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mercoledì 4 dicembre 2013

Globalizzazione del pensiero.

Tanka tibetana del MAO di Torino

Già la globalizzazione! E pensare che la maggior parte di quelli che te la raccontano, sostengono che è una rogna di questi ultimi decenni, mettendone in evidenza solo le poche parti negative e trascurandone tutti i vantaggi. Beati i buoni tempi antichi dove la gente se ne stava chiusa nella sua città murata e a Frittole manco si sapeva se a Firenze c'era un sindaco rompiglione. Ma sarà stato davvero così o anche un tempo le notizie correvano senza telefonino? Oggi ve ne racconto una curiosa. Di certo sapete tutti che Giulio Cesare fu talmente grande e famoso da far diventare il suo nome l'antonomasia per il condottiero al comando di uno stato. Dopo di lui tutti gli imperatori si fregiarono del titolo di Cesare e il nome stesso Cesare (in latino Caesar pronunciato con la C dura) è passato in altre lingue ad indicare l'imperatore, come nel tedesco Kaiser e nel russo Czar. Fin qua nulla di nuovo, d'altra parte la mala pianta dei romani aveva conquistato tutta l'Europa ed il Mediterraneo quindi è nella logica che la sua cultura abbia permeato questa parte di mondo. Ma allora c'era una cesura netta data da forti barriere geografiche quasi insormontabili tra il nostro e gli altri mondi. Eppure la conoscenza della potenza di Roma era arrivata anche nel lontano Oriente, con cui avvenivano comunque fior di scambi, mediati da quei furbacchioni di arabi che naturalmente lasciavano filtrare meno notizie possibili, per poter continuare a fare grassi guadagni rivendendo le merci orientali spacciandole per proprie, diciamo che era uno dei primi tarocchi mercantili.. 

Perché la storia è sempre la stessa, conoscenza è potere e il commercio e gli scambi sono sempre stati la vera linfa creativa della nostra specie. La potenza militare va loro al seguito, buona ultima, della cultura. I mercanti sono sempre stati quelli che hanno fatto crescere il mondo nel bene e anche soprattutto nel male. Dunque oltre agli annali dell'impero cinese, in cui si parla di Roma, della potenza e della ricchezza di quell'impero lontano, del grande signore An Tun (l'imperatore Antonino Pio) che snobbò gli ambasciatori del Regno di Mezzo che gli avevano recato doni (ma in quel momento c'era a Roma la peste e quel gruppo di barbari Sini furono presi per una piccola tribù di chissà dove senza importanza), c'è qualche traccia di Roma in quel mondo? Avrete notato quel signore a cavallo raffigurato in una tanka tibetana del XV secolo esposta al MAO di Torino, Museo straordinario per conoscere arti e culture orientali, forse unico in Italia e pertanto giustamente ignorato e sempre sul punto di chiudere i battenti. Si tratta di un semidio del pantheon buddista tibetano, guerriero straordinario e conquistatore implacabile, feroce con i nemici ma saggio governante di uomini che domina su una lontana città, capitale di un regno ricchissimo. Il suo nome? Gesar Kh'Rom. Certo appare bizzarro e incredibile che tra gli altipiani oltre l'Himalaya sia arrivato il nome di Cesare di Roma. Pure tracce di questa leggenda risalgono a prima del V secolo e da allora il personaggio, con le sue gesta mirabolanti è stato sempre presente nei racconti guerreschi fino a creare una saga epica di racconti di fatti eroici che da quasi 1000 anni gira in Oriente. (vedi la bella voce su Epic of King Gesar su Wikipedia). 

