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lunedì 5 dicembre 2011

Il Milione 58: Ritorno a casa.


Marco Polo - Immagine dal web


Eccoci qua, dopo più di un'anno che abbiamo cominciato questo viaggio, siamo tornati a casa. E' sempre allo stesso modo, quando un viaggio finisce, si è sempre un po' tristi, mentre si cerca di metabolizzare l'esperienza. Così immagino anche voi, che l'avete seguita, spero con interesse, avendo capito quanto mi ha appassionato. Credo che gli stessi sentimenti li covasse nel profondo anche il nostro amico Marco Polo, che è diventato ormai anche un po' vostro, anche se per lui il viaggio è durato più di 23 anni. Così ce lo immaginiamo, mentre la galea si avvicina a Venezia, partito ragazzo e di ritorno uomo maturo e con quale esperienza dentro di sé, sul ponte di legno, mentre gli unici rumori sono lo sciabordio dell'acqua ferma, smossa dai remi e le grida dei vogatori, ad osservare le prime isole della laguna che si avvicinano, a indovinare le prime case lontane di quella città già allora straordinaria, come le tante che ha visto nel suo peregrinare. 

Basilica di San Marco
Una bella tempesta di sensazioni, di certo; l'appagamento orgoglioso del ritorno a casa di chi ha ottenuto successo, il lenirsi di una nostalgia che pure lo avrà smosso nei decenni di lontananza, la curiosità di vedere i tanti cambiamenti, la voglia di emettere a frutto, di far conoscere e di monetizzare le sue incredibili esperienze e di certo anche quel sottile filo di rammarico per tutto quello che si è lasciato alle spalle, esperienze non completate, occasioni rinunciate, cose ancora da vedere e ormai perdute per sempre. Chissà se avrà messo piede a terra proprio all'approdo di piazza San Marco, entrando orgoglioso e bardato di tutto punto, come si conviene al mercante di successo che sbarca al mattino, con le sue vesti migliori, per mostrare la riuscita dei suoi affari. Avrà guardato con stupore l'avanzamento dei lavori della basilica, ormai ricca e avviata a mostrare tutto il suo splendore con le tante ricchezze arrivate coi commerci e con le razzie avvenute in Oriente e seguite alla IV crociata e alla caduta di Costantinopoli; avrà osservato il campanile ormai grande dalla cupola di legno, faro che guidava i mercanti che arrivavano a questa città dei commerci da tutto il mondo; si sarà predisposto a raccontare con orgoglio la sua grande avventura, forse già supponendo che le sue storie sarebbero state troppo grandi e fantastiche per essere completamente credute e maturando il progetto di dare a tutta la storia una forma scritta che rimanesse nel tempo a ricordo della sua impresa e ad utilità di chi ne avesse bisogno, riconoscendone comunque l'importanza e l'unicità. 

Cap. 209

Venezia - L'approdo di piazza S. Marco
Ma credo che fosse piacere di Dio nostra tornata, acciò che si potessoro sapere le cose che sono per lo mondo, ché, secondo ch'avemo contato in capo del libro nel titolo primaio, e non fu mai uomo, né cristiano, né saracino, né tartero né pagano, che mai cercasse tanto nel mondo quanto fece messer Marco, figliuolo di messer Niccolò Polo. nobile e grande cittadino della città di Vinegia.

Chissà se sarà stato accolto dalla famiglia con un grande banchetto, come quello che ci aveva preparato Acquaviva e a cui vi rimando per non ripetermi (e se volete tutte le ricette qui) e chissà se già in quella occasione avrà cominciato  a raccontare agli astanti, un po' increduli, un po' interessati, quanto la sua esperienza di mercante viaggiatore poteva dargli credito e assicurargli una vecchiaia onorata e dignitosa. Forse già preparava l'incipit delle sue memorie, ma gli ci vorrà ancora qualche anno e una nuova avventura  per dare loro una forma concreta, grazie a quel Rustichello conosciute in altre circostanza difficili, preoccupandosi di essere convincente e inattaccabile.

Cap. 1
Signori imperadori, re e duci e tutte l'altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverete tutte le grandissime maraviglie  e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di Persia e di Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà ordinatamente Messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia come egli medesimo le vide. Ma ancora v'à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà per veduta e l'altre per udita, acciò che il nostro libro sia veritiero e sanza niuna menzogna.

