giovedì 11 maggio 2017

Malaysia 20 - Gli Orang Asli

Gli Orang Asli

 
Aziz
Non credo che ci siano dubbi se vogliamo definire la Malesia come uno stato dall'economia avanzata, soprattutto se paragonata a molti dei suoi vicini confinanti. Tutto questo grazie  ai consistenti introiti petroliferi, ad una gestione politica probabilmente abbastanza buona ed anche all'esempio virtuoso della vicina Singapore, a cui a mio parere ci si ispira e che ha fatto da probabile traino. Tuttavia all'interno della penisola si possono ancora osservare delle situazioni marginali di un certo interesse, per noi occidentali abituati agli standard della globalizzazione ed affamati di esotiche diversità. Nascosti dunque nel fitto delle foreste, sono infatti rintracciabili piccoli ed isolati gruppi di una popolazione primitiva che vivono ancora una realtà marginale rispetto al paese. Si tratta degli Orang Asli (gli Uomini delle Origini), seminomadi cacciatori raccoglitori, appartenenti ad almeno tre grandi sottogruppi, ma accomunati sotto questa definizione e che rappresentano meno dello 0,5% della popolazione malese. Sono i pochi discendenti rimasti delle etnie che popolavano la penisola prima dell'arrivo delle popolazioni provenienti da nord e dall'India nel primo millennio, via via assimilati o ridotti in schiavitù, fino alla loro quasi completa scomparsa in conseguenza di uno dei consueti genocidi che seguono alle invasioni territoriali. 

Bimbi Semang
Questi protomalesi si sono man mano ritirati in zone sempre più periferiche e remote per sfuggire alle varie persecuzioni, fino a ridursi alle piccole tribù odierne nascoste nel fitto delle jungle. Da quando è mutata in un certo senso, la sensibilità generale a questi problemi, i pochi gruppi rimasti sono, per così dire "protetti" con programmi che tentano di migliorarne le condizioni di vita, anche se spesso finiscono per portare ad una assimilazione forzata. Anche all'interno e nei dintorni del parco di Teman Negara si trovano tribù di Orang Asli appartenenti a sottogruppi di Negritos Semang che è possibile avvicinare senza troppe difficoltà. Per la verità l'idea di oggi era di risalire il fiume in barca fino a raggiungere un'ansa periferica nella quale era stato segnalata la presenza di un villaggio di Semang, ma non abbiamo trovato nessuno interessato alla cosa per riempire la barca e suddividere i costi, per cui cerchiamo di arrivarci via terra, anche se qui le strade nel bosco sono più un'idea virtuale che una realtà pratica. Aziz ci raggiunge sulla piazzetta del paese. Chiarisce subito che dispone solo della macchina della moglie che non è un vero e proprio fuoristrada. In effetti sia il mezzo che l'uomo suscitano qualche perplessità. Anche se il tipo dell'agenzia ci aveva preannunciato che Aziz è un tipo burlone, il suo atteggiamento un po' svagato mi fa sospettare che abbia già ecceduto con qualche tipo di alcolico, anche se, in più occasioni si dichiara ufficialmente astemio. 

Una capanna provvisoria
Si ferma ad ogni occasione, continua ad essere particolarmente espansivo nei miei confronti e a farsi selfies con me, brandendo il telefonino come un'arma e sghignazzando ad ogni espressione. Sbaglia continuamente strada, spegnendo di volta in volta il motore, alla fine confessa candidamente di non avere molta dimestichezza col mezzo, anzi di non aver mai fatto quella strada per cui non ha idea di dove andare, cosa curiosa, essendo appunto lui per definizione la guida. Dopo qualche tentativo infruttuoso, la pista procede comunque lungo il fiume, ma diventa quasi impercorribile in alcuni punti, così scoscesa e scavata dalle piogge recenti da rendere impossibile procedere oltre. Comincio a temere che per oggi il nostro appuntamento col primitivo dovrà essere rimandata. Ma il buon Aziz continua a ridacchiare e a ripetere ossessivamente no problem e dopo aver abbandonato l'auto in una radura decide di procedere a piedi nel bosco. Raggiungiamo una falesia che si protende alta su una larga curva dove il fiume si stringe e diventa un poco più vorticosa la corrente. Procediamo lungo il margine superiore della collina con una certa fatica e mentre io continuo a recitare mantra di maledizioni varie, ad un certo punto il nostro duce comincia a mandare piccoli segnali di giubilo, facendo segno di seguirlo senza paure od esitazioni. Infatti poco più avanti si nota tra la vegetazione fitta, un principio di sentiero che porta ad un gruppetto di capanne di frasche e bambù a mezza costa , dalle quali esce un filo di fumo. 