Il personaggio, via di mezzo tra Artù e Orlando è presente nelle letteratura del Tibet come Ge-Sar Gyal Po, in quella mongola come Gesar Khan, nella Russia siberiana come Geser o Kesar,  in un ciclo epico fin dal XII secolo, signore del leggendario regno di Ling (nel cinese antico Roma era chiamata 拂菻:- Fúlǐn - La foresta che si oppone). Tutta questa tradizione è stata mantenuta viva attraverso i secoli dalla tradizione orale dei cantori e dei bardi dell'Asia Centrale dal X secolo in poi, guarda che strane coincidenze come da noi cantori e menestreli) e di cui si trovano tracce in molte minoranze cinesi dai Bai, ai Naxi, agli Yuguri, così come nelle storie dei Kalmucchi, gli Hunza pakistani ed i Ladakhi dell'India del nord. Pensate che il secondo re del Buthan teneva a corte un bardo specializzato nei racconti epici di Gesar che sono stati raccolti in 31 volumi. Dal punto di vista etimologico il concetto di Cesare è passato attraverso il Bizantino Καῖσαρ al Turco Phrom Kesar nominato poi nella Bactriana (Iran e Afganistan) e noto già nell'VIII secolo come lontano cognato di un epico re locale, arrivando quindi in Tibet come Phrom o Kh'Rom Gesar, uno dei Re delle quattro direzioni (quella dell'Ovest) già nel X secolo da leggende precedenti. L'epica turca fa poi riferimento ad un Fromo Kesaro a capo nell'VIII di un esercito arabo invasore. Direi che ce n'è abbastanza per riflettere un po' sulla globalizzazione. L'uomo è un animale mercantile che accoppia alla voglia di arricchirsi anche quella di conoscere e raccontare. E' un po' come un'ape operosa che andando lontano a bottinare sparge qua e là granuli preziosi di polline che feconda alberi lontani.

Gesar Krom da Wiki



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venerdì 22 luglio 2011

Crescita del PIL e non solo.

Vi prego di non saltare a pié pari questo post giudicandolo subito troppo tecnico, non siate superficiali e andate a fondo nelle cose. Sapete quanto mi interessi l'argomentare sull'economia in generale e sugli aspetti che quest'ultima gioca all'interno della geopolitica. La maggior parte degli eventi, del maggiore o minor benessere della gente e l'andamento definitivo della storia dipendono quasi completamente da questo. Quindi quando trovo qua e là sul web qualche notizia che getta luce su qualche aspetto di novità o che comunque illustri i concetti economici mettendosi da punti di vista diversi dai tradizionali, mi ci butto subito per cercare di rimanere informato. Così ieri una notizia particolarmente ghiotta, ripresa da Cristiana con Aspettiamoci una insurrezione, ha richiamato la mia attenzione su un importante studio dell'Università di Helsinki, appena pubblicato. Il lavoro del Centro di ricerche economiche, piuttosto corposo che  vi invito a scorrere per intero qui, è teso a dimostrare con l'inoppugnabilità delle cifre e dei grafici le correlazioni tra uno dei parametri fondamentali per l'uomo e la sua efficacia nel mondo economico ormai globalizzato. Già lo stesso parametro era stato esaminato e pare senza contraddizioni, nella sua correlazione, confrontandolo col valore del Q.I medio dei vari popoli, come vi avevo già relazionato qui, suscitando una reazione indispettita da parte della Cina che era risultata agli ultimi posti. Ma si sa che quando si dà dello stupido a qualcuno anche solo coi numeri la reazione difficilmente è positiva. 

In questo caso, invece, il valore del PIL pro capite e la sua crescita nel tempo, è un numero inoppugnabile che misura il benessere di una nazione e c'è poco da offendersi. Per meglio delineare la valutazione, gli studiosi finlandesi hanno eliminato dallo studi i paesi produttori di idrocarburi, elemento che influenza, senza merito, il dato, in modo sbagliato. Si sono quindi presi in esame la crescita del PIL di 76 paesi tra il 60 e l'85 (intendo gli anni, non altro), relazionandoli con la lunghezza media del pene dei suoi abitanti (maschi), di cui evidentemente un apposito organo internazionale, tiene aggiornate le tabelle. E' emerso quindi in modo inequivocabile una relazione che potremmo definire a campana o a cappuccio, come potete vedere dalle tabelle molto sofisticate, che sanciscono un andamento quasi costante nello sviluppo dei due dati. Infatti per i paesi con misura media mediana (13,5 cm) si ha una massimizzazione del dato economico, mentre ai lati estremi della curva, (al di sotto degli 11 o decisamente oltre i 16 cm delle popolazioni sudamericane e africane, certificando un luogo comune assai diffuso) si va ad un vero e proprio collasso dello sviluppo economico, quasi che costoro avessero altre cose per la testa, invece che di occuparsi di economia. Si conclude col risultato inoppugnabile che nel quarto di secolo esaminato, la crescita del Pil è correlabile significativamente alle dimensioni dell'organo maschile e questo inciderebbe da solo per il 20% della crescita economica, concludendo e qui cito testualmente che : the `male organ hypothesis' put forward here is robust to exhaustive set of controls and rests on surprisingly strong correlations

