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Un Dhow in costruzione |
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Mausoleo di Bibi Miryam (dal web) |
Alla fine, dipendesse da te staresti a mollo nell'acqua cristallina e alternativamente all'ombra delle rocce per tutto il giorno e anche di più, visto che in tutto l'Oman è consentito (o almeno non è vietato) il campeggio libero, ma alla fine si ricarica tutto e ci si dirige verso casa. A metà strada tra Tiwi e Sur, c'è, ben segnalata da un cartello che indica la relativa uscita, l'antica città di Qalhat. E qui darei all'amico Iapo un consiglio non richiesto, quello di prevedere uno stop di una mezz'oretta, visto, che ci si passa proprio a fianco, per dare un'occhiata al Mausoleo di Bibi Maryam, costruito nel XIII secolo dal re di Hormuz per custodire le spoglie dell'amata moglie. Questa è l'unica vestigia conservatasi fino ad oggi, di questa città dai fasti passati così importanti da essere raccontata anche da Marco Polo che qui si fermò durante il suo viaggio di ritorno. "...Calatu si è una grande città ed è di lungi da Dufar 500 miglia verso maestro, ed è una nobile città sopra il mare e sono tutti Saracini e adorano Malcometto. Qui non ha biada ma per lo buono porto che c'è, sì vi capitano molte navi che vi recano assai della biada e molte altre cose assai. La città si è posta sulla bocca del golfo di Calatu, sicché vi dico che veruna nave vi può passare, né usare, senza la volontà di questa città istessa... " (Cap. 172).
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Il dhow |
Oggi non rimane più nulla oltre la tomba posta in posizione isolata in vista del mare e della importante città di quel tempo, distrutta da un terremoto nel XIV secolo e successivamente bruciata dai Portoghesi, puoi vedere solo un piccolo paese che non conserva altri ricordi storici, ma rimane comunque la suggestione di guardare, dal rilievo su cui si erge la tomba dalle mura sbrecciate che il tramonto incipiente illumina di riflessi dorati, lo stesso mare che vide il nostro veneziano e che destò la sua ammirazione. Che questo sia un luogo dal passato importante lo testimoniano anche le parole del più grande viaggiatore arabo, Ibn Battuta che giunse a Qalhat attorno al 1330. Ecco come ne racconta: "...Da Sur assunsi una guida indiana (si vede che già allora c'erano immigrati dall'India che venivano qui a lavorare) che mi portasse alla grande città di Qalhat, che raggiunsi esausto... per esserci arrivato proprio durante la stagione più calda. Qui visitai la tomba di Bibi Miryam e quindi dopo sei giorni di traversata nel deserto raggiunsi Nizwa...". Insomma una suggestione che varrebbe la pena di provare. Dopo una mezz'oretta, il nostro amico viaggiatore, a quel tempo ci avrà messo almeno un giorno pieno, arrivi dunque a Sur. Certo che è più comodo viaggiare in auto piuttosto che in cammello, a prescindere dallo stato di usura prodotto dallo sfregamento delle chiappe sulla sella, cosa alla quale probabilmente a quel tempo erano abituati.
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Al faro |
La città, che si adagia con molle tranquillità attorno agli spazi larghi di una baia che fornisce un porto naturale di vaste dimensioni, vive ritmi sereni, anche se dotata di tutte le caratteristiche di una città dei nostri tempi, con negozi, banche, cambiavalute e meccanici per tutti i gusti. Tuttavia il tramonto dal faro è uno di quegli appuntamenti classici da non perdere e se hai la fortuna di qualche straccetto di nuvole nel cielo dell'ovest, non rimpiangerai certo il tempo passato sulla balconata mentre l'orizzonte si incendia dietro le sagome delle torri di osservazione. Già, l'Oman è pieno di torri di osservazione, sia sulle coste che nei paesi dell'interno, allo stesso modo che sulle nostre coste, segnale certo che un tempo arrivavano dal mare i predoni, da noi i temuti Saracini, lo nero periglio che vien dallo mare, avrebbe detto Brancaleone da Norcia, qui principalmente i Portoghesi in cerca di razzie. La specie umana ha evidentemente, anche in tempi e luoghi diversi, gli stessi stilemi. Ma proprio qui a Sur, rimane un'altra meraviglia citata da Marco Polo (e pensare che qualcuno dice ancora che non si era mai mosso da Costantinopoli e che parlasse solo per sentito dire): gli antichi cantieri navali. La tradizione, che continua da secoli, ha qui ancora la sua piena attività.
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La poppa |
Ne avevo già visto traccia un paio di anni fa sulla costa del Gujarat, ma ormai laggiù questi cantieri sono in disarmo, mentre qui si costruiscono ancora barche, anzi possiamo proprio dire navi, date le dimensioni, completamente in legno, senza uso alcuno di chiodi o di viti o altro metallo. Ogni trave viene fissata tramite incastro o con cunei di legno da una schiera di maestri d'ascia di grande esperienza. Questi dhow, così si chiamano questi giganti, che arrivano a costare oltre 250.000 €, vengono oggi ordinati solo da grandi ricchi che li preferiscono ai moderni yacht per rimanere legati alla tradizione. Sono giganti a vela che puoi ancora veder girare al largo della costa di tanto in tanto secondo i ritmi di un tempo. Alla sera il cantiere è quasi deserto, ma è completamente avvolto da un odore forte di legno tagliato, hai la sensazione di essere in una casa di tronchi nella foresta, mentre operai e addetti si aggirano con travi sbozzate, stipiti da tornire, assi da modellate. Potresti essere stato trasportano indietro nei secoli da una speciale macchina del tempo, mentre ti muovi attorno alle due gigantesche carene che torreggiano sulla riva, su cui si può salire attraverso una malferma scaletta. La parte esterna è quasi terminata e già si cominciano a scolpire sportelli e porte per arredare gli interni. Il cassero, a diversi metri di altezza è bordato da una fila di eleganti colonnine. Qui il tek e gli altri legni duri la fanno da padrone. Profumi di sandalo e di incenso, gli stessi, certo, che avevano incantato il nostro veneziano.
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Sulla tolda |
La bassa marea ha quasi prosciugato la laguna dietro il porto, uccelli di ogni specie becchettano nel fango che l'acqua ha quasi completamente scoperto. Con la luce che scende anche la temperatura diventa più amica, senti una variazione nell'aria, le strade intorno sono più popolate, cominciano ad uscire anche le donne. Molte figure scure completamente velate, si aggirano lungo le strade, qualcuna si dirige verso il suk, altre entrano nei negozi per fare compere, alcune si salutano tra di loro chiamandosi per nome, ma come faranno a riconoscersi? Questo rimane uno dei tanti misteri dell'Oriente. Per il suk ci sarà tempo un'altra volta. La giornata è stata già lunga e anche un po' faticosa ma è bello prolungarla ancora un po' seduti ad un piccolo bar, mentre guardi il passaggio e la vita che scorre, appunto decisamente più intensa a quest'ora. Il thé al cardammomo col latte condensato, sarebbe veramente una specificità indiana (chai masala), ma qui è ormai entrato nella tradizione ed è una bevanda così particolare che il suo aroma, anche ad occhi chiusi ti trasferisce subito in questa parte di mondo. Spesso e caldo, dolce e carico di sentore di oriente, pizzica la lingua, sicuramente c'è anche zenzero, ogni locale ha la sua ricetta specifica, ma appaga il corpo. Ormai è buio bisogna tornare a casa.
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La laguna di Sur |
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