martedì 19 febbraio 2019

Bangla Desh 5 - I cantieri di Kumira

Una portaconteiner in attesa

La catena umana  (foto Hettwer - Nat. Geographic)
La N1 adesso corre verso sud, quasi vicino al mare. Dopo un centinaio di chilometri di slalom tra file di camion carichi all'inverosimile, alcuni viaggiano tutti storti, come piegati di lato dal peso di merci debordanti e stivate in maniera approssimativa e tale da consigliare il sorpasso dalla parte opposta all'inclinazione, non si sa mai, si arriva in uno dei luoghi classificati tra le prime posizioni tra i tanti inferni della terra. Il cimitero delle navi di Kumira. Bisogna sottolineare che, per la sua unicità ed essendo il più grande del mondo (ha credo un solo concorrente in India e uno in Cina), questo era considerato un tempo uno dei punti turistici più interessanti del paese, ma dopo che si prese a rimarcare le decine di morti che avvenivano di continuo in seguito alle condizioni di lavoro di questi cantieri, per non parlare ovviamente della percentuale di lavoro minorile, i proprietari hanno recintato l'accesso al mare per decine di chilometri e impediscono l'accesso a tutti. A far rispettare il divieto provvedono adeguate forze di vigilanza armata. Siamo su un tratto di costa liscio e degradante con regolarità, dove le maree consentono alle navi anche di grandi dimensioni, portaconteiner e petroliere a fine carriera, la cui manutenzione o pericolosità diventa troppo onerosa, di venire ad arenarsi facilmente per essere smantellate a mani nude, quindi a costi minimi, da un formicaio di esseri umani, che le smontano letteralmente pezzo per pezzo per rivenderne l'acciaio e il poco che se ne può ricavare, unico valore rimasto.

Il cantiere dall'alto (google map)
Naturalmente il tutto avviene senza il rispetto delle minime norme di sicurezza, per cui gli incidenti sono all'ordine del giorno, così come i problemi dei molti materiali inquinanti presenti e pericolosi per la salute. Si possono vedere bene dall'alto, ingrandendo le mappe di Google, la serie di carcasse allineate lungo una decina di chilometri di costa, nei diversi stadi di demolizione, alcune ancora intere, altre già monche e prive di parti importanti, altre ancora ormai scheletri o ridotte a parziali frammenti. L'unico punto accessibile per riuscire a vedere qualcosa da terra è appunto il pontile di Kumira, la cittadina che prospera su questa attività, da cui partono le barche ed i ferry per le vicine isole di Sandwip e degli altri frammenti di sabbia, naturalmente popolatissimi, che il delta in continua evoluzione ha creato nel golfo antistante. Anche qui c'è un grande andirivieni di folla che si accalca per salire sui barconi, carichi di masserizie di ogni genere. Ceste di polli accanto a file di balle di cotone, carichi di carbone e casse di bibite, scatoloni di cartoni acciaccati, merci con scritte cinesi, borsoni di frutta e verdura. Battelli più grandi caricano mezzi talmente malconci da far sembrare i barconi stessi meno malandati. Una sfilata di barili schiacciati di carburante è addossato al lunghissimo molo che fiancheggia il porto canale che porta fino al largo.

Nave incagliata
Al di là della lingua di sabbia che crea il canale, destinata a venire ricoperta dal mare non appena arriverà l'alta marea, due grandi navi sono piantate definitivamente nella sabbia della riva. Una è un mercantile dalle forme decrepite che deve essere arrivato da poco, perché puoi scorgerlo nella sua interezza, abbandonato qui perché evidentemente era stato progettato secondo logiche ormai superate dall'economia navale moderna, che ne rendeva quindi assolutamente antieconomica la sopravvivenza; poco più in là invece una portaconteiner già avanti nell'opera di smantellamento. Persa completamente la prora, quella che per prima era andata ad incagliarsi nella fanghiglia impregnata di nafta e detriti, nella sua ansia di ricerca di una soluzione finale, una sorta di suicidio rituale che comprende la dissoluzione completa, il ritorno alla non esistenza, se vogliamo umanizzarne la vita, ne vedi ormai solo più il lucido rivestimento interno, quasi avesse voluto, prima di scomparire definitivamente dal mondo, scoprire le sue parti più intime, mostrare al mondo la sua coscienza interiore, mentre già moribonda chiede il gesto pietoso di avere staccata definitivamente la spina. Attorno uomini al lavoro, che trascinano cavi, che si apprestano a staccare parti, a dissaldare lastre, a sezionare metalli per abbatterli definitivamente tra la fanghiglia del litorale, dove saranno poi portati via per l'ultimo recupero. 