Sarebbe interessante riesaminare lo studio nel quarto di secolo successivo, alla luce dell'esplosione delle economie orientali notoriamente criptopeniche; pare che i cinesi ci stiano lavorando di brutto all'insegna di piccolo è bello. Le conclusioni puntano a suggerire, con la cosiddetta "male organ hypotesis", di tenere conto di questo aspetto nelle valutazioni previsionali degli andamenti economici futuri e questo basta a sottolineare l'importanza di investire nella ricerca, argomento, ahimé, negletto nel nostro paese. Ho già capito adesso ve ne starete lì eretti nelle vostre torri d'avorio a guardare con occhio malevolo, ma la scienza è scienza e questi qua, sono tra le prime università del mondo e non stanno lì a pettinare le bambole; tutto è stato valutato secondo i più sofisticati strumenti della scienza statistica, tanto per dire questa è la formula utilizzata nello studio, per i particolari tecnici della quale vi rimando direttamente a pag. 5 del lavoro:


ln GDPi = beta 0 + ln Xi beta + ORGAN1igamma1 + ORGAN2igamma 2 + Di delta + mu i

Le più curiose, lo dico perché la maggioranza del mio pubblico è femminile e questo è anche un blog di servizio, potranno esaminare la situazione dei paesi citati, nelle tabelle dimensionali a pag. 15 e 16, utili non solo per organizzare le vacanze. Noterete tristemente che anche qui l'Italia con i suoi 15,74 (le misure sono molto precise e vanno al decimo di mm) è appena dietro ad Haiti (16,01), proprio come, destino bastardo, nella crescita del PIL. Se qualcuno si permettesse di aver da ridire sulla serietà della ricerca, basta che scorra un attimo la ricca bibliografia tra cui spiccano anche capisaldi come : K. Siminoski & J. Bain (1993). `The relationships among height, penile length, and foot size'.




Refoli spiranti da : Helsinki Center of Economic Research - Male Organ and Economic Growth: Does Size Matter?  -  July 2011



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Lao shi.

