lunedì 15 giugno 2009

Porceddu.

Come avrete notato dal post di ieri, la calura estiva mi immalinconisce facendomi tendere ad una situazione di leggero torpore psicofisico. Per sfuggire alla catatonia che suppongo, prenderà anche molti di voi, suggerisco questo modus agendi. Lasciate alle vostre spalle di primo mattino, la città le cui superfici sono in procinto di trasformarsi in specchi ustori e percorrete con calma la pianura verso nord. Pian piano ai bordi della strada scorreranno i campi dove le spighe ormai gonfie lottano contro il destino che fa loro piegare a poco a poco il capo, mentre si colorano di un oro sempre più intenso fino a diventare quasi rosso. Poi, mentre queste diraderanno, vi inoltrerete nella piana vercellese dove le grandi camere verde pallido delle risaie la faranno da padrone, godendo del breve sbattere delle grandi ali dell'airone cinerino e dai rapidi movimenti delle eleganti garzette alla ricerca di cibo. Alla ricerca di cibo come voi che raggiungerete quindi le valli del Canavese dove, attorno ai 600 metri più freschi ed accoglienti, vi aspetteranno amici vecchi e nuovi che vi avranno preparato una piacevole giornata. Disposti con sapienza antica sugli appositi sostegni, infatti, riscaldano le tenere carni opportunamente divise in mezzene, fin dalle otto di mattina due porceddi (o porceddus o porceddu, quale sarà mai il plurale giusto, ah saperle le lingue!). Sono appena giunti in continente, amorevolmente condottici dal mastro scalchiere, aduso a questo genere di fatiche, che ne cura anche, per le sei ore necessarie, la corretta cottura. Son cose che non s'imparano, te le deve tramandare la tua terra. Noi (avrete notato che siamo passati dal voi al noi), al più, possiamo sederci ai deschi amorevolmente preparati dai padroni di casa e godere del più stupendo porceddu che io abbia mai azzannato. Trinciato alla bisogna e disposto in ampi sostegni di sughero, su un letto di alloro e rosmarino abbiamo cominciato a servircene in abbondanza. La delicatezza delle carni morbide e sapide al tempo stesso ti (mi) davano una senzazione di scioglievolezza che altro che le palline Lindor... E ad ogni boccone, avrete cura di aggiungere una particella della cotenna (mi fa quasi orrore definire con un termine che par negativo, questa straordinaria parte dell'animale) che, sottilissima e dorata come le spighe mature che avevate apprezzato nel viaggio, farà da perfetto contraltare con una croccantezza rara da scoprire, per me almeno, che ne avevo provate altre quasi gommose o troppo salate. Una perfetta proporzione di morbido e friabile, con la mediazione di un sottile strato di grasso intermedio in parte sciolto dal calore, in parte ancor lì ad insaporire e legare gli strumenti di una sinfonia di promesse. Avrete cura di mettere nel piatto, alla moda sarda, qualche fettina di finocchio crudo a cui ogni tanto dare un morso, chè la freschezza del crudo lavi la bocca dalla ricchezza e dalla profondità delle carni e la prepari ai bocconi successivi. Poi vi lascerete tentare da qualche pezzetto del fianco, dove le piccole costoline del lattonzolo sono appena coperte da una flebile superficie di pellicina dorata all'esterno e un velo morbido e sapidissimo all'interno. Non saprete trattenervi finchè la sughera non rimarrà ricoperta solo dal verde alloro e allora vi guarderete attorno come smarriti alla ricerca della padrona di casa e di chi ha addotto gli animali a noi, dall'isola felice, per poterli finalmente ringraziare, ma eccolo invece, impegnato con opportuno lungo coltello barbaricino ad aprire una forma di fresco pecorino di soli due mesi, ancor più giovine dei suoi compagni di avventura, per tagliarne fettine dal vago sentore di mirto (sento che sto esagerando, ma quando c'è l'entusiasmo....). Quando stanchi vi predisporrete ad un momento di pensiero, con un buon barbera da meditazione tra le mani, ecco saltar fuori due chitarre di levatura professionale in mani sicure, che , vista la bravura, gli altri mestieri li fanno per hobby evidentemente. Il repertorio scivola immediatamente sui sixties e alle note di Vagabondo sono io, le ciglia cominciano ad inumidirsi sotto le zazzere sale e pepe, mentre i pochi giovani battono in ritirata. Non ci siamo fatti mancare nulla, Pooh, New Trolls, Formula 3, Giganti, Equipe, travolti infine dal sempiterno Lucio. Duro vi sarà, dopo un grato abbraccio ai deliziosi ospiti, lo staccarvi dal luogo e dagli amici per la via del ritorno e fate guidare la moglie, per evitare l'etilometro.




PS . Dimenticavo, in un blog che non vi dico, qualche miscredente ha voluto insinuare che il plurale di porceddu sia Van Porcedden....... date pure un'occhiata tanto per essere informati, ma non c'è limite alle teorie del gomblottismo, per distruggere un sogno!

7 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Pare che il plurale di porceddu sia porceddi. Ma sicuramente NEW TROLLS si scrive con la s del plurale!!Qualcuno è riuscito a cantare "Miniera" senza stonare?
Ciao.

Enrico Bo ha detto...

correggo subito, le mmmmmm...mi avevano fatto passare in cavalleria le S. Miniera è stata stonata più volte in tutte le declinazioni possibili; le lagrime che fanno groppo alla gola, modificano i bemolle anche se aiutano la digestione dei porceddi (giusto così allora?)

Anonimo ha detto...

Sì, va beh, ma dove cazzo è 'sto posto?
Giuro che ti tormento finchè non me lo dici.
Non sono un amante della Sardegna, ma quel maialino...
Dottordivago

Anonimo ha detto...

Ops!
Volevo dire: dove accipicchiolina è 'sto posto?
Dottordivago

Enrico Bo ha detto...

Il posto è a casa di amici nel Canavese e soprattutto grazie all'amico sardo che ha traghettato in continente le bestiole, sarde anch'esse, ci tengo a precisarlo anche se qualcuno insinua dubbi.
Comunque dopo questa esperienza devo meditare per qualche giorno. Mi prenderò una pausa con un breve viaggio di studio di cui vi renderò debito conto se lo meriterà.

Anonimo ha detto...

Ragazzo, noi dobbiamo parlare...
Dottordivago

Enrico Bo ha detto...

Il viaggio di studio e di meditazione si è concluso, sono a disposizione (appena ho finito di digerire)

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