangantau - Urali (-23°C) - gennaio 1993


 Chissà perché, anche se la serie di giornate bellissime, soleggiate e in fondo piacevoli di questo dicembre, non inviterebbero a richiudersi in casa, si preferisce comunque il rintanamento a godersi uno stato quasi letargico e a coccolarsi al calduccio, accarezzandosi al più con i ricordi. Come era bello quando eri piccolo, che luoghi straordinari hai avuto il privilegio di vedere, che persone interessanti hai potuto incontrare. Forse tutto questo avviene perché il freddo pungente, per me, è comunque aggressivo, fastidioso, anche se il disagio maggiore l'ho superato con i miei trascorsi nella Santa Madre Russia, dove fa freddo davvero. Questo invece è un freddo malandrino e antipatico, del quale in teoria non ci si dovrebbe neppure lamentare, almeno di questo si stupisce molto il mio amico Eugenio dalla lontana Mosca avvolta nella morsa del ghiaccio di nonno Gelo. E dai Eugenio, per piacere, dai una voce a Vladimir che ci mandi 'sto benedetto gas che se no ce la menano per tutto l'inverno per aumentarci le bollette e poi non vi vogliamo più bene! Certo che lamentarsi per il freddo quando basta alzare un po' la valvola del termosifone o stringersi un po' di più in una maglia pesante, è davvero da teste deboli, magari se lo si fa guardando alla televisione vecchi, donne e bambini che i nostri trigomiri geopolitici hanno spinto in mezzo a una foresta di betulle coperta di neve o su un gommone sgonfio in mezzo al mare, ma dai,in fondo basta premere un tasto del telecomando e si passa a Ballando con le stelle, ti stringi nel plaid e mangi una fetta di panettone, buonissimo signor Balocco. Le bianche betulle sono meravigliose a dicembre, ma solo se poi entri nella baita e ti bevi un paio di vodke con dei bliny spalmati di smietana e beluga, dopo una mezz'oretta di banya, con qualcuno che butta una mestolata di acqua sulle pietre roventi di tanto in tanto. Ma che culo abbiamo avuto. Speriamo solo che non ci sia un'altra vita, se no un contrappasso ci dovrebbe essere sicuramente.


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venerdì 26 febbraio 2021

Neve bianca


Poche cose hanno quello splendido biancore abbacinante della neve che copre le montagne. I fianchi ripidi, i canaloni seminascosti, gli avvallamenti sotto le cime sono perfettamente ed uniformemente ricoperti da questo mantello candido senza asperità fatto di curve morbide, sinuose che insinuano la perfezione. Il sole quando arriva senza la mediazione di nubi o anche di semplici foschie basse, magnificano lo scenario, rendono se possibile, il bianco ancora più bianco, più lucido, pieno di luccichii ammiccanti, un brillare vivo che acceca la vista se indulgi troppo nei particolari che comunque la distanza rende incerti e sfumati. La superficie è perfetta intoccata, vergine, non ci sono tracce improvvide di sciatori, tenuti lontani dalle regole, non ci sono orme di caprioli o camosci in cerca di spazi liberi per brucare qualche cosa, solo la purezza di una materia quasi aliena alla complicazione del nostro mondo. Ebbene non appena sposti gli occhi dal paesaggio lontano, dagli scenari in modalità panorama e li posi su quanto ti è vicino, pur rimanendo nello stesso ambiente, ancora carico di neve, sui cumuli affardellati sui bordi delle strade o anche ai lati di sentieri che percorri lentamente per appropriarti di tutta quella perfezione, ti accorgi che lo scenario è completamente differente. Quella materia, perfetta uniforme, unica non è affatto quella magnifica assenza di colori, di sfumature, ma al contrario è un coacervo di sporcizia, di alternanza di neri, di grigi, di sfumature di terra, fango, altra materia ignobile e completamente priva di quella perfezione ultraterrena che appariva come trasfigurata. Anche la consistenza, che da lontano appare come priva di peso, pura essenza, categoria dell'ultrasensibile, diventa fanghiglia grigia, squagliarsi di strati diversi, dove nel taglio degli strumenti che hanno aperto varchi individui l'ocra della sabbia del deserto, il nero dei fumi dei camini, lo spurgo satanico delle auto di passaggio. 

