Turtle beach - Peherentians islands - Malesia - 2017 |
Una lingua di sabbia bianca, a grana grossa, fatta di coralli macinati, spezzati, digeriti da microorganismi e altre creature, animali fantastici di una saga fantasy da immaginare se non li vedi, dove il piede non affonda ma lascia una bella orma segnata dall'umidità dell'onda che lambisce quella mezzaluna di costa ingabbiata in una foresta fitta e alla vista impenetrabile. Un barchino ti ha deposto lì, abbandonato come un naufrago nell'isola dei non famosi e ti verrà a ripescare, tra tre o quattro ore, forse. Ci sono alberi dai rami ritorti che si allungano fin sulla spiaggia come se volessero arrivare fino al mare, per approfittare dell'onda, per farsi portare lontano a conoscere quale mondo sta al di là di quel mare azzurro e verde. Cadono fiori bianchi dai mille pistilli profumati a ornare a festa il sentiero delle orme, come fosse il percorso di una sposa che cammina come una regina col lungo sarong a righe orizzontali e la camicetta dagli splendidi ricami sui margini, semiaperta che appena nasconde gli splendidi seni ambrati. Seduto nella sabbia a sfogliare frammenti di conchiglie consumate, epigono di una vita vissuta, da rigenerare, penso al ritmo della risacca che mi sfiora i piedi leggera, con cadenza ipnotica. Un'isola di granito persa davanti alla costa malese, Pulau Besar, (isola grande), di fronte la più piccolina Kecil, che vuol dire appunto Piccola. potrebbe essere la Mompracem immaginata quando bambino, leggevo le gesta dei Tigrotti e, più grande, dietro a Sandokan quando lo avevo visto in carne ed ossa sui sedili della economici class di Air India che lo portava a Cinecittà.
Di fronte il golfo del Siam e il Mar Cinese Meridionale, sulla costa di Kecil, lontana, la matita argentata del piccolo minareto di una moschea. Da qui, da questa spiaggetta isolata e irraggiungibile, che ha pure un nome: Turtle beach, visto che ci approdano ogni tanto delle grandi tartarughe verdi, non ti viene neppure in mente che questo mare è disputato dall'incombente mostro cinese che neppure si vede all'orizzonte e non per la sua bellezza, per il suo non descrivibile senso di pace e di selvatico domestico o perché ci stai così bene che non vorresti più andar via (per lo meno per un po' di giorni, poi sai che palle), ma per la sua posizione, la zona di influenza, il corridoio commerciale e chissà quali altre diavolerie geopolitiche che prima o poi porteranno anche qui qualche rombo di cannone, qualche sibilo di missile ipersonico, che poi non farà neanche il sibilo essendo appunto ipersonico, ma ti uccide silenziosamente, come il veleno di una tarantola. Ne ho visto una prima, al limitare del bosco, ma è subito scappata dietro il tronco, tra le liane, come avesse paura di di questa pancia prorompente. Ai bordi della spiaggia, enormi massi di granito bianco, marezzato di vene scure, nere o verdi, che l'erosione delle onde ha arrotondato con la maestria di uno scultore novecentesco, ammassandole poi in apparente casualità, una sorta di performance artistica da esibire in una grande expo.
Basta fare pochi passi nell'acqua verde e tranquilla e subito accorrono centinaia di piccoli pesci colorati, piccole razze grigie a puntini rossi che volano planando sulle ali triangolari, segnano la traiettoria curva con la lunga codina nera. Come puoi pensare ad un posto più bello, più carico di sensazioni? La foresta alle tue spalle è così fitta da nascondere l'erta che sale verso il centro dell'isola. Non c'è sentiero, d'altra parte a che o a chi servirebbe? Nessuno abita qui, solo quei piccoli e malandati bungalow, dall'altra parte dell'isola, una quindicina di minuti in barca oltre lo Shark cap, chissà perché questo nome, per riposare la notte, per passeggiare sull'altra spiaggia più grande fino alla baracchetta, col banco davanti, carico di pesci appena pescati dal marito, da scegliere e che la moglie cuocerà, chiamandoti a gran voce quando sono pronti, così che tu lasci il tronco su cui sei seduto e segui la bambina che ti accompagna fino al tavolo coi piedi piantati nella rena. La luce di una lampada a petrolio illumina la sera e il profumo di spezia che arriva dalla griglia inumidisce il ciglio, commosso da tanta bellezza. Meno male che il barchino era venuto a riprenderti, la pelle resa vermiglia dal troppo sole, gli occhi accecati dalla bellezza, lo stomaco vuoto per la fame.
La foresta di Pulau Besar |
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