Fare il fuoco
Nelle tre capanne più in alto ci sono solo un paio di  ragazze che si stanno sistemando vicendevolmente i capelli e qualche bambino dall'aria esausta che non dimostano curiosità. Le ragazze salutano con sorrisi stanchi, invitandoci a proseguire più in basso dove altre cinque capanne sono disposte attorno all'unico spazio pianeggiante sopra la riva del fiume. Sono abitazioni in legni portanti e pareti di  bambù erette su basse palafitte, ricoperte di uno spesso strato di frasche. L'unico ambiente quasi completamente privo di suppellettili è coperto da una stuoia intrecciata, attorno assi stetti fungono da panche esterne dove gli abitanti trascorrono la loro vita sociale, quando non sono impegnati nella ricerca di cibo. I cinque o sei uomini del villaggio sono intenti a varie attività pratiche. Uno aggiusta una rete da pesca, in quanto il pesce del fiume vicino rappresenta una delle maggiori fonti di alimentazione, mentre gli altri accendono il fuoco per preparare altri attrezzi per la caccia. Attraverso uno strumento che accentua la rotazione di un perno di legno duro su una assicella su cui è disposa un poco di bambagia secca, l'uomo accovacciato sui calcagni crea subito un filo di fumo che mostra la crescita della temperatura e compare una linguetta di fuoco che avvolge di colpo la massa secca. A fianco un altro uomo sta producendo con un coltellino, regalo di qualche turista di passaggio, piccole stecche perfettamente diritte traendole da una canna di bambù. 

La cerbottana
Le pulisce poi raffinandone la verticalità e raschiandone via le asperità con l'uso di una corteccia ruvida che funge da carta vetrata. Una delle due punte viene infissa in un cilindretto di balsa tenera raschiata a misura del foro della cerbottana con la quale sarà utilizzata. L'altra punta viene sfregata su un bolo nero che si sta sciogliendo alla fiamma. E' una resina velenosa, prodotta da una pianta del bosco, che renderà il minuscolo dardo in grado di creare una sorta di immobilità muscolare, paralizzando la piccola preda, topo, scoiattolo, piccola scimmia o uccellino a cui è destinata. L'uomo che ha prodotto il dardo guarda con soddisfazione il suo prodotto, poi da una capanna arriva la cerbottana custodita con cura, un tubo perfetto di legno duro nero, protetto da un secondo tubo che lo contiene. Osservo la cavità lunga oltre un metro e mezzo. E' assolutamente rettilinea e bisogna dire che si tratta di un manufatto davvero notevole, considerando i mezzi coni quali è stato ottenuto. Proviamo la freccia, assieme a quelle fatte precedentemente. Il bersaglio, un orsetto di peluche che ha avuto anche altri usi, sta appeso contro una tela di juta su un albero. Gli uomini provano a turno e con alterna fortuna tra gli sfottò degli amici. Uno, il custode della cerbottana, è chiaramente il più bravo e colpisce quasi sempre il bersaglio posto ad una decina di metri. I miei tentativi invece sono da dimenticare, addirittura per un pelo non va perso il dardo, a causa di un mio improvvido soffio che manda l'attrezzo dritto tra le foglie circostanti. 

