giovedì 28 febbraio 2019

Bangla Desh 12 - Tra villaggi Tripura e Bhom


In casa

Salir le scale
Il villaggio Tripura è nascosto nella foresta. Per arrivarci devi fare una deviazione dopo l'ennesimo posto di blocco e passare un gruppetto di case attorno alle quali una volta o due a settimana si forma un piccolo mercato locale. Da lì parte un lungo sentiero in discesa verso il fondovalle. Le capanne compaiono d'improvviso dietro a gruppi di alberi dalle foglie grandi e polverose, che ti lasciano soltanto immaginare la scivolosa fanghiglia che ci sarà tra qualche mese. Sono grandi costruzioni approssimativamente quadrate di stuoie di bambù, alzate su palafitte alte un paio di metri che si raggruppano a tre o quattro attorno a spiazzi comuni, dove si radunano gli abitanti per lavori comuni o semplicemente per chiacchierare all'ombra, infatti tutto attorno ci sono basse panchette in legno dove qualche donna è seduta col proprio fagotto in braccio. Ho notato che qui i bimbi piccoli non piangono mai, stanno lì, semiaddormentati e infagottati in una coperta, fa freddo assai per il metro locale, di notte siamo sui dieci gradi e se non poppano, si guardano attorno con occhio vivo e curioso. Tre ragazze si danno un gran da fare attorno ad un mortaio di legno pieno di cereale da sfarinare. Con le pesanti mazze menano colpi ritmati senza impicciarsi le une con le altre.

Anziana Tripura
Al mortaio
Più lontano invece, un'altra donna, manovrando con perizia un grande vaglio circolare fa saltare in aria il macinato a favore di corrente. In controluce vedi la pula che un soffio di vento leggero fa volare via. Mi sembra che qui la pulitura del prodotto venga presa ancora sul serio, niente fuffa di integrale che fa tanto bene a tutto. Qui per prima cosa si deve pensare ai nutrienti non alle scorie da aggiungere, come nelle società più opulente. Si nota anche un'altra caratteristica, mentre le giovani sono alquanto disadorne, portando addosso solo la bellezza conferita dall'età e dai loro eleganti movimenti con i quali svolgono le loro incombenze, quelle più anziane sono letteralmente cariche di sottilissime collanine che portano a mazzi di decine di esemplari, quasi soffocate dal peso ed anche i lobi delle orecchie sono sformati dall'onere di ornamenti barocchi e metallici di una certa corposità. Come sempre ci arrampichiamo in una casa; sul terrazzino ci sono un sacco di ragazze molto eccitate dalla novità; anche quelle che pestavano nel mortaio sono arrivate per confrontarsi con gli stranieri. L'anziana padrona di casa va e viene esibendo i suoi ornamenti alle foto di rito. 

Buji
Buji è un ragazzo al di sotto della ventina con una moderna pettinatura aggressiva. E' lui che ci ha chiamato a salire, mentre sta appoggiato alla balaustra in legno con la sua maglietta moderna ed i jeans. Lo potresti scambiare facilmente per un qualunque ragazzo di città. Quando siamo davanti a lui capiamo subito perché non si è mosso per venirci ad aiutare a salire. Sulla tibia della gamba sinistra ha una estesa ferita infetta e necrotica che ha quasi mangiato la carne fino a mostrare l'osso sottostante. Deve fargli un male terribile, eppure ci sorride contento per la nostra attenzione. E' capitato un paio di mesi fa, quando giocando a pallone, si è preso un gran calcio sulla tibia che gli ha aperto un largo squarcio. Qui non c'è niente, né medicinali né altro e gli impacchi di erbe che gli ha fatto la vecchia madre non hanno fatto altro che estendere l'infezione. Non siamo medici, ma secondo me la situazione, anche sentendo l'odore di marcio che emana, è piuttosto grave e senza un intervento serio ed immediato qui si rischia non solo di perdere la gamba, ma anche di lasciarci la pelle. L'ospedale più vicino, o meglio qualcosa che gli somigli è a cinquanta chilometri e il ragazzo non ha la possibilità né di andarci né di fra fronte alle spese che le cure richiederanno e quindi rimane lì, seduto sul terrazzino a sperare che la cosa si risolva da sola. 

Al mercato locale
Eusuf non ci pensa certo su, mette mano al portafoglio e in qualche modo si recupera la miseria necessaria e prevedibile, che tuttavia gli viene data solo dietro promessa ufficiale da parte di tutta la famiglia e in particolare dalla madre che vediamo piuttosto preoccupata quando gli abbiamo spiegato senza mezzi termini che il suo ragazzo sta rischiando grosso, che domani mattina senza indugio venga portato all'ospedale di cui sopra. Tutti sembrano aver capito la gravità della cosa. Il ragazzo si lascia medicare alla meglio dal disinfettante in dotazione di Eusuf, anche se si tratta di un semplice palliativo. Non ho ancora avuto notizie in merito, ma spero che la cosa abbia avuto una soluzione positiva. Risaliamo il sentiero lentamente. Quante sono le parti del mondo dove semplicissimi problemi o incidenti minimi, diventano insormontabili e gravi occasioni per perdere addirittura la vita. Buji ci saluta con la mano, il suo ciuffo di capelli è ancora più alto e gli occhi sorridono sulla maglietta heavy metal. Credo che ce la farà, almeno lo speriamo tutti. Poi ancora chilometri di pista, ancora foresta, ancora paesaggi mirabili tra le cime delle colline. Dopo un'oretta arriviamo ad un grande villaggio di etnia Bhom, sparso addirittura tutto attorno su un paio di rilievi Le case sono un po' più malandate e col tetto di lamiera arrugginito, c'è più gente in giro, soprattutto schiere di bambini vocianti.

Bimbi Bhom
In questo villaggio sono presenti almeno cinque chiese di varie confessioni cristiane, anglicani, battisti e altri. Evidentemente qui c'è stato una notevole presenza da parte dei missionari protestanti, come già avevamo visto nel vicino stato indiano del Nagaland. In una di queste è in pieno svolgimento una funzione. La piccola chiesa è piena di gente, soprattutto donne. Si canta molto, con un sound che potremmo definire gospel, poi parte una lunghissima predica, che ci convince a prendere il largo ed a ritornare con un gran giro fino alla nostra macchina. Lungo la strada schiere di ragazzini cercano di far correre i loro carrettini con le ruotine fatte coi cuscinetti a sfera, gli stessi che mi ricordano essere stato anche io bambino. Anche qui la corsa finisce irrimediabilmente nel fossetto laterale, ci si rotola dentro, ma senza farsi male, almeno quasi sempre, al massimo ginocchia sbucciate sulla ghiaietta, che qui però non c'è. La vita tra le montagne è ancora misurabile con la natura umana, forse non è ancora arrivata quassù, l'ansia dei traguardi da raggiungere, del benessere da mantenere, dei budget e dei target; Il turn over si limita a chi deve sbattere la mazza nel mortaio; forse è ancora lontano il concetto stesso di benessere; forse basterebbe avere un ambulatorio non troppo lontano e un infermiere che passasse una volta alla settimana con una cassetta di medicinali, magari non scaduti.


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