Sestriere - foto T. Sofi |
nobile pianta
abbarbicata al monte -
non scivolare
Yangantau - Urali (-23°C) - gennaio 1993 |
Chissà perché, anche se la serie di giornate bellissime, soleggiate e in fondo piacevoli di questo dicembre, non inviterebbero a richiudersi in casa, si preferisce comunque il rintanamento a godersi uno stato quasi letargico e a coccolarsi al calduccio, accarezzandosi al più con i ricordi. Come era bello quando eri piccolo, che luoghi straordinari hai avuto il privilegio di vedere, che persone interessanti hai potuto incontrare. Forse tutto questo avviene perché il freddo pungente, per me, è comunque aggressivo, fastidioso, anche se il disagio maggiore l'ho superato con i miei trascorsi nella Santa Madre Russia, dove fa freddo davvero. Questo invece è un freddo malandrino e antipatico, del quale in teoria non ci si dovrebbe neppure lamentare, almeno di questo si stupisce molto il mio amico Eugenio dalla lontana Mosca avvolta nella morsa del ghiaccio di nonno Gelo. E dai Eugenio, per piacere, dai una voce a Vladimir che ci mandi 'sto benedetto gas che se no ce la menano per tutto l'inverno per aumentarci le bollette e poi non vi vogliamo più bene! Certo che lamentarsi per il freddo quando basta alzare un po' la valvola del termosifone o stringersi un po' di più in una maglia pesante, è davvero da teste deboli, magari se lo si fa guardando alla televisione vecchi, donne e bambini che i nostri trigomiri geopolitici hanno spinto in mezzo a una foresta di betulle coperta di neve o su un gommone sgonfio in mezzo al mare, ma dai,in fondo basta premere un tasto del telecomando e si passa a Ballando con le stelle, ti stringi nel plaid e mangi una fetta di panettone, buonissimo signor Balocco. Le bianche betulle sono meravigliose a dicembre, ma solo se poi entri nella baita e ti bevi un paio di vodke con dei bliny spalmati di smietana e beluga, dopo una mezz'oretta di banya, con qualcuno che butta una mestolata di acqua sulle pietre roventi di tanto in tanto. Ma che culo abbiamo avuto. Speriamo solo che non ci sia un'altra vita, se no un contrappasso ci dovrebbe essere sicuramente.
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Poche cose hanno quello splendido biancore abbacinante della neve che copre le montagne. I fianchi ripidi, i canaloni seminascosti, gli avvallamenti sotto le cime sono perfettamente ed uniformemente ricoperti da questo mantello candido senza asperità fatto di curve morbide, sinuose che insinuano la perfezione. Il sole quando arriva senza la mediazione di nubi o anche di semplici foschie basse, magnificano lo scenario, rendono se possibile, il bianco ancora più bianco, più lucido, pieno di luccichii ammiccanti, un brillare vivo che acceca la vista se indulgi troppo nei particolari che comunque la distanza rende incerti e sfumati. La superficie è perfetta intoccata, vergine, non ci sono tracce improvvide di sciatori, tenuti lontani dalle regole, non ci sono orme di caprioli o camosci in cerca di spazi liberi per brucare qualche cosa, solo la purezza di una materia quasi aliena alla complicazione del nostro mondo. Ebbene non appena sposti gli occhi dal paesaggio lontano, dagli scenari in modalità panorama e li posi su quanto ti è vicino, pur rimanendo nello stesso ambiente, ancora carico di neve, sui cumuli affardellati sui bordi delle strade o anche ai lati di sentieri che percorri lentamente per appropriarti di tutta quella perfezione, ti accorgi che lo scenario è completamente differente. Quella materia, perfetta uniforme, unica non è affatto quella magnifica assenza di colori, di sfumature, ma al contrario è un coacervo di sporcizia, di alternanza di neri, di grigi, di sfumature di terra, fango, altra materia ignobile e completamente priva di quella perfezione ultraterrena che appariva come trasfigurata. Anche la consistenza, che da lontano appare come priva di peso, pura essenza, categoria dell'ultrasensibile, diventa fanghiglia grigia, squagliarsi di strati diversi, dove nel taglio degli strumenti che hanno aperto varchi individui l'ocra della sabbia del deserto, il nero dei fumi dei camini, lo spurgo satanico delle auto di passaggio.