Una famiglia
Non è facile produrre un soffio secco abbastanza forte ed istantaneo, tale da scaricare la freccia ad una distanza importante, non parliamo poi del fatto che la traiettoria rimanga abbastanza rettilinea da raggiungere il bersaglio voluto. Ci vuole insomma anche qui una certa tecnica, appoggiando bene le labbra al foro di entrata e disponendo in maniera acconcia la lingua prima di emettere il soffio con uno schiocco e poi un discreto allenamento per la mira, visto che l'attrezzo è piuttosto pesante e va tenuto all'estremità. Gli uomini rimangono seduti intorno, sono piccoli, di pelle scura con tratti melanesiani, decisamente diversi da quelli più morbidi della maggior parte dei malesi, per non parlare della numerosa comunità cinese.  I pochi bambini, che non hanno mai conosciuto scuola, corrono intorno ma senza l'eccitazione tipica che si coglie quando arrivano estranei nelle comunità isolate. Aleggia intorno un senso che non saprei come definire altrimenti, se non come tristezza. Nessuno infatti ride o tiene atteggiamenti esibizionisti o scomposti. C'è nell'aria come una composta rassegnazione ad una vita difficile. Raccontano che l'insediamento è qui da poche settimane, scelto in un punto del fiume che sembra favorevole per la pesca. Il trasferimento in questa zona, prima il villaggio era a qualche chilometro più a nord, è stato imposto dalla tradizione che prevede sempre lo spostameneto in conseguenza della morte di uno degli uomini della comunità, fatto avvenuto appunto di recente al loro capo in seguito ad una malattia. 

Sul fiume
Intanto le nuvole si addensano sul bosco minacciando uno di quei rovesci improvvisi e ferquenti quasi ogni pomeriggio. Anche gli uomini guadano in su con aria dubbiosa se non preoccupata. Qualcuno comincia a sistemare grandi teli blu di plastica sopra le coperture delle capanne più malandate. Intanto ci consigliano di andare via il più velocemente possibile, se comincerà a piovere i sentieri lungo la riva diventeranno torrentelli viscidi e pericolosi e la possibilità di cadere nel fiume è più che probabile. Passa una barca e Aziz la chiama a riva. Ci saltiamo sopra al volo, dopo rapidi saluti a cui abbiamo risposte senza entusiasmo da parte delle ragazze sedute nelle capanne. Dopo un bel tratto lungo la corrente, la barca ci deposita sul bordo di un'ansa più tranquilla. Naturalmente la riva è piuttosto scoscesa, la terra smotta facilmente ed il componente più disagiato del gruppo, come sempre in difficoltà nei momenti di agility, rischia di cadere nei gorghi. Mani sicure lo prendono al volo, rischiando di precipitare a loro volta, ma riescono a traslare il peso imponente in zona sicura. Ancora un poco di sofferenza tra gli arbusti ed ecco la sagoma rassicurante dell'auto. Aziz è sempre più allegro, in fondo ha portato a casa la giornata ed il fine è stato raggiunto con ragionevole soddisfazione. Vuole assolutamente diventare mio amico di facebook e mi scrive il suo indirizzo che poi si rivelerà sbagliato, ma in ogni caso bisogna fermarsi ad un baraccotto di un suo parente a prendere un cartoccio di samosa fritti, che colano olio da tutte le parti. Bisogna tassativamente mangiarne almeno un paio per festeggiare il felice arrivo sani e salvi in città. Tanto abbiamo ancora più di una quindicina di giorni per digerirli.

Cercando di raggiungere la barca


SURVIVAL KIT
IL villaggio
Villaggi Orang Asli - Nelle vicinanze dei parchi esistono molte possibilità di visitare qualcuno di questi insediamenti, organizzati dalle varie agenzie. Per alcuni, mi dicono l'interesse sia minimo, in quanto sono completamente assimilati ed esibiscono la loro presenza ad uso escusivamente turistico. Il governo sembra non gradire troppo queste visite ed in alcuni casi le ha addirittura proibite in alcuni periodi degli scorsi anni, forse giudicando quello stile di vita poco dignitoso e non rappresentativo per il paese. Qui al Teman Negara mi è sembrata una cosa interessante, comunque diversa. Rivolgersi a una delle tante agenzie che offrono attività nel parco. Il costo dipende dal numero di partecipanti, dai 30 ai 50 R a testa per una mezza giornata.

Un bimbo


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