giovedì 5 marzo 2009

Tradizione e globalizzazione


Le tradizioni sono fondamen- tali per conservare l'identità di un popolo. In questo mondo globalizzato è facile cadere nelle trappole che cancellano lo spirito di una nazione, finendo per andare in pizzeria a Lhasa e al McDonald a Piazza Navona. L'India è un paese straordinario per chi vuole trovare popolazioni autentiche e la regione dell'Orissa, un vero paradiso per gli etnologi, dove vivono, completamente isolate dalle contaminazioni occidentali, decine di realtà tribali in un contesto assolutamente primitivo. I Donghoria Kondh popolano una dozzina di villaggi nascosti tra le foreste impenetrabili dei monti Niyamgiri. Ci arrivammo di mattino presto, mentre una nebbiolina azzurra copriva ancora gli alberi delle cime vicine. Il nostro Prakash ci spiegò che sono rimasti piuttosto aggressivi ed alquanto refrattari ai tentativi di omogeneizzazione tentati, prima dagli inglesi e poi dal governo indiano, nel tentativo di rimanere il più possible fedeli alle tradizioni ed ai loro riti ancestrali. Mi raccomandò quindi, dopo averci portato vicino al palo eretto al centro del villaggio, di essere il più possibile discreto cercando di non turbare la pace dei pochi abitanti che sonnecchiavano su stuoie sotto tetti di palma di grandi capanne comuni. Ci spiegò che il centro attorno a cui ruotava la loro visione del mondo è il rispetto dei ritmi della natura, che può essere forzata solo attraverso riti e preghiere. A tale scopo esisteva in ogni villaggio una famiglia di una casta particolare, detta Meriah, che veniva esentata da tutti i lavori e le incombenze, ma onorata in ogni occasione e nutrita con i migliori prodotti del villaggio. Questo anche per decenni. Poi, un bel giorno, la crisi. Troppe piogge o troppo poche, insomma la carestia, la natura che punisce gli uomini troppo disattenti. Allora gli anziani del villaggio si riunivano e decidevano che era venuto il momento di placare la natura. Così nella notte, tutto il villaggio tra canti e suoni di tamburi e di cembali, si recavano alla casa del Meriah per prenderlo e portarlo in gioiosa processione. Per la verità, lui che aveva capito che la cosa girava per un certo verso, cercava di scappare e quindi per evitare questo evento increscioso, gli si spezzavano con saggia previdenza, le gambe in più punti, con un mazzuolo. Dopo i canti previsti, lo conducevano al centro del villaggio dove, appunto, è sempre eretto il palo in questione e , dopo averlo ben legato, gli infliggevano le peggiori torture, staccandogli pezzi di carne che andavano seppelliti nei campi per fertilizzare la terra e placare la madre natura, da sempre amica del buon selvaggio che la conosce e la rispetta. L'essenziale era che il Meriah non morisse in fretta, ma con le sue lacrime, per più giorni bagnasse la terra secca e sterile. Gli inglesi non erano tanto d'accordo sul rito e cercarono di proibirlo fin dagli anni trenta. Sembra che i buoni Donghoria, vista anche la difficoltà di trovare dei Meriah disponibili, si siano poi accontentati di comprare al bisogno, dei bambini dai villaggi vicini. Anche le tradizioni cambiano, secondo Prakash adesso, si accontentano addirittura di usare una capra. Ad ogni modo il palo è sempre lì.

domenica 15 febbraio 2009

Zài jiàn

Due ideogrammi semplici, che si sovrappongono specularmente all'espressione italiana e della maggior parte delle lingue. Zài significa "di nuovo", Jiàn sta per "vedere", e se pur semplificato, in origine rappresentava un grande occhio sopra due gambe. La sproporzione dell'occhio nel confronto delle gambe sottolinea l'importanza dell'esperienza personale. "Meglio una cosa vista che cento ascoltate" diceva Zhao Chong Guo nel primo sec. a.C. , dopo aver osservato il campo di battaglia per adottare la strategia giusta che gli consentì di sconfiggere i generali tibetani e conglobare il Tibet nell'impero Han. Quindi "vedere nuovamente" o più semplicemente arrivederci. E' quello che ho detto venerdì al mio amico cinese, che se ne è tornato a Pekino. Continuando a frequentare di tanto in tanto l'Italia e soprattutto gli italiani, è diventato un cinese anomalo. Gli piace il parmigiano, la pizza con le acciughe e le olive e si porta a casa origano e semi, per piantare sul balcone basilico e prezzemolo. Vuole andare a sciare e gli piace il Brachetto d'Acqui. Ma per lui, gli italiani sono sempre gente strana e poco comprensibile. E' stupito dal nostro immobilismo, quando dice che viene ad Alessandria da 15 anni e le uniche cose nuove che ha visto fare sono un palazzo e il ponte Tiziano (detto il ponte di Barbie per le sue dimensioni). Gli italianio hanno poca voglia di lavorare, ma vogliono subito la soluzione delle cose. Ce l'hanno con la Cina illiberale e poi stanno facendo una legge che regolamenterà internet, ricalcata esattamente su quella cinese. Ci mettono anni per aggiungere una corsia a un centinaio di kilometri di autostrada; dicono che, al contrario dei cinesi, possono cambiare a loro piacimento i loro governanti, se ne lamentano continuamente e da quando viene da noi sono sempre gli stessi. Anche da loro, mi dice c'è crisi, quest'anno cresceranno solo dell'8%. Non gli è molto chiaro questo mondo, quando mi chiede di spiegare, guardandomi con l'occhio un po' malinconico; però ne sente la perversa attrazione e prepara la figlia a frequentare scuole all'estero. Siamo condannati ad apprezzare ciò che ci è lontano? La distanza annebbia i difetti e magnifica i vantaggi. Ma è sempre malinconico salutare un amico che parte.