Così nel racconto, ricomincia l'avventura, che coinvolge lettore e narratore, l'uno ansioso di conoscere e affascinato dalla capacità affabulatoria di chi spiega, l'altro in un misto di piacere provocato dal ricordo e dall'orgoglio di render pubblica la sua vicenda affinché serva ad altri l'esperienza. E' nato così un nuovo filone, il libro di viaggi, ma anche la guida turistica, ma ancora il manuale di commercio. Puoi essere contento Marco, dopo 800 anni, ti ricordano ancora tutti e molto bene, ad oriente e ad occidente, con ammirazione e sicuramente con invidia, per quanto hai provato e per quanto hai saputo insegnare a chi ha dentro quella voglia di conoscenza, quel desiderio di vedere, di imparare ma soprattutto quella bramosia di capire, che forse è il segreto di una convivenza civile tra le genti.



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lunedì 10 ottobre 2011

Banchetto per il ritorno di Marco Polo.

Crostate de caso graso.

Biscoti co' semi.
Tutti ormai sanno che il web è strumento quanto mai pericoloso. Mi raccomando quindi anch'io, dovete stare molto attenti alle conoscenza che si maturano in questa area virtuale ed accattivante. I pericoli si annidano tra i bytes e quando vi lasciate acchiappare è finita. Potreste esserne travolti e soccombervi, prigionieri per sempre. L'ho presa come al solito alla larga, ma la premessa era d'obbligo alla riunione di congiurati che si è coordinata ieri, maturata dietro motivazioni cresciute a poco a poco in questo spazio. Chi mi segue, conosce e forse apprezza il filone marcopoliano che porto avanti da oltre un anno e che sta volgendo al termine, ancora tre puntate ed il nostro veneziano sarà tornato definitivamente a casa e lo metteremo a riposo con soddisfazione di tutti. Ma credo che molti avranno apprezzato soprattutto il connubio che è nato in queste pagine proprio con quella straordinaria studiosa della cucina che è Acquaviva e che con il suo blog filosofico-culinario ha voluto duettare con me seguendo a mo' di vivandiera la carovana che attraversava l'Asia al passo lento dei cammelli. Ebbene, lei stessa, che oltre ad essere una profonda conoscitrice delle cucine del mondo e della loro storia, è anche strepitosa cuoca reale, ha voluto accoglierci, questa volta non virtualmente, nella sua casa e, splendida ospite, coronare il viaggio del veneziano con una merenda sinoira trecentesca (in onor dei piemontesi) a tema. 

Polastro en salsa de pago co' bolets 'n salsa e radicio con fortagia.
Non voglio dilungarmi nell'osanna alla nostra anfitriona che parrebbe troppa piaggeria, ma mi limiterò a raccontarvi la ciccia come si dice, prelevando a man bassa dalla dispensa cartacea che ci è stata fornita a corona del tutto. Bando alle ciance dunque e sedetevi (virtualmente purtroppo per voi) a questa tavola veneziana a cui berrete Aqua mellata, un idromele lievemente aromatizzato con miele e salvia (andava cancellato il certo gusto di fango che aveva l'acqua veneziana all'epoca) e Hyppocras, il vino abboccato che un tempo era povero di profumi e quindi impreziosito con aromi di cannella, galanga, cardamomo e pepe nero. Le danze si aprono quindi con Crostate de caso graso (deliziosi crostini di pane, caldi con miele o cannella, imburrati e ricoperti di una fetta di formaggio "et como lo caso sia squagliato, manda presto in tavola") seguite da Ravanei al butiro di cui è facile la comprensione, ricordando che "el ciufetin de fogie, saria ben de lasarghelo, parché el fa più bela aparensa e ne'l steso tempo el serve da manego" a dimostrare che anche gli antichi badavano alla forma. A corona Biscoti co' semi (ciambelline salate mordide e friabili al tempo stesso con anice, finocchio e cumino). Sul primo non mi dilungherò in quanto l'abbiamo portato noi, per avere una contaminazione alessandrina con i Rabatòn (piatto comunque medioevaleggiante costituito da gnoccoloni morbidi di ricotta, erbette, uova e parmigiano, cacio già citato dal Boccaccio, passati al forno). 

