Dato che siamo al mare, vi segnalo questo classico libro da
ombrellone, nel senso che non hai bisogno di molta concentrazione per andare avanti
e anche se al tuo fianco hai qualche querulo vicino che schiamazza senza
mascherina, puoi procedere nella lettura senza troppi problemi. Classico libro
di avventure alla Indiana Jones, che grazie al mestiere di un maestro di questo
genere di scrittura di consumo, procede speditamente con la spinta della voglia
di vedere come finisce e senza troppi spunti filosofici su cui ragionare. Anche
se di nullo valore letterario, il tempo te lo fa passare, ormai si trova nelle
edizioni da 5 euro e dato che è la solita mappazza di 500 pagine, con 1 euro
all’ora il tempo passa piacevolmente senza stare a sentire le notizie dei
telegiornali. Una storia di archeologia africana, con tanto di ritrovamenti,
mistero e collegamenti con i lontani cartaginesi. Noto che il libro è del 72,
quindi in pratica sono passati una cinquantina d’anni e quando il nostro Wilbur
lo scriveva, il Sudafrica e tutti gli altri paesi attorno erano ancora in una
situazione ben diversa da quella odierna ed i bianchi della sua tribù avevano
ancora in mano tutto e pensavano di averlo per sempre, anche se i segnali che
qualchecosa scricchiolava si cominciavano ad intuire, cosa che si sente molto
bene tra le righe del racconto, dove i negri sono ancora tali e nessuno si
sogna di chiamarli neri e i bianchi si sentono ancore ben chiaramente portatori
di civiltà. D’altra parte i tempi erano quelli e bisogna sempre
contestualizzare. Oggi credo che lo avrebbe riscritto con maggiore attenzione.
domenica 19 settembre 2021
Recensione: W. Smith – L’uccello del sole
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