1 febbraio 1963
L'oggetto era uscito dal cono d'ombra e ruotava lentamente attorno al pianeta su un'orbita lievemente ellittica con un apogeo di 280 chilometri. Era una piccola nave spaziale tozza ma con bordi filanti ed allungati. Compiva una lieve rotazione su sé stessa che portava periodicamente le lunghe antenne a puntare verso la stella del sistema o verso il pallido satellite del pianeta stesso. La sagoma argentea della nave si stagliava di volta in volta sul velluto nero del cielo che brulicava di piccoli punti luminosi. Sulla prua, tra i radar e i grossi stabilizzatori, quasi coperti dai giganteschi pannelli dispiegati a captare energia dalla stella, delle grandi lettere nere a compitare un nome o forse una sigla. Ma né i radar, né le le antenne che la facevano così simile ad un gigantesco insetto, si muovevano più da molto tempo ormai. All'interno i sette corpi perfettamente conservati erano stati spinti dalla lieve forza centrifuga contro le pareti in posizioni innaturali e grottesche. Tutto questo durava ormai da 12 milioni di anni. Ma non sarebbe durato più a lungo. Dopo altre ventiquattro orbite la nave toccò gli strati più alti dell'atmosfera, sobbalzò un poco subendo un rallentamento, poi l'inclinazione della discesa si accrebbe facendola scendere sempre più rapidamente. Gli scudi esterni resistettero poco, quindi lo scafo si accese come un fiammifero. Si polverizzò in quattro secondi e sei decimi. Lei si voltò, gli strinse la mano e disse: - Guarda, una stella cadente. -
(Mi sa che in quel periodo leggevo troppi Urania.)
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3 commenti:
Il finale è decisamente romantico su un contesto un po' macabro
Proprio bello!
Il contesto, opinione mia, non lo vedo macabro. La morte è inevitabile, le disgrazie cosa comune in un universo freddo, ostile e darwinista -sta a noi trasformarle in poesia.
@Ambra - ma, non so, il fatto è che ho sempre amato la fantascienza
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