Chomposta de state de pere.
Ed eccoci al piatto forte con El polasto en salsa de pago, un morbidissimo pollo lessato in brodo aromatico (che ha riposato una notte nel brodo con sedano, alloro e anice stellata) accompagnato da una morbida e saporosa salsa di fegatini di papera e mandorle, densa e ghiottissima dai sentori di arancia e cannella ma equilibratissima, come consiglia Mestre Robert: "emperò aquesta salsa no sia massa fort de agror, ni d'espècies, ni de dolcor sinò de bon modo". A contornare tanta delizia, Bolets 'n salsa (costituita da cipolle, prezzemolo, coriandolo con spezie e aceto da colare leggera sui funghi bolliti e soffritti) e Radicio de Chiogia con fortagia de gambareti, dove il rosso del'insalata si mescola magnifico alle screziature di questa frittata dal sapore di mare, il cui condimento sarà il tradizionale lardo fuso, pepe e aceto in luogo dell'olio che all'epoca era acidissimo e di deprimente qualità. Che trionfo di sapori antichi e intriganti al tempo stesso! 

Noce chonfetate.
Ma non è finita ecco in arrivo La chomposta de state de pere, amorosamente sbucciate e cotte in vino aromatico accompagnate da una salsa grossolana di datteri, prugne, carote, sedano e prezzemolo, mescolata con senape dolce e vino, seguite da Noce chonfetate, in cui i docili gherigli con mandorle sono affogati in miele speziato da garofano, zenzero e cannella e  Semini coverti (i semini aromatici confettati della tradizione indiana di fine pasto). Per finire al posto del caffé Brodo ligiéro de polastro profumato di spezie in linea col tempo. Tutto la cena è stata accompagnata dal delizioso pane Noon o Lepijoska dell'Asia centrale, cotto amorevolmente nel forno di casa da Stefano (altro adepto, vittima del web). La merenda si è così protratta come i banchetti medioevali fino a notte per il piacere di conversare e stare assieme a nuovi amici. La tavola di Annalena è un luogo semantico in cui puoi capire che la gastronomia è davvero arte, cultura, storia, poesia e soprattutto amore. Certamente lei (con cui mi scuso per aver saccheggiato senza vergogna le informazioni consegnateci a corredo) è davvero persona che va al di là della studiosa di cucina, perché anche la cultura e la ricerca, poco sarebbero se non li condisse con l'amore che vi infonde come ingrediente fondamentale e che rende speciale la sua casa. Sono stato davvero fortunato ad incrociarla nel web. Capite adesso cosa significa lasciarsi attrarre morbosamente dalle lusinghe della rete? 


Lepijoske e ravanej
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mercoledì 31 marzo 2010

Il Milione 6: Morti a Venezia.