Ghiaccio ancora verdognolo ammassato assieme a materia ancora soffice o a massa in scioglimento da cui esce un rivolo di reflui nei quali nessuno vorrebbe mettere mano. Che splendida metafora del mondo, così perfetto e privo di mali, dolori, problemi, visto di lontano, così immondo e spiacevole, sentina di vizi e rappresentanza di ogni miseria umana. Così la politica, filosofia di perfezione assoluta, nobile per antonomasia, l'occuparsi del bene pubblico, nulla di più alto nelle cose di cui un uomo si possa occupare nella vita. Poi se ci entri da vicino, caleidoscopio di orrori, di disgustosi compromessi per interessi personali e via via sempre più sordidi. Quell'insieme di atti perversi ognuno dei quali dettato da una motivazione di utilità per il proprio gruppo o peggio, la propria persona. Parlare di Migliori, gli Aristoi come li definiva 2500 anni fa, chi aveva inventato la politica come massima espressione dell'intelletto umane,  e poi indicarli con persone che si vantano della propria incultura, che inneggiano a comportamenti bestiali e disumani, che stanno lì solo per averne vantaggi, senza neppure presentarsi, che fanno discorsi per rinnegarli dopo pochi minuti, che credono a fantasie idiote e vogliono imporle con l'arroganza dei folli. Da vicino le vedi tutte queste cose e ti fanno orrore, cammini con i piedi larghi per non inzaccherarti i pantaloni di tutto questo fango che ti circonda e così questo schifo vuole portarti a non voler più neppure di uscire di casa per evitare di correre il rischio di sporcarsi ancora di più, di lordarsi irrimediabilmente, procurando così un ulteriore grave danno, quello di farti disamorare definitivamente della voglia di camminare ancora guardando lontano, per godere di quella bellezza irrinunciabile e necessaria di quel mantello bianco, puro e perfetto che è obbligatorio avere sui monti che ci circondano e che renderanno vivibile la nostra futura estate.


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martedì 16 febbraio 2021

Neve e vaccini

 


Questa foto me la manda un amico con cui ho condiviso diversi inverni sovietici. Beh, diciamo che da quelle parti se deve nevicare, nevica e anche con la temperatura non si scherza. Anche a Mosca quando arriva il Buran, passiamo i - 20° in un attimo, in questi giorni siamo a -24° e io stesso più volte ho provati i -30°, che sarà pure freddo secco che non si sente, ma vi assicuro che dopo dieci minuti che sei fuori, anche se ben coperto hai solo voglia di correre dentro qualche edificio, sia quello che sia. La lama gelata che ti si ficca in gola ad ogni respiro, segnala che si è superata la soglia dei -27°, tutto il resto è chiacchiera. L'inverno da quelle parti è così. Freddo e gelo specialmente quando il cielo è solo parzialmente offuscato e il sole un pallido cerchiolino di un giallo smorto ed anemico che non scalda nemmeno il cuore. Quando il cielo invece è un poco più coperto danzano nell'aria minuscoli frammenti bianchi, coriandoli leggeri che mulinano in ogni direzione quasi senza neppure posarsi a terra. Data la temperatura però, difficilmente nevica in abbondanza, anzi gli spessori considerevoli, in città sono abbastanza rari. Ecco quindi lo stupore dell'amico Eugenio che in quest'anno ha visto depositarsi nevicate di oltre 70 centimetri di un solo botto, cosa che lui per primo giudica inusuale. Certo è sempre un bel vedere e immagino il torpore che ti prende quando buttando l'occhio fuori della finestra hai spettacoli di questo tipo. Certo non ti viene voglia discendere e andare a fare un giro. Per la verità lui ha dovuto muoversi comunque perché l'altro giorno gli hanno fattolo Sputnik. Sembra che laggiù si stiano dando da fare al riguardo e lui è contentone a quanto mi dice, però fatto sta che se ne è tornato a casa tranquillo e adesso si gode le serie televisive del momento in attesa della seconda dose. Sta a vedere che mi tocca rimpiangere di non essere più da quelle parti!