Il molo
Tutto a mani nude, tutto a forza di braccia, le tonnellate di acciaio, in parti sempre più piccole lasceranno il mare. Di tanto in tanto qualche cosa va storto, qualche parte troppo pesante si abbatte su un gruppo di formiche, un corpo viene caricato su una barella e senza troppi problemi viene portato rapidamente via ricoperto di un telo sudicio come tutto quello che c'è qui intorno. Vite perdute, danni collaterali, insomma. Niente che debba essere troppo sottolineato, poi il lavoro va avanti. Non si può vedere molto di più dal molo di Sandwip e forse è già abbastanza. La macchina risale quindi la stradina contorta che abbiamo percorso per arrivarci. E' tutto  un affollatissimo mercato, che, vista la calca, sembra impossibile ripercorrere in senso inverso. Invece questa è evidentemente la prassi, piano piano si va avanti, la folla scorre intorno all'auto come l'acqua sporca che scivola verso lo scarico. Qualcuno equilibra meglio il sacco che porta in testa, qualcun altro sbatte qualche colpo sulla tua carrozzeria, per segnalare che non riesce a spostare di più il suo carretto, bloccato a sua volta da una massa di ceste di patate, ma senza nervosismo o rabbia. E' il vivere consueto. Allora tocca a noi deviare di un poco, costringere una bicicletta a muoversi, ad un risciò ad accelerare un poco e poi quando finalmente ha riguadagnato la strada principale, fare a nostra volta un pezzo di contromano in "autostrada", ma solo perché costretti dalla impossibilità di scavalcare lo sbarramento centrale.

Deposito carburanti
E' e sarà una costante del viaggio, questo senso di assoluto affollamento che aumenta progressivamente di anno in anno e che annulla ogni progresso economico, ogni miglioramento logistico e funzionale, non bastando questo mai, se pur avviene, a compensare la massa di nuovi bisogni che l'aumento della popolazione richiede. Rimane quindi comunque la costrizione obbligatoria di non andare troppo per il sottile su quanto riguarda i diritti umani, la cura della persona della salute e dell'ambiente circostante, perché ognuno di questi sacrosanti problemi diventa giustamente secondario e comunque posponibile difronte alla necessità di far sopravvivere un numero di abitanti sempre maggiore, che preme con violenza quelli che già ci sono, nella guerra continua di riuscire a non morire. Cosa volete che sia la possibilità di rimanere schiacciati da qualche lastrone di acciaio o di respirare fumi velenosi o polveri micidiali, di fronte alla necessità di portare a casa ogni giorno una razione per la propria famiglia, una nidiata di figli, di genitori non più in grado di lavorare magari a cinquant'anni, con visi da ottantenni, di una moglie di nuovo incinta. Prima pensiamo a questo, poi ci occuperemo delle corde di sicurezza e dell'acqua corrente. Non è che ci si può permettere di scegliere. E' come la strategia evolutiva di gruppo dei banchi di sardine, la maggioranza ce la fa e nel frattempo puoi sorridere alla vita che comunque hai davanti.

Il porto


SURVIVAL KIT

Navi in attesa di essere smontate
Cantieri di Kumira - Luogo assai noto a 130 km da Comilla in direzione sud, una trentina da Chittagong. Qui si smantellano manualmente nella più assoluta insicurezza le carrette del mare di tutto il mondo che vengono appositamente ad arenarsi grazie alla situazione del fondale e delle maree. Una situazione analoga, ma più frequentata di quanto avviene nel Gujarat ad Alang. E' una delle discariche di veleni del mondo, con la sua sovrabbondanza di vernici tossiche, gas letali delle stive, piombo, amianto e chi più ne ha più ne metta, oltre alla pericolosità delle operazione che vengono svolte senza protezioni o garanzie antinfortunistiche di sorta. Attualmente tutto l'accesso al mare per una decina di chilometri è recintato e controllato da guardie armate, per cui non è più possibile accedervi per nessuno. I visitatori e i curiosi, sono particolarmente malvisti e banditi. L'unico accesso è dal centro della città di Kumira girando a destra per chi arriva da Comilla, fino al ferry per le isole del delta. Di qui si possono vedere le navi arenate più vicino al porto canale. Per giornalisti intraprendenti che vogliano comunque mettere il naso più da vicino, però è abbastanza semplice noleggiare una barca di un pescatore e quandola marea è alta passare dalla parte del mare e aggirarsi attorno alle grandi carcasse lungo la costa, senza esibire troppo le macchine fotografiche. Lo dico per chi volesse fare qualche bel reportage sull'argomento, anche se se ne sono già visti parecchi.

Traghetto per le isole


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