E già, i due fratelli pensavano di farsi un salto ad Acri, mandare la missiva al Papa e tornare al più presto, che il mercante non ha mica tempo da perdere, chì se lavùra e il Gran Cane mica sta lì ad aspettare con la gente di tutto il mondo che va a fargli visita e ti frega qualche bel contratto. Invece il destino è lì che ti aspetta; arrivano in Terrasanta e la notizia fresca fresca che ricevono è che il Papa è morto e tocca aspettare che ne facciano uno nuovo.
Cap. 9
Li due frategli, udendo ciò pensarono di andare in questo mezzo a Vinegia per vedere loro famiglie e quivi trovò Messer Nicolao che la sua moglie era morta e erane rimasto uno figliolo di 15 anni ch’avea nome Marco e li due ristettero a Vinegia due anni aspettando che lo novo papa li chiamasse.
Pensate un po’ per due giramondo così, rimanere rinchiusi in città, immaginiamo zitti zitti a non raccontare nulla di quanto era loro occorso per non farsi soffiare le opportunità, si direbbe oggi e intanto a far piani per i futuri affari, cosa importare, cosa portare laggiù, da che parte tirava il mercato, magari accogliendo in città vecchi clienti con cui intessere nuovi rapporti di affari con le merci che si prevedeva di portare a Venezia a miglior prezzo. Chissà come, questa città ha mantenuto fino ad oggi un aura magica per tutti gli stranieri, siano Russi, sian Cinesi, la prima cosa che volevano andare a venere, arrivati in Italia e comprati alcuni paia di scarpe, era proprio la città della laguna. Mi ricordo che un anno ci sono andato ben undici week end ad accompagnare delegazioni composte da stanchi bietoloni e sognanti accompagnatrici che fremevano alla vista del Canal Grande. Avevo un giro fisso, tagliando per zone meno affollate e finendo invariabilmente in Piazza San Marco dove la comitiva non poteva che rimanere a bocca aperta davanti al duomo ed allo splendore della piazza. Le femmine si giravano attorno con occhi sognanti e mi lanciavano un languidissimo -spassiba Enrico- mentre illustravo loro l’armonia delle alternanze di vuoti e di pieni nelle ombre della facciata e nelle scansioni ordinate delle finestre sansoviniane, appoggiandosi turbate al mio braccio, mentre i vari presidient di turno annuivano col capo e grugnendo chiedevano dove stava il Danieli. Finivamo in quella meravigliosa hall a prenderci un aperitivo e tutti rimanevano basiti dai sapori d’Oriente che scivolavano lungo i mosaici e le arcate moresche. Questa città ha sempre fondato la sua fortuna su queste commistioni tra Europa e Asia, sulle occasioni e le ricchezze che offrono la mancanza di frontiere e l’apertura alle diversità del mondo. Che mondo fantastico allora, gente che percorreva tutto il Mediterraneo senza barriere, le idee giravano e si rinvigorivano in un fermentare sano e produttivo e privo di paure. Non avrebbero attecchito allora certe idee che portano solo a chiusure capaci di ottundere ogni vigore, a tagliare le opportunità, a rimanere soltanto col puzzo di fogna che sale dai canali e ingombra le menti. Il camminare per calle e callette segrete e poco popolate non deve essere però cambiato rispetto ad allora e la nebbiolina condita di odore di acqua morta di certe giornate di novembre sarà rimasto lo stesso che vedeva il giovane Marco, che sognava di seguire padre e zio, non appena avessero avuto notizie buone dal Conclave in atto. Chissà cosa mangiavano i Polo, certamente piatti ricchissimi di spezie (per attutire la puzza delle carni mal conservate), che tra l’altro erano appunto uno dei business migliori dell’epoca, ma di questo di certo ci renderà edotti la brava Acquaviva che ha postato qui un vero e proprio trattato di cucina veneziana del 1300 a cui vi rimando per la memorabile ricetta del Savore rinforzato perfecto per polastri e caponi. Io invece me li portavo sempre in qualche trattoria tipica, i miei ospiti, cercando di sgusciare alla meglio tra i siluri che i ristoratori lagunari sono abituati a tirare ai mercanti di passaggio. Mi ricordo una volta il mio capo, che portò tre pezzi grossi in un grazioso localino, strizzò l’occhio al cameriere dicendogli:”Mi faccia fare bella figura” e quando dopo il trionfo di pesce chiese il conto, eravamo nel ’95, gli arrivò un fogliettino scritto a mano con su Lit. 1.800.000 per sei persone. Diede del ladro matricolato al gestore, sorridendo continuamente per non farsi capire dai russi che scolavano gli ultimi calici di Cartize dandosi gran pacche sulle spalle, ma in risposta ebbe solo un allargar di braccia e un: “Me gaveva dito de farle far bela figura…” e subito fu trascinato sulla gondola dove già attendeva il mandolinista.


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venerdì 19 marzo 2010

Il Milione 2: a Costantinopoli per guadagnare.

