lunedì 8 giugno 2009

Riso e rane

Capita talvolta che uno si alzi la mattina e così, magari a causa di una notte difficile, venga preso da una impellente voglia di riso e rane e salame d'oca; chissà, forse una riminiscenza, forse un ricordo lontano. Allora, senza fretta, se capiterà anche a voi, prendete la strada che va verso Valenza, superatela senza curarvene , passate sul ponte del Po, che qui comincia a mostrare la sua dimensione, il proprio desiderio di essere importante e lanciato uno sguardo dispiaciuto per non aver previsto una sosta alla garzaia e alle trascurate virgole di garzette e di aironi cinerini, buttatevi nella Lomellina, questa terra piatta e priva di insidie. La strada si fa tortuosa (che curiosità in una pianura cosi indistinta), ma deve seguire un percorso saggio lungo i bordi delle camere di risaia, quindi con frequenti curve ad angolo retto. Poi, annunciato da lontano, chè nella grande pianura poco si può nascondere, tra le quinte argentee dei pioppeti, un piccolo paese all'apparenza anonimo, Frascarolo. E qui la sorpresa. Coperta, quasi nascosta tra le case basse ed indistinte, dietro un muricciolo a protezione del fossato, una sagoma bassa ma imponente, le cui trasformazioni ottocentesche non possono nascondere le severe necessità guerresche che ne avevano imposto la costruzione in questa posizione, evidentemente strategica per il controllo di questa vasta area agricola. Gli eserciti non combattono senza rifornimenti e le risaie evidentemente valevano più dei buoni generali. Quattro grandi torrioni agli angoli di una perfetta pianta quadrata, incorniciano il magnifico castello cinquecentesco. Sul portale, il biscione visconteo ricorda l'antico potere. Nel fossato non c'è più acqua, ma un magnifico giardino, ma a fianco un'altra sorpresa, ancora più inattesa e per questo coinvolgente. Attorno ad una grande corte ora coperta dallo smeraldo di un prato fine, una piazza dei Miracoli di campagna dove si alzano, completamente rimessi a nuovo, le costruzioni della classica cascina pavese che ospitano un Museo del contadino, insospettabilmente ricco e curato. Ogni ambiente del complesso rurale, dalla stalla, ai portici, ai magazzini ospita, ben organizzati e suddivisi secondo i temi classici della casa, della terra e dei mestieri, oltre 1000 oggetti che raccontano la storia del territorio. Addirittura negli ambienti da poco completati, è ospitata un'intera riseria, con antiche e straordinarie macchine di legno che fino a non molti anni fa operava a Mede. Tutto questo, come mi ha raccontato la famiglia Temporin, custode degli ambienti, si deve all'opera appassionata di un grande avvocato e della sua famiglia, il cui attaccamento alle radici e a questa terra appare forte, fattiva e non costituita soltanto di ricordi, ma di proposte concrete. Un esempio di mecenatismo d'altri tempi di cui ognuno, se lo desidera, può fruire. Dopo aver visto, sotto l'ampio porticato, un delizioso e raro mobile madia, l'apertura del quale presenta la sorpresa di due macine in pietra casalinghe, perdetevi un po' nel giardino severo che circonda il tutto. A questo punto, avrete dimenticato riso e rane, ma non crucciatevi, forse era roba cinese surgelata e la giornata non è stata certo perduta.

1 commento:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

Quando ero piccolo le andavo anche a pescare assieme al mio papà, con un pezzo di calza di nylon come esca. A quei tempi la zona delle risorgive sotto Milano, tra le abbazie di Viboldone e di Mirasole, era ancora piena campagna, a meno di 10 km dalla città. Ma non le mangiavo: a me le rane fanno schifo, soprattutto quando le vedevo preparate in guazzetto, molli cadaverini bianchi a malapena macchiati di pomodoro e prezzemolo. Tuttavia il tuo articolo mi ricorda un mondo amato che non c'è più, almeno dove vivo. E, pur di ritrovarlo, sarei anche disposto a mangiarle, quelle rane. Grazie, Enrico.

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