Due amici, al momento dell'addio.

A nord, montagne verdi all'orizzante
mentre acque chiare a sud, cingono la città.
E' il luogo dell'addio: da qui
andrai solo, fino a dove!
Nubi sospese, vagano i tuoi pensieri;
quale antica amicizia, tra i raggi del tramonto.
Un cenno con la mano e te ne andrai così,
al sonoro nitrito del tuo cavallo in corsa.




Li Po, dinastia Tang, 701-762 d.C.

sabato 10 gennaio 2009

I punti cardinali sono molto importanti nella lingua cinese. Bei-nord, Dong-est, Nan-sud, Xi-ovest, ricorrono continuamente nei toponimi, come Beijing (la capitale del Nord), Xi an (la pace dell'Ovest) Nan jing (la capitale del Sud), Shan dong ( a Est della montagna), He bei (a Nord del fiume). Nelle parole comuni sono poi frequentissimi, come in Xi gua (anguria- la cucubita dell'Ovest) , Dong fang (il nostro vento dell'Est, appunto).
La grafia dell' ideogramma Xī (Ovest) è particolarmente interessante e come al solito dà un'idea dell' inclinazione poetica della cultura cinese. Sembra infatti che il carattere raffiguri un nido con gli uccellini affamati, rivolti verso il sole che tramonta, che, pigolando, sono ansiosi di scorgere, nell' ultimo raggio di luce aranciata, una sagoma amica, l'arrivo della madre che porta loro il cibo. E' una cultura antica, ricca di questi spunti pittorici, che da oltre duemila anni, aveva compreso, secondo i precetti della medicina taoista, che non fa bene costringere i pantaloni alla vita con lacci troppo stretti, perchè in questo modo il Chi, la forza vitale che equilibra la salute del corpo, non viene lasciata libera di scorrere e fluire in modo naturale. Oggi tutti i cinesi che possono, si strizzano con le cinture di Pierre Cardin e quelli che non possono, bramano di farlo al più presto. Insisto, li stiamo fregando alla grande.

sabato 20 dicembre 2008

Il ventaglio Shan

Il Tai Ji Quan è una tecnica del corpo derivata da un’arte marziale cinese. Viene chiamata anche “meditazione in movimento” in quanto la serie di tecniche che vengono eseguite in sequenza, coordinate alla respirazione, sono finalizzate a dare al corpo equilibrio fisico e mentale e armonia di pensieri e di movimenti, secondo uno schema consueto in tutto l’Oriente, che non disgiunge mai l’attività fisica da quella spirituale. Il Tai Ji è una scansione continua di respiro e dinamica. Una simulazione di tecniche di lotta che nella realtà servono ad esercitare armonicamente ogni muscolo ed articolazione del corpo senza forzature o traumi. Ma il Tai Ji è anche uso simbolico della antiche armi cinesi. Nei luoghi dove era vietato portare armi, come nei palazzi imperiali, il guerriero teneva comunque con sé il ventaglio da guerra, uno strumento di cortesia trasformato in un’arma micidiale con stecche d’acciaio, fornita di lame affilate. Una cultura vecchia di millenni che ha sempre privilegiato la ricerca del'armonia fisica e mentale per raggiungere la serenità interiore, contrapposta ad un'altra cultura che ha messo al primo posto lo sviluppo, l'approccio analitico ai problemi, il benessere materiale e per questo è risultata vincente, tanto che ha travolto la prima avvolgendola in un abbraccio mortale. Ma se il benessere complessivo dell'individuo ne viene in effetti diminuito? Nei parchi delle città cinesi, solo anziani alle 6 del mattino praticano le forme del Tai Ji, abbarbicati per abitudine, non per convinzione, all'antico; forse irrisi dai giovani rampanti tesi a scalare le conquiste dei loro coetanei d'oltremare. Ma , Graecia capta ferum victorem cepit, e quindi un caldo grazie alle ragazze dell' Accademia Ohashikai ed alla loro Maestra Kinoué, che ieri sera, allo spettacolo organizzato dall' Associazione Il Melograno hanno dimostrato con grazia e tecnica il loro credere in una visione più completa della ricerca umana, muovendo con perfezione il ventaglio Shan, non per colpire alla gola un nemico reale, ma per affrontare e sconfiggere la parte oscura che è dentro di noi.