Bene, bene, dai commenti al post di ieri, vedo un certo interesse all'argomento e quindi mi ci butto subito a pesce essendo uno dei miei favoriti. Intanto tenete sempre d'occhio la mappa che allego, che descrive l'ipotesi del percorso del nostro Marco, da cui si vede che un po' tutta l'Asia sia stata bene percorsa ed investigata, dopo di ché dobbiamo dire due parole sul libro. Infatti questa, che è una delle prime opere di letteratura davvero europea, vi ricordo, stesa in francese d'oil, misto a molti italianismi, da Rustichello da Pisa sotto dettatura, ebbe un immediato successo e fu subito tradotta e ricopiata più volte e pensando che allora i libri se li ricopiavano a mano, non è cosa da poco. Il motivo del successo, secondo me, sta proprio nell'essenza dell'opera. Non è solo un romanzo o un racconto di viaggio, come qualcuno lo ha definito, e neanche quello che si può catalogare come la prima guida turistica. Certo, è vero infatti che par di leggere la Lonely Planet Asia, con precise indicazioni di quanto tempo ci vuole a cavallo da una città all'altra o che nel tal posto si è ospitati degnamente in buone locande o ancora di fare attenzione ai mariuoli del tal posto che ti fregano il portafoglio. In realtà, sempre secondo me, è un vero e proprio manuale del mercante, con indicazioni e note necessarie a chi si voleva mettere in viaggio per fare affari; ecco quindi che si precisa dove comprare le merci migliori ed al minor prezzo, dalla bambagia alle spezie richiestissime o le pietre prezione o altro, sempre attento al valore delle cose ed alla convenienza dello spostare merci da un luogo all'altro per trarre profitto dalle differenze di valore. Si direbbe un manuale sull'arbitraggio, un trattato sulla globalizzazione e sui vantaggi della delocalizzazione ante litteram. Addirittura vengono segnalati i rapporti di cambio tra argento ed oro, sottolineando la convenienza di una piazza rispetto alle altre. In quei tempi di relativa pace e di conseguenza di crescita economica, ecco che tutti gli aspiranti mercanti si gettarono a pesce sul volume, ansiosi di avere informazioni utili. Certo in quei tempi gli unici viaggiatori erano i soldati ed i mercanti e non lo facevano per diletto. La molla del guadagno spingeva questa gente, ma chi non aveva la curiosità di conoscere, la voglia di capire il mondo e la sua vastità, improvvisamente disponibile, non aveva la voglia di andare al di là di una tratta già conosciuta e certa. I Veneziani erano tra i più intraprendenti ed è per questo che la Serenissima, pur piccola, cominciò il suo percorso di supremazia commerciale e politica nel Mediterraneo. Gente aperta che sapeva vedere nelle diversità, occasioni e vantaggi, che andava a cercarsi le opportunità dove c'erano, senza richiudersi a riccio nella sciocca difesa di un indifendibile particolarismo becero e ignorante, prodromo del declino economico e mentale, ma queste son cose di tempi successivi. Certo il buon Marco non parte alla cieca. Padre e zio, già accorti mercanti, giravano dalle parti di Costantinopoli a cercare buone occasioni e da lì ebbero le notizie che li spinsero al primo viaggio esplorativo verso est. Sentiamo Marco:
Capitolo 2…messere Matteo Polo e suo fratello venuti da Vinegia nella città di Costantinopoli con mercatantia, per guadagnare, partironsi in nave e andarono in Soldania….
Ce li immaginiamo certo, i due mercanti che partono da Piazza San Marco e vanno a Costantinopoli che era un po' lo snodo dei traffici con l'Oriente(e vorrei sottolineare quel "per guadagnare"; il mercante si diverte solo così, solo dopo si può fermare un attimo a considerare, a pensare). Era il1260 e la città era appena tornata in mano ai Bizantini. Santa Sofia aveva subito danni, ma non irreparabili e tutta la città era in fermento ricostruttivo dopo i disastri prodotti dalla IV crociata (che incidentalmente ricordo, saccheggiò l'impero Bizantino fregandosene di Saraceni e Terrasante varie). Paragonando il centro, con la Istambul di oggi, si può dire che mancavano solo i minareti e già si vedeva Galata e la torre allora diroccata dal saccheggio crociato ed in piena ricostruzione. Le mura semidistrutte dall'assedio, forse non differivano molto dal loro aspetto odierno. Era terra Genovese, ma quello che la accomunava alla cittàdi oggi era proprio la sua posizione chiave, un crocevia di commerci, di mercati, di scambi e occasioni. Quando passeggiavo nei bazar di Istambul, certo il profumo forte ed aggressivo delle spezie, i colori dei tappeti distesi davanti alla mille botteghe, le grida dai venditori che cercano di invitarti a fare un buon affare erano le stesse che avevano sentito i Polo quasi otto secoli prima. Gli stessi sguardi, lo stesso interrogarsi se quello sarebbe stato l'affare della vita, la stessa voglia di fermarsi, contrattare, scambiare zecchini con bisanti, tetradramme e piastre o lire o dollari contro merci. A Costantinopoli, a Istambul, comincia la voglia di "mercatantia" che in fondo mi ha accompagnato, anche se praticata per conto terzi, per tutta la vita.