Ghiaccio ancora verdognolo ammassato assieme a materia ancora soffice o a massa in scioglimento da cui esce un rivolo di reflui nei quali nessuno vorrebbe mettere mano. Che splendida metafora del mondo, così perfetto e privo di mali, dolori, problemi, visto di lontano, così immondo e spiacevole, sentina di vizi e rappresentanza di ogni miseria umana. Così la politica, filosofia di perfezione assoluta, nobile per antonomasia, l'occuparsi del bene pubblico, nulla di più alto nelle cose di cui un uomo si possa occupare nella vita. Poi se ci entri da vicino, caleidoscopio di orrori, di disgustosi compromessi per interessi personali e via via sempre più sordidi. Quell'insieme di atti perversi ognuno dei quali dettato da una motivazione di utilità per il proprio gruppo o peggio, la propria persona. Parlare di Migliori, gli Aristoi come li definiva 2500 anni fa, chi aveva inventato la politica come massima espressione dell'intelletto umane, e poi indicarli con persone che si vantano della propria incultura, che inneggiano a comportamenti bestiali e disumani, che stanno lì solo per averne vantaggi, senza neppure presentarsi, che fanno discorsi per rinnegarli dopo pochi minuti, che credono a fantasie idiote e vogliono imporle con l'arroganza dei folli. Da vicino le vedi tutte queste cose e ti fanno orrore, cammini con i piedi larghi per non inzaccherarti i pantaloni di tutto questo fango che ti circonda e così questo schifo vuole portarti a non voler più neppure di uscire di casa per evitare di correre il rischio di sporcarsi ancora di più, di lordarsi irrimediabilmente, procurando così un ulteriore grave danno, quello di farti disamorare definitivamente della voglia di camminare ancora guardando lontano, per godere di quella bellezza irrinunciabile e necessaria di quel mantello bianco, puro e perfetto che è obbligatorio avere sui monti che ci circondano e che renderanno vivibile la nostra futura estate.
Questa foto me la manda un amico con cui ho condiviso diversi inverni sovietici. Beh, diciamo che da quelle parti se deve nevicare, nevica e anche con la temperatura non si scherza. Anche a Mosca quando arriva il Buran, passiamo i - 20° in un attimo, in questi giorni siamo a -24° e io stesso più volte ho provati i -30°, che sarà pure freddo secco che non si sente, ma vi assicuro che dopo dieci minuti che sei fuori, anche se ben coperto hai solo voglia di correre dentro qualche edificio, sia quello che sia. La lama gelata che ti si ficca in gola ad ogni respiro, segnala che si è superata la soglia dei -27°, tutto il resto è chiacchiera. L'inverno da quelle parti è così. Freddo e gelo specialmente quando il cielo è solo parzialmente offuscato e il sole un pallido cerchiolino di un giallo smorto ed anemico che non scalda nemmeno il cuore. Quando il cielo invece è un poco più coperto danzano nell'aria minuscoli frammenti bianchi, coriandoli leggeri che mulinano in ogni direzione quasi senza neppure posarsi a terra. Data la temperatura però, difficilmente nevica in abbondanza, anzi gli spessori considerevoli, in città sono abbastanza rari. Ecco quindi lo stupore dell'amico Eugenio che in quest'anno ha visto depositarsi nevicate di oltre 70 centimetri di un solo botto, cosa che lui per primo giudica inusuale. Certo è sempre un bel vedere e immagino il torpore che ti prende quando buttando l'occhio fuori della finestra hai spettacoli di questo tipo. Certo non ti viene voglia discendere e andare a fare un giro. Per la verità lui ha dovuto muoversi comunque perché l'altro giorno gli hanno fattolo Sputnik. Sembra che laggiù si stiano dando da fare al riguardo e lui è contentone a quanto mi dice, però fatto sta che se ne è tornato a casa tranquillo e adesso si gode le serie televisive del momento in attesa della seconda dose. Sta a vedere che mi tocca rimpiangere di non essere più da quelle parti!
L'Arbat oggi. |
Un parco a Mosca. |