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mercoledì 2 dicembre 2020

Haiku d'inverno

 


Cielo di piombo

Fiocca la neve fiocca

Niente sci ai piedi?

mercoledì 1 gennaio 2014

2014

Beh il nuovo anno è arrivato, ha bussato timidamente e gli abbiamo aperto la porta in questa bella giornata di sole. Lasciando le cime coperte di neve, sono sceso a valle questa mattina presto, senza incontrare nessuno, solo i campi coperti di brina che fumavano sotto i raggi tiepidi. Una sensazione bellissima, Le cime delle montagne ancora arancioni per l'alba appena vissuta, la silhouette del Forte contro l'azzurro che diventa più blu man mano che scendevo. I campi ancora ricoperti di aghi di ghiaccio a nascondere la terra arata più scura e umida o il verde oliva del grano che si avvinghia al terreno per resistere all'inverno. Ho lasciato su la macchinetta fotografica, così non posso documentarvi, i finger food che, ieri sera, hanno accompagnato l'aperitivo, il cotechino e il tacchino con prugne e castagne della tradizione e la deliziosa torta di cioccolato. Tutto secondo consuetudine, quella più gradevole, lo stare con gli amici a chiacchierare e ad augurarsi che questo 2014 sia un buon anno davvero. Chissà. Io ho buone sensazioni. Casomai se ne parla più avanti, per adesso auguri a tutti ancora una volta.


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Fine d'anno

sabato 8 dicembre 2012

Neve a Mosca.

L'Arbat oggi.

Aspettavamo neve a gogo ed invece ecco un bel sole invernale, cielo azzurro e temperatura sotto lo zero. Quasi mi ci ero abituato all'idea del bianco per le strade, sarà che fa natalizio, sarà che avevo voglia di sentire nell'aria quell'odore di neve che sta per scendere, un odore indefinibile, un po' metallico, un po' asciutto che dominava una volta le strade di Mosca, sovrastando anche il puzzo della benzina bruciata. Forse è la nostalgia di quando ero bambino e camminavo in via Dante per mano alla mamma, infagottato in un cappottino grigio caldo caldo con un baschetto in testa, oppure la voglia di quella Mosca lenta e sonnacchiosa, chiusa in sé stessa in attesa di un futuro sperato e temuto che incombeva. Un amico di quei tempi mi ha mandato un paio di foto della Mosca di questi giorni. Eh capperi, quella sì che è neve come si deve e lascia stare che poi si annerisce e infradicia tutto o ghiaccia malamente cristallizzando grumi di freddo attorno ad ogni sporgenza, ma quando arriva la neve è gioia comune, è senso di pulito di cui tanti hanno sempre di più un insostenibile necessità. Camminavo lungo l'Arbat ancora povero e miserevole, scarsamente illuminato dalle fioche luci di un passato malato ed in agonia. Ecco laggiù una bancarella coperta di distintivi e vecchie medaglie. Una ragazzetta infreddolita si stringe in un cappottino liso e troppo leggero che la mostra ancor più magra e triste, i bei capelli biondi ridotti a corta stoppa opaca. 

Più in là shapke e dublionke di pelo non troppo lucido e cucito alla meglio, pelli di animali miseri, coniglio, volpi gialle e qualche rara ondatra, la versione povera del visone. Un giovane grande e grosso quasi nascosto da un gonfio piumone cinese nero, sembra un omino Michelin gigantesco che ciondola da un piede all'altro battendosi le mani inguantate, mentre il pesante respiro forma nuvole di condensa fuori delle sue guance rubizze. Seduta sui gradini di una casa, una vecchia dall'età indefinita, ma potrebbe avere anche solo quaranta anni è quasi accartocciata su sé stessa; la grande sciarpona di lana fatta a mano quasi le copre la faccia e le nasconde i capelli, vedi solo le mani magre, strette attorno al collo della bottiglia di Stolichnaja quasi vuota. Pochi passanti, a gruppetti frettolosi che buttano sguardi distratti intorno, pieni solo della voglia di arrivare a casa in fretta. Eppure, che voglia di sentire ancora il rumore delle mie scarpe alte e imbottite che schiacciano la neve, lasciando orme nette. Disegno bianco su bianco eppure così distinto e personale. Sgnek, sgnek, sgnek, vai avanti lentamente con un po' di fatica alzando i piedi. Sgnek, sgnek sgnek, la neve crocchia e ti è compagna in quella che pare solitudine nella penombra scura dei pomeriggi dell'inverno russo. Sgnek, sgnek sgnek, che curioso, anche il vocabolo russo che indica la neve ha un suono così onomatopeico e segnante. Grazie Zhenja di avermi mandato queste foto.

Un parco a Mosca.


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giovedì 6 dicembre 2012

Haiku invernale.



Sanguina il sole.
Moderato ritardo
si può scusare.




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Tarda primavera.

lunedì 17 gennaio 2011

Casa Russia.

