giovedì 3 febbraio 2011

Nebbia fitta.


Ormai è il terzo giorno consecutivo che la città è immersa in un denso, umido e vellutato latte bianco. L'unico problema è che che non è caldo anzi, siamo abbondantemente sotto zero. Da un lato questo corrisponde un po' agli schemi fissi dell'alessandrinità che impongono la nebbia come un convitato di pietra sempre presente nei discorsi e nei pensieri, anche quando non c'è. Certo ci sono stati anni in cui praticamente non si è vista e allora sì che parlavamo di cambiamento del clima, che l'alessandrino tipo ha sempre imputato alle bombe atomiche, chissà perchè. Da un paio d'anni invece, assieme al ripopolamento degli orsi bianchi, alla neve e all'allargamento della banchisa polare, sembra che siamo ritornati nella norma. Certo, a noi in fondo piace, la sentiamo nostra questa broda lattiginosa e sporca che ti fa sentire umido anche in fondo alla camicia, avete capito dove. Guardiamo in alto per indovinare, dietro quel muro grigio pallido, il chiarore diffuso che comunque ti informa che il sole è sorto di nuovo e poi possiamo darci di gomito l'un l'altro raccontandoci le storie fasulle sentite mille volte, di quando seguendo una macchina per non perdere la mezzeria della strada (che qui qualcuno chiamava la mezzadria) siamo finiti nel cortile di un tale che, sceso dalla macchina ci ha detto: "Scusi sa, ma io sarei arrivato a casa" oppure di quell'altra volta in cui non si vedeva la ringhiera del balcone, che poi nella realtà si è sempre vista.


Siamo fatti così, ci piace esagerare, siamo critici, caustici, distruttivi inutilmente, bisogna prenderci con le molle se no ci offendiamo subito e rispondiamo male, ma senza gridare che non si sa mai, meglio allontanarsi borbottando nella nebbia che tanto si taglia con il coltello e sparire come fantasmi. Poveretta mia moglie, venendo lei dalla nobile Torino, ricca di aria tersa per la vicina corona di montagne splendenti, rimase davvero basita, quando al ritorno dal viaggio di nozze, con la macchina non trovavamo la strada di casa e siamo finiti dal vicino. Quella volta la nebbia si tagliava con il coltello come una fetta di bellecalda. Al mattino dopo, alzata la tapparella ha cominciato a capire che doveva mollarmi subito o farsene una ragione. Non si vedeva la ringhiera del balcone. La sventurata rimase.




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8 commenti:

Sandra M. ha detto...

Sì, sembra ritornare tutto alla "normalità", da un po' di anni . Abbiamo un inverno umidiccio, nebbiosetto, "galavernoso" pure qui nel modenese. A me piace un sacco la fumàna! Dà quel piacevole stordimento o senso di leggerezza, di sospensione ovattata....
Apprezzeremo davvero di più il frizzantino sole di marzo che, orami, è alle porte.

sim only ha detto...

"Nebbia fitta."it is very nice picture.i like it

nina ha detto...

Ci ho trovato dentro un aroma alla Paolo Conte (del tipo di "Genova per noi" nel tuo modo di descrivervi e raccontarvi così denso di nebbiosa e benevola autoironia...
Ben scritto!
Nina

Martissima ha detto...

nebbia galaverna e neve qui se ne vedono ormai raramente, ma da padana qual sono, quelle rare volte me le gusto e mi fanno stare volentieri in casa che diventa un caldo rifugio più consapevole.....

Martissima ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Enrico Bo ha detto...

@Sandra - Speriamo arrivi presto però!!!

@Sim - Thank you very much.

@Nina - Grazie ma l'Alessandrino è una brutta bestia

@Astro - Infatti , poi sono uscito e c'era una galaverna spessa un palmo sugli alberi davvero meravigliosa.

Costantino ha detto...

La nebbia non è solo fastidio,è anche poesia

storage shed ha detto...

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