sabato 29 novembre 2008

La lumaca

Per strada non si sente parlare che della tragica situazione economica in cui tutti si ritrovano a causa della crisi finanziaria che ha travolto le economie mondiali. Le casalinghe guardano con occhio flaccido i peperoni sulle bancarelle e i pensionati non trovano più cantieri sulle cui transenne appoggiarsi per criticare l'andamento dei lavori. Vogliamo esaminare con occhio obiettivo la situazione? Per la quasi totalità degli italiani questa congiuntura è nei fatti indifferente o addirittura migliorativa. Non vi sembra? Allora esaminiamo il fatto che rispetto all'ultimo anno i prezzi dei carburanti sono decisamente diminuiti, che le tariffe legate all'energia sono stazionarie o in leggera diminuzione, parimenti stazionari (stagnazione, non è questa la grande paura?) la maggioranza dei prezzi, immobili in calo del 10% e così via. Allora per 20 milioni di pensionati e per la quasi totalità del lavoro fisso dipendente, queste sono ottime notizie dopo anni di crescita del PIL (e di contemporanea diminuzione del loro potere d'acquisto) secondo un noto assioma per cui l'economia andava benissimo ma la gente stava peggio. Se non capitano cose apocalittiche (guerre globali o similia, per carità possibilissime e già accadute in condizioni simili quando sono i potenti ad essere nella cacca) gli unici a dover soffrire nei prossimi due anni saranno i precari e coloro che in seguito a questa mancanza di fiducia e calo dei consumi perderanno il lavoro. Una cifra ragionevolmente pensabile di un milione di persone. E' qui allora che un governo responsabile dovrebbe indirizzare ogni iniziativa (rilancio opere pubbliche) e ogni euro di aiuto, che sarebbe, visto il bisogno, immediatamente tradotto in consumi. Queste saranno le persone da aiutare veramente, le reali vittime di qusta situazione, che leggi mal interpretate e colpevolmente lasciate incomplete hanno dilatato. Tutti gli altri non hanno nessuna ragione reale di lamentela, anzi. Invece si sprecheranno risorse in mille rivoli e rivoletti, in elemosine da ritorni elettorali, lasciando nel bisogno i pochi che hanno veramente bisogno, dando retta ai piagnistei di chi sulla crisi ci marcia. Magari andando a coercire chi ha raddoppiato il prezzo di pane e pasta (dati ininfluenti sulla vita reale ma molto psicologici) e similari e non li ha riportati come prima, adesso che le materie prime sono ritornate ai prezzi quo ante. La vituperata globalizzazione aiuterà pian piano a rimontare la crisi e per tutti gli altri, stop al pianto greco, un po' meno corsa e un po' più di attenzione determinata non farà affatto male. A questo proposito, dopo questo pistolotto, vi voglio lasciare con un appropriato e delizioso haiku degli albori dell'800 di Issa Kobayashi .

Oh lumaca,
scala il monte Fuji,
ma piano, piano!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 121 (a seconda dei calcoli) su 250!