Vi segnalo che in concomitanza con questa serie di post del viaggio di Marco, nel bellissimo blog di cucina di Acquaviva che vi invito a seguire, comincerà l'esposizione di una serie di ricette che trovereste oggi in quei luoghi e che forse avrebbero gli stessi sapori che ha provato il nostro eroe.
Quella di oggi riguarda un classico di Istambul: l'involtino di riso in foglie di vite.

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giovedì 17 dicembre 2009

Vodka sincera.

Finalmente si è deciso a nevicare. Non ne poteva più da qualche giorno e ieri sera, guardando fuori dalla finestra, si intravedeva scendere qualcosa, come lungo le fasce laterali di questo blog. Non dà tristezza come quando comincia a piovigginare, dà piuttosto una sensazione di attesa positiva. Proprio la stessa che provai allora, guardando verso il lago ghiacciato, dalla piccola finestra del sanatorj di Sverdlosk 44, la sera del nostro arrivo. Era buon segno; intanto se nevicava vuol dire che la temperatura era salita, dai -25°C dei giorni precedenti e l'appuntamento alla fabbrica del marmo, previsto per la mattina successiva, sembrava promettente. Che ci entravamo col marmo, noi tappologi? Niente all'apparenza, ma in un mondo che aveva difficoltà enormi a comunicare con l'esterno, in cui la possibilità di muoversi era quasi negata, chi aveva bisogno di qualcosa si rivolgeva alle uniche persone a tiro che avessero la possibilità di comprare per soddisfare anche con un passaggio in più i loro bisogni. Quando si chiudono le porte con paletti e lacciuoli, se hai bisogno, sei obbligato a giri tortuosi ed alla fine le stesse cose ti costano di più, in soldi e fatica. Così di buon mattino, la italijanskaija delegazija si presentò alla fabbrica del marmo dove il sindaco e tutta la compagnia aspettava in pompa magna. La fabbrica era ferma perchè tutte le macchine (italiane naturalmente) per tagliare le lastre di marmo erano malandate o completamente rotte e senza possibilità di ricambi. Ora direte, ma non potevano chiamare direttamente la ditta e ordinare nuove macchine e ricambi? No, non si riusciva. Dall' URSS e da quella città chiusa agli stranieri, blindata dietro il triplo filo spinato della stolida segretezza militare, non si poteva comunicare, telefonare, chiedere. Ecco quindi la nostra funzione di salvatori della patria, che come capi commessa avremmo, raccolto le necessità, fatto preparare il progetto, approntato e spedito, infine coordinato il montaggio ed il commissioning di una linea completa per la produzione di lastre, piastrelle e così via. Il sindaco era una brava persona che molto pragmaticamente, capiva i vari problemi e aveva una sincera volontà di sistemare le cose, dotando la sua città di un polo produttivo efficiente. La sera, davanti agli spiedini che sfrigolavano sulla griglia improvvisata, dopo la prima bottiglia di vodka si aprì molto. Dietro i suoi occhi tristi avvertivi la voglia di fare cose utili, di servire la propria comunità, anche sentendo dietro le spalle le pressioni degli appetiti dei tanti personaggi che prosprano sotto tutte le bandiere, questo mondo che intreccia il politicante con il lavoro, mignatte che ti si attaccano alle caviglie come non parendo e intanto succhiano la loro ragione di esistenza. Ci raccontò di quando, giovane, era campione di biathlon e di come era bello scivolare sui solchi tracciati tra le betulle, col freddo pungente che ti pizzicava le guance, per fermarti ansante cercando di tenere ferma la carabina, mentre il bersaglio lontano si appannava davanti all'occhio velato dalla fatica. Ma che serenità, confrontata alle sedute del consiglio comunale, dove ai bersagli si erano sostituite belve fameliche da tenere a bada, ognuna interessata solo a staccare il proprio piccolo brano di carne succulenta e grandante di dollari. Firmammo il contratto e della successiva visità parlai già qui, per chi vuol saperne di più. Ci lasciammo quindi con i consueti fraterni abbracci che la vodka rende più lunghi e impastati, con la promessa di rivederci in Italia alla approvazione delle macchine prima della spedizione. Vennero, qualche mese dopo e naturalmente li portammo a Venezia. Dopo il consueto giro, San Marco, campanile, ponti, gondola, aperitivo per apprezzare i mosaici del Danieli, dopo tanti sospiri, gli occhi dell'amico sindaco erano sempre più tristi e mentre li salutavamo, esternando il nostro più sincero dispiacere nel lasciarli andare così in fretta, ci guardò con un mezzo sorriso pragmatico dicendo: -Non raccontate storie, tutti sanno che la cosa più bella della visita di una delegazione è il rumore dell'aereo che se la porta via.-