Era sulla trentina, faccia aperta, baffi e sorriso allegro, mi sembra si chiamasse Serghiey Odoevskiy, come lo scrittore. Faceva l'autista per noi in quegli anni difficili dove quando arrivavi a Mosca telefonavi dall'aeroporto all'ufficio per dire la targa del taxi che prendevi, dato che la leggenda metropolitana raccontava di stranieri appena arrivati e ritrovati nelle periferie, nudi dentro a un fosso. Chissà se era poi vero o se quei tali, sessantenni strapanzoni sudaticci, avevano pensato che qualche diciottenne con gli zigomi alti e gli occhi da gatta che fa le fusa, si fosse innamorata perdutamente di loro e l'avevano seguita a casa dalla mamma malata. Situazioni normali in cui molti amano credere quello che vorrebbero che fosse la realtà.

Noi, per stare tranquilli, avevamo Serghiey, con la sua Zhiguly malandata che però, lui, ingegnere e appassionato di meccanica automobilistica, manteneva in condizioni accettabili, riuscendo a procurarsi gli introvabili ricambi che la situazione consentiva. Parlava anche un discreto italiano e andando verso il centro raccontava sempre l'ultima barzelletta sui nuovi russi che cominciavano ad infestare gli ultimi brandelli dellUnione Sovietica che stava affondando. Ti rispondeva "Non ci è probliema" anche se gli chiedevi "Che ore sono?". Rideva sempre alla fine, mai sguaiato, con la stessa allegria triste che accompagna questo popolo che ama crogiuolarsi nelle sventure, ma che è fatto principalmente di gente buona. Quella volta che arrivavamo a Domodiedovo da Samara, io e Ste., come sempre stanchi ma curiosi, una coperta bianca ed infinita avvolgeva le foreste di betulle intorno alla strada. Un pallido sole lontano, la faceva risplendere come polvere di diamanti del diadema di una regina del nord. La strada attraversava un piccolo fiume ghiacciato, credo il Pakhra, che si allargava in una grande ansa piatta con qualche piccola formichina nera, pescatori seduti sulla lastra davanti al loro piccolo buco nel ghiaccio. Sulla ripa digradante del mantello bianco, le torri di un piccolo monastero, con un muro basso a protezione dei pochi edifici sparsi davanti al fiume. Un atmosfera resa magica dalla solitudine assoluta, dall'aria frizzante e dai baluginii dei raggi sui candelotti di ghiaccio che scendevano dai tetti.

Ci rimanemmo una mezz'ora, senza parlare, godendo di quell'atmosfera rarefatta, senza inseguire quel pope nero, lontano, che sgusciava da una porticina di un campanile sormontato da una grande cupola dorata a cipolla. La Zhiguly ci aspettava lontana al margine del bosco, ce l'ho ancora nitida nella mente e l'ho rivista l'altro giorno in un vecchio film, Casa Russia, girato proprio lì (non è male se vi capita dateci un'occhiata). Mi ci sono ritrovato di colpo, quasi spostato dalla macchina del tempo. Quando cominciammo a sentire la fitta al petto che segnala che la temperatura è davvero bassa e conviene andare al coperto, tornammo lentamente alla macchina; la bassa periferia di Mosca cominciò ad avvolgerci nel suo abbraccio suadente, mentre la neve fresca che tentava di scendere con fatica, a piccoli fiocchi gelati, crocchiava sotto i pneumatici consumati. Serghiey non parlava più, ma sorrideva. Dopo poche settimane se ne andò per seguire il suo sogno, un officina attrezzata di tutto punto per automobili, che immaginava come un Bengodi pieno zeppo degli introvabili e desideratissimi ricambi.







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venerdì 12 febbraio 2010

Dalla finestra.


Domani sera comincia il nuovo anno in oriente, ma spesso laggiù, oltre alla festa ed all'allegria , spira anche una leggera vena melanconica. Mentre dalla mia finestra, guardo il grande pino sulla montagna coperta di neve, mi ha colpito un Haiku dedicato a questo giorno, dal grande poeta giapponese Onitsura, alla fine del 1600, che ho trovato nel bel sito di Mario Polia e che giustamente annota il potente effetto onomatopeico delle due terminazioni in -shi del secondo verso, a sottolineare l'acuto sibilare del vento tra i rami coperti di neve. Chiudete gli occhi per un attimo, anche se non conoscete la lingua, provate a ripetere lentamente i versi giapponesi e ascoltate con me.



Primo giorno dell’anno,

un vento di tanto tempo fa

soffia tra i pini.


Ô–ashita

mukashi fukinishi

famatsu no kaze

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