giovedì 17 settembre 2009

Sogno kazako.


Il Kazakistan è una terra un po' desolata. Quasi tutto deserto e pianure sconfinate. La gente, che probabilmente aveva passato durante il periodo dell'URSS qualcosa di simile a un lungo sonno, sembrava ancora un po' stordita dai cambiamenti provocati dal passaggio alla CSI, di cui però nella vita di tutti i giorni si sentiva poco o nulla. Gente varia anche lì, come in tutti i melting pot, costituita dalle diverse etnie dell'Asia centrale, uzbeki magrolini e barbuti, turkomanni rubizzi, kirghisi più montagnini mescolati alla maggioranza kazaka, formata da personaggi immensi, alti, grossi, dai visi simili a statue orientali. Sembra che ci sia poco da fare in quei posti, invece, il soldo circola bene anche da quelle parti e avevamo clienti anche lì. K. era uno di questi. Se dovevi figurarti le fattezze di Gengis Khan o di Attila questi era perfetto per la parte. Smisurato nell'altezza e nelle dimensioni, dava l'idea di un forza disumana, con mani enormi e dure come tenaglie, ma era la testa quella che più impressionava. Quadrata, completamente piatta davanti, con labbra spesse e gli occhi ridotti a due fessure sottili. Se te lo immaginavi con un elmo a cavallo con una spada in mano, sapevi che non avresti potuto chiedergli mercede. Invece era sorprendentemente gioviale ed allegro, sempre pronto a fare festa e a dare temutissime pacche sulle spalle con le tremende manone, mentre cercavi di schivare i suoi tentativi di baciarti sulla bocca con affetto. Era ricco ovviamente e si voleva sentire munifico come un satrapo orientale, per sentirsi amato dai suoi, come quando regalò mille dollari (cifra esagerata per il posto) al matrimonio di un suo scagnozzo, quando gettava mazzi di banconote ad un gruppo di cavalieri incontrati lungo la strada perche dimostrassero per i suoi ospiti un buskashì, la gara in cui ci si strappa di mano, cavalcando, una carcassa di montone o come quando voleva organizzare un marito appropriato per la nostra Stefania, scelto con cura tra la sua gente migliore. Gli avevamo venduto una linea per produrre ed imbottigliare bibite gasate, ma aveva tanti sogni, tanti progetti. Un sistema di serre per ortaggi, una fabbrica per produrre alimenti per neonati; tutte cose utili al paese e infine la cosa a cui teneva di più un grande albergo moderno come ancora non ce n'erano nella sua città, un po' periferica rispetto alla capitale. Voleva che fosse all'altezza dei migliori del mondo, come quelli che aveva visto durante il suo viaggio in Italia e ci mandammo appositamente un architetto specializzato perchè vestisse da occidente il fabbricato che stava per essere costruito. Fu portato in pompa magna sul luogo dove già sorgeva una fatiscente costruzione a due piani. Qua e là emergevano tratti di calcestruzzo eroso, putrelle corrose dalla ruggine, pietre spezzate sui davanzali di finestre cieche; pareva uno scheletro dopo il bombardamento. Il nostro chiese se quello era l'edificio da abbattere per far posto al nuovo albergo. K. ci rimase male perchè quella era la sua costruzione appena finita, fresca di muratori, che lui considerava un po' il suo capolavoro. Allora non se ne fece niente. Era un candido K., così quando chiedemmo spiegazioni per i trecento euro di extra che ci erano state esposte in fattura, quando lo portammo a pernottare a Venezia una notte sul Canal Grande, ebbe difficoltà a capire un meccanismo estraneo alla sua cultura. Disse che aveva telefonato tutta la notte ad un numero indicato da un canale televisivo e che iniziava con 144, per chiedere che gli mandassero in camera quella gentile odalisca che veniva mostrata nel programma, ma non era riuscito nell'intento ed a tarda notte aveva desistito. Non lo turbammo più con spiegazioni troppo complesse.

lunedì 23 febbraio 2009

Morte a Venezia

Venezia è sempre stata in cima alla lista dei desideri dei Russi che venivano in Italia. Nel loro immagina- rio collettivo era la città magica che si doveva vedere e vivere almeno un giorno nella vita. Gli uomini per poter raccontare, tornati nelle dacie, tra i cadaveri delle bottiglie di vodka vuote, di aver percorso il Canal Grande in gandòla cantando Oh sole mio e per le donne soprattutto, il luogo romantico per eccellenza, dove lanciare occhiate con occhi tumidi e sognanti ai palazzi, ai gondolieri, alle atmosfere rarefatte di questo gioiello violentato ogni giorno da milioni di barbari con le mani unte di focaccia e di cartacce di pizza al taglio. Che tenerezza vederle, con la testa leggermente piegata, guardare ogni angolo per riportarlo a casa nella mente, come Angela, che, sbeffeggiata da Andrej, implorava che le lasciassimo comprare una gondola gigante che avrebbe troneggiato per sempre sul suo comò. Era praticamente un obbligo, tutte le volte che una delegazija di clienti russi arrivava in ditta, che qualcuno se li prendesse in carico per portarli il week end a Venezia. Quella volta c'era Marat, accompagnato da Eugenio e, poichè aveva solo un giorno a disposizione, partimmo alle 5:30 di una lugubre mattina invernale. Tre ore dopo scendevamo dal parcheggio di piazzale Roma verso il pontile del Canal Grande avvolto da una nebbiolina gelata che nascondeva la città, i suoi palazzi e le poche persone in giro in una atmosfera irreale. Una città meravigliosa, abbandonata, decadente ed in rovina dove, tra i vapori e gli odori che salivano dai canali, comparivano scorci fatati di campi e campielli, di piccoli ponti, di portici antichi, di calli contorte e solitarie dove ad ogni istante ti aspettavi di veder comparire Colombina rimbrottata da un nasuto Pantalone. Qualche colpo di remo di tanto in tanto, era il solo rumore che avvertivi, assieme al cigolio degli scalmi, un frullare di ali di colombi nelle piazzette, le nostre scarpe che scalpicciavano sui gradini umidi per scavalcare i rivi laterali, fino ad uscire dal vicolo che ti mette di colpo di fronte a San Marco, un bianco pugno nello stomaco che ti prende inaspettato con l'oro dei suoi mosaici che tremolano anche sotto la nebbia bassa, mentre sulle cupole il primo sole che riesce a farsi strada, lascia intravedere lo splendore che sarà dispiegato tra poco. Per tutto il giorno girovagammo per percorsi noti e nuovi, che sceglievo con cura per far apprezzare l'unicità della città, per assaporare un ambiente che devi portare con te per sempre, in particolare gli angoli più scuri, segreti, accanto alla gloria dei momumenti. Ce ne andammo a sera, con i soliti piedi dolenti dal troppo camminare. Marat era stato silenzioso, per quasi tutto il giorno, intento a guardare, a commisurare, ad immagazzinare immagini, a valutare e rimase in silenzio anche per tutto il viaggio di ritorno. Solo prima di arrivare in albergo mi fece una domanda, che evidentememnte gli rigirava in testa da tempo. - Gospadin Enrico, ma perchè a Vieniezia le case sono tutte vecchie e rotte, con i muri tutti scrostati e nessuno si occupa di rifarle nuove o almeno aggiustarle? Eppure l'Italia è un paese ricco!- La nuova Russia cominciava a farsi largo nel mondo.

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